“Sono un uomo etero, ma indosso i tacchi a spillo”: la storia di Stefano Ferri marito, padre e manager di successo
Crossdressing, la storia di Stefano Ferri
Stefano Ferri è un manager che si occupa di marketing ed è un esperto di comunicazione e giornalismo. Milanese di nascita ha 53 anni, una moglie, una figlia e un armadio pieno di gonne e tacchi a spillo. Stefano è un uomo eterosessuale che da 18 anni indossa unicamente abiti da donna, pur mantenendo la sua identità maschile. Ospite alla trasmissione L’Assedio, Ferri ha raccontato alla conduttrice Daria Bignardi cosa vuol dire essere un crossdresser.
“Stefano e Stefania: le due parti di me”
“Ognuno di noi ha una parte maschile e una femminile che convivono. Nella quasi totalità dei casi, durante l’infanzia e poi nell’adolescenza, queste parti si fondono e danno luogo alla persona che siamo. A me questa cosa non è successa, e le parti sono rimaste scisse: c’è Stefano e c’è Stefania”. Così Stefano Ferri chiama i suoi due lati.
La convivenza tra Stefano e Stefania non è sempre stata facile, anzi. Per 36 anni Stefano ha cercato di reprimere questa sua parte d’identità. Perché? Per paura: “Non sapevo quello che stavo facendo e avevo il terrore di essere aggredito, di essere insultato, di perdere il lavoro”, racconta in manager in studio. “Ma poi – continua – ho scoperto che quel mondo di cui avevo così paura in realtà mi stava aspettando a braccia aperte”.
Il crossdressing di Stefano non fa di lui una donna, né mette in discussione il suo orientamento sessuale ma “ognuno di noi deve far qualcosa per salvarsi la vita” e lui ha scelto indossare i tacchi a spillo. Stefano Ferri ha vinto dei premi per la sua attività di giornalista specializzato ed è autore di Seppellitemi in cielo, pubblicato nel 2013, e di Il bambino che torna da lontano, del 2018, entrambi editi Robin Edizioni.
Cos’è il crossdressing?
Il termine significa letteralmente “vestire nel modo opposto”. Con crossdressing si indicano una serie di pratiche di solito associate alla scelta di indossare abiti identificati con il genere opposto. Il fenomeno di crossdressing è sempre esistito e ha una lunga storia antropologica culturale.
Il crossdressing in passato è servito a salvaguardare fenomeni di genere, come per le sorelle Brontë, o Louisa May Alcott che per poter pubblicare i loro libri utilizzavano pseudonimi maschili. O come nel teatro, dove i ruoli femminili erano interpretati da uomini travestiti. Solo nel 1660 l’attore Thomas Jordan portò, per la prima volta nella storia del teatro shakespeariano, una donna sul palco.
Niente di eccezionale quindi. Almeno fino a fine Ottocento quando, con la necessità di avere un maggior controllo sulla sessualità, il travestitismo viene etichettato come comportamento deviante e malato. Ancora oggi, in una società che si basa su una forte concezione binaria di sessualità, e quindi identità, le persone che praticano il crossdressing hanno difficoltà ad esporsi liberamente. Infatti, il travestitismo è tollerato solo in situazioni specifiche come gli spettacoli di drag queen dove la differenza tra i generi rimane ben definita.