“Mio padre, morto da 3 mesi ma sbattuto in Tv come simbolo della cura al plasma”
Storia di Alcide Bassi, diventato (da morto) il maggiore sponsor della cura al plasma
“Ho sentito subito, il primo giorno, come una spinta, come uno sprone fisico. La prima sacca mi ha già dato il respiro.” È il 12 novembre 2020 e queste sono le parole esatte pronunciate ai microfoni de “Le Iene“ da Alcide Bassi, 81 anni, paziente Covid ricoverato a Padova in ventilazione assistita e sottoposto, come tanti altri, alla terapia sperimentale a base di plasma iperimmune. Sembra una storia bellissima, di speranza e rinascita, con tanto di musica strappalacrime in sottofondo, per aumentarne il pathos. C’è solo un piccolo, non trascurabile, dettaglio: nel momento in cui il servizio va in onda, Alcide è deceduto ormai da oltre tre mesi, il 7 agosto del 2020, in seguito alle complicanze di una polmonite che in poco meno di una settimana l’ha portato via.
A raccontarlo, incredula, è la figlia Federica che, insieme alla mamma e alla sorella Patrizia, si ritrova senza alcun preavviso l’immagine di suo padre, morto mesi prima, mandata in onda in prima serata come simbolo degli effetti miracolosi della cura al plasma, su cui negli ultimi mesi la Regione Veneto ha costruito una campagna a tappeto a Padova e in diversi ospedali del territorio, nonostante l’assenza di qualunque evidenza scientifica.
Non solo. Il servizio de “Le Iene“, firmato da Alessandro Politi e Marco Fubini, si guarda bene dallo spiegare ai telespettatori com’è andata a finire la storia del signor Alcide e anzi, poco prima, fornisce un dato – alla luce di tutto ciò – palesemente falso e privo di alcuna attendibilità: dei 350 pazienti Covid trattati con plasma iperimmune tra l’ospedale di Padova e quelli della provincia padovana “nessuno è deceduto e tutti hanno avuto esito favorevole”, come dichiara entusiasta Luciano Flor, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Padova.
Un’affermazione importante. Solo che nessuno de “Le Iene” si è mai preoccupato di verificarla. Sarebbe bastato alzare il telefono e domandare alla famiglia di Alcide per scoprire una verità molto diversa. Ma andiamo con ordine. Alcide Bassi si ammala di Covid a fine marzo probabilmente nell’ospedale di Abano Terme, dove entra nel pieno della prima ondata per un’operazione che attendeva da mesi. Ci resterà in tutto tre giorni: pochissimo per un intervento del genere (ma all’epoca tutti i pazienti extra-Covid venivano rimandati a casa quasi subito), abbastanza per essere contagiato. Dopo dodici giorni appena è costretto a tornare in ospedale, questa volta a Padova, questa volta per non tornare più, anche se all’epoca nessuno della famiglia poteva immaginarlo.
Quello che accade nelle successive tre settimane a Padova è un enorme buco nero che la famiglia ha ricostruito a fatica solo in un secondo tempo: le prime 36 ore in Infettivologia, poi l’aggravamento e il trasferimento nel reparto Covid intensivo. “L’ultima notizia che abbiamo avuto di mio padre è stata in quel momento” racconta la figlia Federica, “quando i medici ci hanno informato che la situazione era molto critica e che lo stavano per intubare. Poi più nulla.” E non riceveranno più alcuna notizia fino a un pomeriggio di inizio maggio quando sul telefono di Federica arriva una chiamata. È papà che, con la voce affaticata, comunica alla figlia che è risultato finalmente negativo al tampone e aggiunge: “Lo sai, divento famoso. Sono arrivate Le Iene“. Il resto della storia Federica e la famiglia lo apprendono direttamente dal servizio del 12 maggio, sempre a cura di Politi e Fubini, che si apre proprio con le immagini di papà Alcide che declama i benefici miracolosi della cura al plasma.
“Mentre noi in quel periodo non potevamo vederlo né sentirlo, com’è possibile che a una troupe televisiva sia stato permesso di entrare in reparto, fino al suo letto, senza che nessuno della nostra famiglia sia nemmeno mai stato avvisato?” si chiede ancora oggi Federica. Che ricorda: “Era la pallida controfigura dell’uomo forte che abbiamo sempre conosciuto, ridotto a un ematoma vivente, provato dalla dissenteria e con 20 chili in meno, e raccontava di come la prima trasfusione di plasma fosse stata per lui un colpo di vita.” È la stessa dichiarazione – l’unica mai rilasciata da Alcide – che ricomparirà nel video del 12 novembre. Quello che “Le Iene” non raccontano, nell’ansia di dimostrare la propria tesi, è ciò che è accaduto nei sei mesi che intercorrono tra il primo e l’ultimo servizio. In un primo momento Alcide sembra stare meglio. In seguito a una serie innumerevole di cure, farmaci e terapie, molto diverse tra loro (tra cui anche le trasfusioni di plasma iperimmune) viene trasferito in lungodegenza.
In quel periodo riesce a riprendere anche i contatti con la famiglia. Il peggio sembra alle spalle. Poi, all’improvviso, a inizio agosto, a causa di una seconda polmonite, viene trasferito una seconda volta d’urgenza in Pneumologia in gravi condizioni, ma questa volta non c’è nulla da fare: Alcide muore il 7 agosto. Nessuno de “Le Iene” ha mai contattato la famiglia per verificare le condizioni dell’uomo che, appena tre mesi prima, era diventato il volto e principale sponsor – a sua insaputa – della cura al plasma. E arriviamo, così, a quel fatidico 12 novembre, quando un amico di famiglia chiama la mamma di Federica. Ha appena visto il servizio alla televisione: “Ogni volta che vedo Alcide, è un colpo al cuore” dice. Per la famiglia è una beffa inaspettata e dolorosa, di cui non sapevano nulla e che li lascia una seconda volta sgomenti. “Vedere mio padre sbattuto in televisione, in quello stato e in quel modo, è stata un’altra batosta” dice Federica.
“Come hanno potuto utilizzare le parole di mio padre, una persona deceduta, strappate in uno dei pochissimi momenti di gioia e illusione degli ultimi mesi, per pubblicizzare una presunta cura miracolosa che dovrebbe salvare dal Covid? Chi ha permesso che tutto questo avvenisse? Nessuno di noi sa esattamente cos’è successo in quelle tre settimane, tra aprile e maggio, né cosa abbia portato alla brusca ricaduta in estate. Quello che sappiamo con certezza è che, se mai la cura al plasma abbia avuto effetti su mio padre, di sicuro non sono stati positivi, se non per un primissimo e flebile momento, forse legato anche all’effetto placebo”.
Dubbi, quelli di Federica, confermati indirettamente anche da due immunologi noti a livello nazionale come il Professor Roberto Burioni, tra i primi a schierarsi con gli scettici sulla cura al plasma, e la Professoressa Antonella Viola, che ha criticato pubblicamente proprio il servizio de “Le Iene“, bollandolo senza mezzi termini come “antiscientifico”.
Infine, nei giorni scorsi, l’autorevole rivista scientifica “New England Journal of Medicine” ha pubblicato uno studio che smentisce, al di là di ogni ragionevole dubbio, qualunque beneficio della plasmaferesi sui pazienti Covid: su 228 pazienti presi in esame, infatti, la mortalità registrata tra i pazienti curati col plasma e quelli curati con un placebo (o altri metodi) è la stessa: l’11 per cento.
Tradotto? Non c’è alcuna correlazione scientificamente provata tra il plasma iperimmune e la cura del Covid-19. “Fa rabbia”, scuote la testa Federica “sapere e vedere con i propri occhi tuo padre utilizzato con una tale superficialità come cavia umana per lanciare titoloni o alimentare la propaganda di questo o quell’altro politico. Mi auguro, perlomeno, che possa essere da monito per tutti e un invito ad andare oltre quello che viene raccontato con enfasi in tv e sui social e mantenere sempre uno spirito critico. Perché, dietro a quelle narrazioni trionfalistiche, potrebbero esserci storie come quella di mio padre”.