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Materiale anti-Covid fermo da 3 settimane al porto di Genova: “Sono DPI per gli ospedali, ma non li fanno passare”

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Materiale anti-Covid fermo da 3 settimane al porto di Genova: “Sono DPI per gli ospedali, ma non li fanno passare”

Materiale preziosissimo per gli operatori sanitari italiani nella lotta al Coronavirus giace bloccato da quasi tre settimane alla dogana del porto di Genova. Si tratta di centinaia di tute e altri indumenti di protezione, che rientrano tra i fondamentali dispositivi di protezione individuali (DPI) utilizzati negli ospedali italiani che curano i malati o testano i casi sospetti di Covid-19, come lo Spallanzani di Roma o il Sacco di Milano. Il materiale è prodotto dall’azienda italiana Indutex S.p.A., che produce indumenti di protezione nucleare biologica e chimica da ormai 40 anni e ha sede a Corbetta (Milano).

“L’Istituto Spallanzani di Roma, nostro cliente, rischia di rimanere senza tute e senza camici e non riesce a reperirli altrove sul mercato”, denuncia a TPI Paolo Maria Rossin, amministratore unico di Indutex. “Li ha ordinati da me e io non sono in grado di fornirglieli perché sono fermi alla dogana a Genova”. Ma come lo Spallanzani sono anche altri gli ospedali impegnati nella cura dei pazienti affetti da Coronavirus che aspettano forniture ferme al porto del capoluogo ligure.

“Produciamo quelle famose tute protettive che tutti in questi giorni stiamo vedendo in televisione indosso a medici e infermieri nei reparti Covid”, racconta Rossin. “Siamo una delle cinque aziende più grandi al mondo che fanno questo lavoro. Siamo stati insieme a Unicef in Africa con Ebola, le ultime pandemie le abbiamo viste tutte: dalla Sars a oggi”. Dai primi anni Novanta l’azienda non produce più in Italia, ma in alcuni laboratori in Tunisia e in Romania, con materie prime sviluppate in Italia e inviate dal nostro paese. “I costi di produzione in Italia non ci permettevano di rimanere sul mercato”, spiega Rossin. “Le materie prime da noi sviluppate vengono inviate all’estero, vengono lavorate e poi rientrano in Italia sottoforma di tute protettive”.

Dall’inizio il lockdown, Indutex ha fatto di tutto per far riconoscere l’essenzialità della propria attività produttiva e continuare a produrre in Tunisia, fornendo i DPI agli ospedali italiani con due tir carichi di materiale ogni settimana. Anche dopo l’ordinanza che alla fine del mese di marzo ha regolato l’importazione e l’esportazione dei dispositivi di protezione, nonostante qualche piccola difficoltà e ritardo, le forniture sono continuate ad arrivare.

“Tutto è filato liscio fino allo scorso 24 aprile, quando due bilici sono stati bloccati dalla dogana al porto di Genova”, dice Rossin. “Ho presentato tutta la documentazione relativa agli ordini in corso, per la domanda di sdoganamento rapido alla Dogana, esattamente come avevo fatto in precedenza, ma loro hanno chiesto una verifica. Successivamente hanno continuato a chiedere una serie di delucidazioni, che noi abbiamo puntualmente fornito”. Nel frattempo sono passate le settimane e i DPI sono rimasti sempre fermi alla dogana. “L’11 maggio, all’ennesima richiesta di documentazione, ho scritto una mail tramite posta elettronica certificata (che TPI ha visionato, ndr) al commissario Arcuri, per chiedergli di intervenire e sbloccare la situazione”.

Il motivo del blocco non è chiaro: nè l’Agenzia delle Dogane né il commissario Arcuri, contattati da TPI, hanno fornito chiarimenti sulle ragioni per cui i DPI prodotti dall’azienda italiana siano fermi alla dogana. “Voglio pensare che ci sia qualche problema burocratico, alla dogana staranno sicuramente facendo il loro lavoro”, si sfoga il Ceo di Indutex. “Se fossero più chiari rispetto a quello che stanno cercando forse avremmo risolto più velocemente. Ma ormai sono trascorse quasi tre settimane, dovrebbero rendersi conto che gli ospedali hanno bisogno di questo materiale”.

“Nei primi giorni dell’emergenza”, racconta Rossin, “ho subito contattato la Protezione Civile, offrendomi di fornire gli indumenti a loro, qualora fosse stato necessario. Ma ci hanno detto di continuare ad andare fornendo direttamente gli ospedali. Benissimo, ma ora devono permetterci di lavorare”, conclude. “Ho chiesto più volte a Roma un documento da dare alla dogana, in modo da provvedere allo sblocco più rapidamente, ma non è mai arrivato. Ci sono altri tre tir in attesa di essere sottoposti al controllo alla dogana, ma a questo punto non sappiamo se e quando i materiali potranno arrivare negli ospedali”.

TPI resta a disposizione per ulteriori precisazioni da parte delle istituzioni e degli organi coinvolti

Leggi anche: 1. “Certificati falsi e problemi di export: la giungla dietro i test rapidi” : a TPI parla un biotecnologo che li ha importati e venduti in Italia /2. Arcuri, dopo 3 mesi mancano ancora i reagenti per i tamponi: basta scaricare le colpe sui cittadini (di G. Cavalli)

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