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Don Gnocchi, i parenti delle vittime chiedono il risarcimento danni: “Anziani non protetti da infezione”

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Oltre all'inchiesta penale in corso, per la Fondazione lombarda arriva anche una convocazione in sede civile. La replica dell'Rsa: "Agito sempre secondo protocolli. Reparto Covid era in palazzina separata"

Don Gnocchi, i parenti delle vittime chiedono anche il risarcimento danni

Non solo l’inchiesta penale, che vede la Fondazione Don Gnocchi indagata dalla procura di Milano per epidemia e omicidio colposi in seguito alla morte per Coronavirus di centinaia di anziani ospiti della struttura: adesso la Rsa lombarda è finita anche al centro di un procedimento civile intentato dai familiari delle vittime, che chiedono il risarcimento danni per la morte dei loro cari. A darne notizia è l’avvocato Romolo Reboa, che difende le famiglie degli anziani deceduti all’interno della Don Gnocchi. La Fondazione, dal canto suo, fa sapere di aver preso atto dell’iniziativa, ma di aver operato correttamente fin dal primo momento.

Le richieste dei parenti delle vittime

“L’iniziativa – ha spiegato l’avvocato Reboa – è parallela e non si sovrappone a quella penale, in quanto è relativa alla responsabilità civile organizzativa della Fondazione Don Gnocchi e non ai singoli comportamenti delle persone sulle quali indaga la Procura”. Reboa si è anche detto convinto che, in sede civile, sarà molto difficile negare un risarcimento danni ai propri assistiti, visto che a suo avviso gli elementi probatori raccolti in una lettera di 20 pagine inviata alla Fondazione Don Gnocchi sono schiaccianti. I familiari delle vittime accusano la struttura di aver adottato, nell’affrontare l’emergenza Coronavirus, scelte operative “totalmente diverse da quelle tenute ove avesse voluto effettivamente tutelare i loro fragili pazienti dalle cosiddette infezioni ospedaliere”.

Basti pensare al tanto discusso tema delle mascherine: nelle scorse settimane uno dei dipendenti della cooperativa Ampast, che opera nella Rsa, ha accusato i vertici della Don Gnocchi di numerose irregolarità nel corso dell’emergenza Coronavirus, come il divieto di utilizzo di mascherine e dispositivi di protezione prolungatosi “almeno fino al 16 marzo”. Una decisione, questa, che se accertata implicherebbe una responsabilità specifica nella diffusione del Covid-19 all’interno delle strutture della Fondazione, che ha portato poi alla morte di centinaia di anziani ospiti.

Ma non è solo contro il protocollo sulle mascherine che i familiari delle vittime puntano il dito: “Va ricordato – si legge ancora nella lettera – che, indipendentemente dalle vicende relative alla data precisa in cui la Fondazione Don Carlo Gnocchi ha rimosso il divieto di utilizzo delle mascherine ai lavoratori a qualsiasi titolo operanti all’interno della Rsa, i suoi protocolli operativi non erano adeguati a garantire la sicurezza dei degenti dal rischio di infezioni ospedaliere persino con riferimento alla situazione precedente la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria” avvenuta con il Dpcm del 31 gennaio 2020.

La replica della Don Gnocchi

La Don Gnocchi ha deciso di replicare alla richiesta di risarcimento danni avanzata dalle famiglie degli anziani deceduti nella struttura con un comunicato, nel quale si sottolinea che “sin dall’inizio dell’emergenza e per tutto il suo evolversi la Fondazione ha messo in atto le procedure e adottato le misure cautelative definite da ISS e OMS, registrando e attuando le successive implementazioni disposte dalle Autorità”.

“Come già detto e ribadito – si legge ancora – il reparto Covid-19 allestito su richiesta della Regione Lombardia agli inizi di marzo era ubicato – come prescritto – in una palazzina separata dal resto dei degenti con accessi e personale dedicati. Prendiamo atto di questa ulteriore iniziativa dell’Avv. Reboa, a cui risponderemo nelle sedi opportune. Siamo certi che la Magistratura confermerà la correttezza del nostro operato anche in sede civile”.

La Fondazione Don Gnocchi è una delle Rsa della Lombardia che hanno dato disponibilità, in seguito all’ormai celebre delibera regionale dell’8 marzo scorso, ad accogliere pazienti Covid “a bassa intensità” all’interno della propria struttura, creando un apposito reparto, per alleggerire il peso dei ricoveri negli ospedali della Regione. Nell’inchiesta penale, condotta dai pm Maria Letizia Mocciaro e Michela Bordieri, risultano indagati il dg Antonio Dennis Troisi, il direttore sanitario Federica Tartarone, il direttore dei servizi medici Fabrizio Giunco, e il presidente dell’Ampast, Papa Waly Ndiaye.

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