Ex Ilva, la nuova inchiesta che imbarazza l’Ispra: discordanza tra i report dell’Istituto e le reali emissioni della fabbrica ionica
Ex Ilva, la nuova inchiesta imbarazza l’Ispra: chi sono gli indagati
La procura di Taranto ha avviato una nuova inchiesta sui lavori per la messa in sicurezza degli impianti dell’ex Ilva. Tre le persone indagate. Nomi noti, che gettano imbarazzo su organi che si occupano proprio di controllare lo stato dei lavori nella fabbrica ionica. Come l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Nel registro degli indagati figurano, infatti, Vincenzo Capuano, 59 anni, direttore scientifico di Arpa Puglia; Francesco Astorri, romano, di 55 anni, responsabile della Sezione per la valutazione e i controlli degli impianti di interesse strategico nazionale dell’Ispra, e il 67enne Mario Carmelo Cirillo, di Roma anche lui, il quale fino al 31 luglio del 2021 ha ricoperto l’incarico di direttore del dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale di Ispra.
Ai tre nei giorni scorsi è stata notificata la proroga delle indagini preliminari disposta dal gip Francesco Maccagnano, su richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Carbone e del sostituto Maria Grazia Anastasia, che coordinano le attività dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce. I reati contestati sono: tentata concussione, falso e inquinamento ambientale, stando a quanto riportato da Il Fatto Quotidiano.
La nuova indagine
La nuova indagine sembra destinata ad accendere i riflettori sui lavori di adeguamento dello stabilimento tarantino a dieci anni di distanza dal sequestro dell’area a caldo. Disposizione firmata nel luglio del 2012 dal gip Patrizia Todisco.
Il percorso di messa in sicurezza avviato 10 anni fa, secondo l’Ispra procede regolarmente. Dai controlli effettuati proprio dall’Ispra nel primo semestre del 2022 sembrerebbe infatti che sono stati realizzati tutti gli interventi programmati fino a quel momento. Tra questi, anche la riduzione delle emissioni convogliate e diffuse di polveri fini.
In particolare, quelli provenienti dall’area a caldo, ovvero l’area messa sotto sequestro nel 2012; e i lavori compiuti da Acciaierie d’Italia, la società partecipata dallo Stato, attraverso la controllata Invitalia e la multinazionale ArcelorMittal.
A firmare l’ultimo rapporto di Ispra su quei lavori è stato proprio l’ingegner Francesco Astorri, uno dei tre indagati. Ma per la Procura di Taranto le cose stanno diversamente. La fabbrica opera grazie alla facoltà d’uso concessa dai decreti salva Ilva, ma i sigilli restano e rappresentano uno dei principali nodi della contesa tra Invitalia e ArcelorMittal.
Come spiega sempre Il Fatto Quotidiano, infatti, senza dissequestro, l’accordo tra Stato e il socio privato per l’acquisto del complesso aziendale ex Ilva potrebbe non concludersi. Ma ottenerlo, al momento, non sembra un risultato semplice, anzi.
Ex Ilva, salute dei lavoratori ancora a rischio
Nelle 3.700 pagine di motivazione a corredo della sentenza del maxi processo “Ambiente svenduto”, la Corte d’Assise spiega che “Neppure l’adempimento completo dei lavori Aia rappresenterebbe condizione sufficiente per il dissequestro”.
Confermando la richiesta di confisca avanzata dalla Procura, i giudici hanno spiegato che “ad avviso di questa Corte la descrizione dello stato attuale degli impianti, nonché dello stato dei lavori riguardanti il Piano Ambientale AIA 2012, per come è emersa da tutta l’istruttoria dibattimentale, non consente di ritenere in alcun modo superato il presupposto legittimante il sequestro preventivo.
Nel senso che attualmente lo stabilimento ancora produce emissioni che mettono in pericolo la salute pubblica, situazione che, è ragionevole presumere, non potrebbe essere evitata con la libera disponibilità” degli impianti.
Se per l’Ispra, dunque, i lavori procedono speditamente verso il termine previsto per agosto 2023, per la Corte al momento la salute di operai e tarantini è ancora a rischio.
E così, mentre Invitalia e ArcelorMittal cercano a fatica di trovare un accordo per l’utilizzo di 1 miliardo di euro concesso da Mario Draghi con il Dl Aiuti bis, la nuova inchiesta della procura ionica potrebbe complicare di molto il quadro.