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Esclusivo TPI – Viaggio nel cimitero dei feti delle Marche: benvenuti nell’Italia di Giorgia Meloni

Immagine di copertina

Vi mostriamo le immagini inedite del Campo di Sant’Agnese di Pesaro gestito da un’associazione pro-life nella Regione simbolo scelta dalla Meloni per aprire la sua campagna elettorale

Sa dov’è la lapide in memoria dei feti abortiti? «In fondo a destra, l’accompagno».

Regione Marche, 28 agosto. La strada sterrata che porta al cimitero di Barbara, in provincia di Ancora, attraversa campi arati. È un paesaggio rassicurante, puntellato da cipressi e distese immense di girasoli ormai secchi. Sono le dieci del mattino, fa già caldo. All’ingresso del cimitero c’è solo una signora. Mi accompagna. «Eccola, è qui da un po’ di anni». È una lapide in marmo bianco, con una rosa scolpita, una croce accanto e sotto una frase a rilievo in oro: «La pietà dell’uomo ricordi qui le vite mai nate – 8 dicembre 2015. Giubileo della Misericordia». Ci sono 3 candele, un vaso di fiori finti bianchi e viola e la statua di un angioletto. È curata, pulita, ben tenuta. «Non so altro, dovete chiedere in Comune». Il cimitero è talmente piccolo che se entra qualcuno te ne accorgi per forza, senti persino i passi. Marcello è un signore sui cinquant’anni, i suoi genitori sono seppelliti qui accanto. «L’ha voluta Monsignor Umberto Mattioli – mi racconta – ricordo quando la inaugurarono».

Da queste parti si narra che padre Mattioli la volle per dar seguito alla lotta in difesa della vita di Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Non c’è nessuno seppellito sotto, però». Quindi la lapide è a tutti gli effetti un vessillo politico? «È per dare conforto a coloro che hanno preso una disperata decisione», dice. Intende chi ha abortito volontariamente? Non risponde alla domanda, rilancia. «Devono pur nascere i bambini, no? Altrimenti che fine facciamo».

Questa è una storia di cimiteri che non sono cimiteri, di feti che vengono trasformati in bambini, di donne per cui è sempre più difficile abortire, di autorizzazioni, di piccola burocrazia mortuaria usata come cavallo di Troia per imporre battaglie politiche, di simboli e di ideologie. Il nostro racconto parte dalle Marche, la regione-simbolo della nuova destra a trazione meloniana. Una delle tante dove le associazioni pro-life in queste elezioni si sono ibridate con il centrodestra. Parliamo di ordini del giorno, e di consiglieri regionali che si arruolano nella Lega e in Fratelli d’Italia e, come vedremo tra breve, (anche) in nome di queste battaglie si candidano ad entrare in Parlamento nelle prossime elezioni politiche.

“Il cimitero”, dunque, è un doppio grimaldello: serve a sacralizzare i feti, colpevolizzare le donne: ed è per questo che parto da queste lapidi. Molti si chiedono se queste sepolture avvengano «senza consenso delle madri».

Che la tomba marmorea abbia un forte valore simbolico nella lotta anti abortista lo dimostra che sia ben nota negli ambienti pro life. Mario Adinolfi, presidente de “Il Popolo della famiglia”,  oggi candidato alle politiche con Alternativa per l’Italia (Apli) che ha fondato insieme all’ex-vicepresidente del movimento di estrema destra CasaPound Simone Di Stefano, conosce il messaggio custodito nel cimitero di Barbara. «È la politica dei simboli. Zona di terra consacrata dove il bambino non viene trattato come un rifiuto».

cimitero feti marche

Da settembre 2020 la regione Marche ha un presidente di Fratelli d’Italia, Francesco Acquaroli. È il primo governatore di destra in una regione guidata per cinquant’anni dal centro sinistra. La giunta che si insedia nomina tre assessori della Lega, due di Fratelli d’Italia, uno di Forza Italia, la presidenza dell’Assemblea è dell’Udc, partito quest’ultimo che precedentemente appoggiava invece il governo regionale di centrosinistra. Sin dagli esordi si capisce subito su aborto e famiglia cosa muove la maggioranza: Giorgia Latini, assessora alla Cultura, Istruzione e Pari Opportunità, eletta in quota Lega, nella prima uscita pubblica sul Tg Rai Regione Marche dichiara: «Sono stata sempre contraria all’aborto quindi sicuramente avrò piacere di esprimere questa mia posizione qualora questo tema venisse affrontato in giunta». Oggi Latini è candidata alle politiche, in posizione blindata. Il 26 settembre sbarcherà in Parlamento, alla Camera. Il motto della sua nuova campagna elettorale è sempre lo stesso: «Sostenere la maternità e la vita».

Poi c’è il capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli. Nella seduta del 26 gennaio 2021 il Pd (oggi all’opposizione) presenta una mozione che chiedeva la possibilità di somministrare la pillola Ru486 anche al di fuori degli ospedali, come indicato dalle linee guida del ministero della Salute. Respinta. In aula la discussione è accesa. Ciccioli prende la parola e definisce la battaglia per l’aborto «assolutamente di retroguardia». «In questo momento di grande denatalità. La battaglia da fare è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende». «Sono stato male interpretato», mi dice quando lo raggiungo al telefono. Insomma, si spieghi ora: in che senso bisogna sostenere la natalità e non l’aborto perché favorirebbe la sostituzione etnica? «Siamo in campagna elettorale di questi temi non parlo. Sono polemiche strumentali, anche la Ferragni… spero tanto che vinciamo le elezioni ad alluvione e poi riusciamo finalmente a rendere l’Italia un Paese normale». Di aborto, obiettori, pillole, e sepolture, nelle Marche in effetti oggi siamo tornati a parlarne dopo che Chiara Ferragni, la nota influencer con quasi 28 milioni di followers su Instagram, sui suoi canali social ha ammonito dal rischio che questa destra vada al governo del Paese. Il tema, però, diciamolo, esiste da tempo.

cimitero feti marche
Credit: Alessandro Penso

Torniamo a Barbara, dunque, e alla data incisa su quella lapide in memoria dei bambini mai nati. 8 dicembre 2015, abbiamo detto. Non è un anno qualunque, ricostruire cos’è accaduto allora ci porta dritti ai giorni nostri. Il 10 novembre 2015, un mese prima che Monsignor Mattioli inaugurasse quel simbolico altare, le Marche approvano all’unanimità la modifica al Regolamento per le attività funebri e cimiteriali al fine di riconoscere il diritto di sepoltura al feto non nato. Tre paginette scarne. Il tutto avviene su proposta del consigliere Luca Marconi, ieri come oggi Udc. Da sempre Marconi ha tra i suoi cavalli di battaglia politici, la famiglia: «Nucleo essenziale della società». Nel Regolamento varato quell’anno, diciamolo sotto il naso del Pd, si introduce l’obbligo per l’Anagrafe sanitaria unica regionale e per le Aziende ospedaliere di informare circa la nuova normativa i genitori del figlio morto prima di nascere.

cimitero feti marche
Credit: Alessandro Penso

L’articolo 1 è il cuore: «L’Asur, le Aziende ospedaliere e le strutture sanitarie private accreditate predispongono opuscoli informativi sulla possibilità di richiedere (…) la sepoltura del feto o del prodotto abortivo e sulle disposizioni applicate in mancanza di tale richiesta. L’opuscolo, unitamente al consenso formale, è consegnato ai genitori, ai parenti o a chi per essi, al momento del ricovero presso la struttura sanitaria».

Succede dunque che varata la norma (all’unanimità, ripeto) in alcuni ospedali comincia a circolare un foglio da far firmare alle donne che devono abortire volontariamente o spontaneamente. «Me lo segnala un primario, molto attento, preoccupato che il documento potesse essere invasivo e offensivo verso chi si recava in ospedale soprattutto per un’interruzione volontaria di gravidanza». È una fonte interna alla Cgil che ricostruisce quei giorni. «Se io ho un aborto spontaneo e desidero dar sepoltura al bimbo che ho perso è corretto che le famiglie vengano messe nelle condizioni di poterlo fare ed essere assistite economicamente se ne hanno bisogno. La legge nazionale, inoltre, già lo prevede. Il problema è che si chiedeva di esprimersi sulla sepoltura del feto anche alle donne che decidevano di abortire, come previsto dalla legge 194. Insomma una cosa brutale!».

cimitero feti marche
Credit: Difendere la vita con Maria Onlus – Pesaro

Il modulo che abbiamo recuperato anche noi, inizia così: Gentile signora ai sensi del Regolamento Regionale lei può richiedere la sepoltura per: 1) prodotti del concepimento di presunta età inferiore a 20 settimane; 2) prodotti abortivi dalle 20 alle 28 settimane; 3) feti presumibilmente che abbiano compiuto le 28 settimane. Qualora lo desiderasse può assegnare un nome al prodotto del concepimento/abortivo/feto. Nel caso in cui non voglia assumersi a suo carico la sepoltura, questo verrà smaltito dall’Ospedale.

Sotto la donna, con nome e cognome era chiamata ad esprimersi. Perché chi racconta voglia restare anonimo, la fonte non lo dice esplicitamente, la Cgil insieme agli altri sindacati e alle associazioni del territorio, ha condotto tante battaglie a difesa della 194, della pillola RU486 e del principio di autodeterminazione delle donne; ma la mia sensazione è che dietro l’anonimato ci sia anche imbarazzo per il fatto che tutto ciò sia iniziato in una giunta di centro sinistra, senza nemmeno che se ne accorgessero. Fatto sta che il foglio informativo, dura poco. Le protese (non pubbliche) delle associazioni e dei sindacati hanno effetto. Il modulo scompare. O comunque nessuno ne parla più. Non ho trovato altre segnalazioni. Il regolamento però resta saldamente in vigore. Ed è probabilmente il preludio nelle Marche di quello che accadrà qualche anno dopo. Quei feti possono avere una sepoltura, anche sotto le 20 settimane e tra le 20 e le 28, anche se i genitori dicono di non volersene occupare e le aziende ospedaliere possono stipulare convenzioni con associazioni che se ne occupino.

«Difendere la vita con Maria», è una Onlus di Novara, tra le prime in Italia ad avviare la pratica di stringere accordi con le aziende ospedaliere e i Comuni per seppellire i prodotti abortivi. C’è una pagina dedicata a questo sul loro sito. Erano anche al congresso mondiale delle famiglie a Verona nel 2019, quello dove si distribuivano portachiavi a forma di feto. Stefano Di Battista è il portavoce nazionale. «Ci occupiamo della raccolta e conservazione dei feti che poi vengono avviati a sepoltura nel comune in cui sorge l’ospedale con cui firmiamo le convenzioni. Questi feti vengono accolti in una sorta di bicchieroni biodegradabili, poi stipati in un cofanetto, anche questo biodegradabile, più o meno della dimensione di una scatola di scarpe.

Quando avvengono questi seppellimenti ci sono, sei o sette cofanetti, anche dieci. Vengono inumati tutti insieme nella terra, in una fossa un metro per due. In questa fossa, nell’arco di due anni tutto questo materiale viene biodegradato, quindi dopo due anni in quella stessa fossa puoi fare un nuovo seppellimento». Insomma ecco come nascono i cosiddetti cimiteri dei feti. «Non sono cimiteri, sono piccole aree destinate a queste sepolture», mi corregge. Va bene ok, aree cimiteriali, comunque specifiche per la sepoltura dei feti abortiti. E cosa scrivete sulle lapidi? «Non sappiamo di chi sono quei bambini, incidiamo solo la data del nostro seppellimento». Ricorderà però che a Roma, qualche anno fa una donna ritrovò il suo nome, a sua insaputa, su una di queste croci e denunciò giustamente la terribile violazione subita. «Su quel caso ho raccolto informazioni e il mio parere è che il funzionario applicò il regolamento di polizia mortuaria, che prevede il sotterramento anche degli arti amputati apponendo sulla tomba il relativo nome di appartenenza dell’arto. Probabilmente lui ragionò per similitudine considerando il feto una parte anatomica della madre, ma non è così per noi: il feto è un individuo a sé stante». Lo è per le associazioni pro life, certamente, non nel perimetro legislativo definito dalla legge 194. «Per noi quello è un essere umano, a prescindere da quante settimane abbia. A qualunque essere umano va data sepoltura. Questo è un concetto che a qualcuno può dare fastidio. Ma per noi questo è». Di Battista prima di salutarmi mi dà una notizia: «Anche nelle Marche abbiamo una Convenzione con un’azienda sanitaria». È un accordo stipulato tra “Difendere la vita con Maria” e l’Azienda Ospedaliera Ospedale Riuniti Marche Nord, la prima volta nel 2017 e rinnovato per altri quattro anni, cioè fino al 2025, ad agosto dell’anno scorso. Nell’area Marche Nord ricade l’ospedale di Pesaro. I feti che seppelisce la Onlus con rito religioso, dunque, provengono da qui.

Dal cimitero di Barbara a quello di Pesaro ci sono circa 70 km, un’ora di macchina. Quando arrivo un operaio mi accompagna all’area dedicata alla sepoltura dei feti. Sono due zone, una accanto all’altra, su ogni croce qui ci sono nomi e cognomi. Feto di… Aborto di… In un caso trovo solo le iniziali. «Queste però credo siano tombe volute dai genitori – mi spiega un dipendente – sono tutte sepolture individuali e nominative, quelle che cerca lei dovrebbero essere anonime perché i genitori forse non hanno voluto provvedere alla sepoltura e hanno delegato l’Ospedale». C’è una donna lì con una neonata in braccio e altri due bimbi piccoli al seguito. Sta pregando nei pressi di una piccola croce bianca. Le porgo le mie condoglianze. Mi conferma quanto ipotizzato dal dipendete poco prima. «Qui c’è la tomba della mia piccola che ho perso al quarto mese di gravidanza». Se n’è occupata lei? «Si, l’Ospedale ci ha chiesto che volevamo fare e io e mio marito abbiamo deciso di darle un nome e procedere autonomamente». È un diritto di qualsiasi genitore, in qualsiasi fase. Sacrosanto. La legge nazionale, però, già lo prevede. Ma la novità sempre più diffusa in tutta Italia è che i feti sotto le 20 settimane che dovrebbero essere smaltiti finisco invece tra quelli consegnati alle associazioni pro life.

Con l’aiuto del nostro caronte incontrato qui dentro capiamo che non è a Pesaro, l’area gestita da “Difendere la vita con Maria” ma in una sede distaccata. Riprendo l’auto, salgo in collina. Fino a Santa Marina Alta. È un minuscolo cimitero. Appena si entra, a destra c’è il Campo di Sant’Agnese. Eccolo il cimitero dei feti in cui la Onlus seppellisce il «prodotto abortivo» che gli consegna l’Ospedale. Ci sono cinque lapidi: la prima è stata messa nel 2019, l’ultima il 25 giugno del 2022. Ma cosa stabilisce questa convenzione? Quanti feti ci sono sotto ogni lapide? Le sepolture avvengono alla presenza di preti? Nel frattempo richiamo Battista: «Il nostro referente a Pesaro ha accettato di parlarle». Si chiama Gianluca Francini. Mi invia delle foto, relative all’ultima sepoltura da loro organizzata. Si vedono proprio due preti in piedi che benedicono due scatole di cartone bianco, intorno ci sono persone che pregano. Le piccole lapidi di marmo hanno tutte un angioletto con il capo basso stretto sulle ginocchia. Sotto una data. Quando raggiungo Francini al telefono non è subito a suo agio: «Della stipula di questa convenzione non ne abbiamo mai parlato pubblicamente. Ci siamo mossi con delicatezza. La sua telefonata cade tra capo e collo. È sempre pericoloso far uscire articoli su questi temi». Non giudico, voglio solo capire. Francini mi invia copia della convenzione. La lettura dell’atto chiarisce qualcosa ma non tutto. «Premesso che – si legge – l’Associazione è un’organizzazione di volontari che si occupa della promozione culturale e spirituale della vita umana e della difesa dei diritti del concepito fino alla morte naturale» in base a tale accordo “Difendere la vita con Maria” si occupa «di tutti gli aspetti organizzativi relativi al prelevamento, alla conservazione e al trasporto dall’ospedale al luogo dell’inumazione dei “prodotti abortivi” facendosi carico della copertura assicurativa dei propri volontari e di tutti i costi inerenti tale attività». I contenitori dei feti prima vengono portati presso l’obitorio e da qui l’Associazione provvederà a ritirarli «laddove i genitori – o chi per essi – non abbiano esercitato il loro diritto nelle prime 24 ore».

Credit: Alessandro Penso

La Direzione Sanitaria è tenuta – c’è scritto – a conservare un registro di carico e scarico dell’elenco dei feti. Ma è compito sempre dell’ospedale «informare, raccogliere, e conservare il consenso degli aventi diritto alla procedura della presente convenzione per l’inumazione dei prodotti abortivi». È una prassi figlia del Regolamento varato nel 2015? Chiedo. «Effettivamente c’è questa legge regionale, però non so dirle se le due cose siano connesse. E nemmeno se la norma sia rispettata ovunque. Non so se ad ogni persona che entra in ospedale viene chiesto: “Cosa ne vuoi fare del feto?”, riflettendoci, per coloro per cui quel feto è solo un accumulo di cellule, la domanda potrebbe turbare. Comunque a noi non interessa, non vogliamo entrare in questo discorso. Per noi quella è una vita». Certo, ma vorrei capire. Nel documento che lei mi ha inviato non si fa riferimento a un numero specifico di settimane. Ricevete e seppellite, dunque, anche feti delle interruzioni volontarie di gravidanza? «No solo quelli di aborti spontanei». E dove è scritto. «Da nessuna parte. La convenzione lascia intendere la possibilità di una raccolta di feti magari più ampia, ma ci vengono consegnati solo quelli di mamme che economicamente non riescono a seppellirli e che non sono per la legge già persona. Non vorrei sbagliarmi. Diciamo quelli sotto le 20 settimane. Comunque c’è scritto tutto …». No, questo non è chiarito.

cimitero feti marche
Credit: Difendere la vita con Maria Onlus – Pesaro

Nelle foto che ci invia il signor Francini si vedono persone partecipare al loro rito di sepoltura. Sono anche mamme? «Non possiamo contattarle direttamente, agiamo più sul passaparola». Quindi avete una relazione esclusivamente con l’ospedale? «Possiamo al massimo fare un giro in camera mortuaria per capire qual è la situazione, ma è sempre l’ospedale che si occupa di tutto». Ed è solo informalmente però che sapete dall’ospedale di seppellire unicamente feti abortiti spontaneamente? «Sì, la direzione medica ci ha detto questo. Se poi dovessimo ricevere anche dei feti che sono stati abortiti volontariamente non posso saperlo». Alla pec inviata all’azienda Ospedaliera Marche Nord non abbiamo ancora ricevuto risposta. Ilaria Boiano, avvocata di Differenza Donna Ong, che nel 2020 presentò una denuncia per la violazione della libertà di autodeterminazione delle donne che avevano abortito, ci spiega in quale quadro legislativo nazionale si stanno inserendo tali convenzioni. «Fino a 20 settimane il prodotto abortivo dovrebbe essere smaltito come rifiuto sanitario speciale (tranne in caso di richiesta espressa di sepoltura). Punto. Tra le 20 e le 28 settimane si procede alla sepoltura previo permesso di trasporto e seppellimento rilasciato dall’unità sanitaria locale su domanda dei parenti o chi per essi entro 24 ore dall’espulsione del feto». Ecco forse perché nella convenzione è richiamato questo stesso limite di tempo prima che il feto finisca tra quelli inviati alle onlus pro-life. «È evidente secondo me che la questione della sepoltura sia diventata ormai terreno utilizzato per promuovere i discorsi antiabortisti, senza trascurare il possibile risparmio di costi che le strutture sanitarie dovrebbero sostenere per lo smaltimento».

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