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Home » Cronaca

Il delitto di Garlasco e il mistero degli otto suicidi, uno era amico di Andrea Sempio: “Nessuno dirà la verità”

Immagine di copertina

Secondo il settimanale "Gente" al vaglio degli inquirenti vi sarebbero anche alcuni suicidi avvenuti a Garlasco dopo l'omicidio di Chiara Poggi

Il caso del delitto di Garlasco si è formalmente riaperto con l’indagine a carico di Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi. Secondo quanto scrive il settimanale Gente al vaglio degli inquirenti vi sarebbero anche una serie di suicidi avvenuti nella cittadina lombarda dal 2007, anno in cui è stata uccisa Chiara Poggi, per il cui delitto è stato condannato in via definitiva l’allora fidanzato Alberto Stasi, a oggi.

Sarebbero otto, infatti, le persone che si sono tolte la vita: tra di loro ci sarebbe anche un amico di Andrea Sempio (qui il suo profilo). Uno di loro, morto impiccato nel 2016, prima di togliersi la vita aveva condiviso su Facebook un verso della canzone La Verità dei Club Dogo: “La verità sta nelle cose che nessuno sa, la verità nessuno mai te la racconterà”. Brano che risale al 2007, anno in cui è stata uccisa Chiara Poggi per l’appunto. Suggestioni? Probabile, ma gli inquirenti non vogliono lasciare nulla al caso.

Tra coloro che si sono tolti la vita c’è anche Giovanni Ferri, un meccanico in pensione, il cui cadavere fu trovato il 23 novembre 2010. Di lui, infatti, si diceva che la mattina del delitto avesse visto o sentito qualcosa di rilevante. Ad accendere l’attenzione su questi casi sarebbe stato un supertestimone, intercettato da Le Iene, che avrebbe raccontato di aver visto la mattina dell’omicidio qualcosa di molto importante per le indagini ma che, quando avrebbe tentato di raccontarlo, sarebbe stato poi messo a tacere.

Intanto Andrea Sempio è tornato a parlare ai microfoni di SkyTg24: “La Procura vada pure a controllare non c’è nessun contatto tra me e Chiara, di nessun tipo. Non mi stupirei se trovassero mie tracce, frequentavo quella casa. Io penso che possa trattarsi di un Dna da contatto con oggetti e non diretto. Io penso a un cuscino, piuttosto che a una sedia, roba che era messa a disposizione per gli ospiti. Trovare lì il mio Dna non mi stupirebbe”.

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