Covid, le varianti in Italia: dove sono e quali le province più a rischio
“In Italia dovremo difenderci dalla variante inglese, e invece di immunizzare il 70% della popolazione dovremo immunizzarne il 75-80%. Questo significa che i tre milioni di persone che abbiamo già vaccinato di fatto è come se non le avessimo vaccinate e dobbiamo ripartire da zero”, lo ha spiegato il professor Andrea Crisanti. Tra le varianti “ce ne sono alcune, come quella inglese, che si trasmettono più facilmente, e questo ha un impatto sul vaccino: sebbene protegga contro la variante inglese, essa aumenta la soglia dell’immunità di gregge”.
Ma come stanno le cose nel nostro Paese? La situazione è in continua evoluzione ma un primo quadro è possibile tracciarlo. Secondo il modello sviluppato per il Corriere da Alberto Gerli, ingegnere laureato a Padova, specializzato in Texas, in tre province lombarde – Milano, Varese, Cremona – le varianti sono “entrate” e sono in fase di crescita. Poi ci sono altre quattro province in Emilia-Romagna, cinque in Toscana, due in Basilicata, una in Lazio (Frosinone), Marche, Abruzzo e Calabria.
In Piemonte, la zona al momento più colpita dalla variante inglese è il Verbano-Cusio-Ossola: il Comune di Re è entrato in zona rossa sabato.
Come riporta Skynews, in Liguria, negli ultimi giorni la percentuale di casi di variante inglese è passata dal 14 al 21% del totale dei positivi. In Alto Adige, dove fino al 28 febbraio vige un lockdown duro, sono emersi nei giorni scorsi 6 nuovi casi di variante sudafricana nei comuni di Lana, San Martino in Passiria e Malles. Tre di questi sono correlati ai casi già individuati nei giorni precedenti. L’obbligo di test in entrata e in uscita dai Comuni inizialmente interessati (Merano, Rifiano, Moso in Passiria e San Pancrazio) sarà ora esteso – a causa della vicinanza con i Comuni di Caines e San Leonardo in Passiria – all’intera val Passiria e ai Comuni di Lana e Malles Venosta.
In Trentino è stato scoperto un presunto focolaio di variante inglese, ma risalente a inizio anno. Al momento sono 10 i contagiati, mentre altri 6 sono guariti. E in Veneto la presenza della variante inglese è intorno al 17% del totale, come ha confermato il presidente Luca Zaia. La variante inglese è stata individuata anche in quattro tamponi provenienti da un gruppo di sei prelevati tra i partecipanti (non atleti) ai Mondiali di sci di Cortina D’Ampezzo. Trovati in regione anche due casi di variante brasiliana, isolati, in provincia di Padova e Venezia.
In Emili-Romagna la presenza della variante inglese è in crescita: i dati preliminari di uno studio del 12 febbraio indicano una percentuale del 41%. Nel Bolognese ci sono alcuni focolai in Appennino e altri di tipo familiare su tutto il territorio, con alcune scuole dove si stanno facendo controlli.
In Umbria è stata stabilita la zona rossa su quasi due terzi del territorio. Confermati dall’Iss 63 casi totali causati da varianti, 41 dalla brasiliana e 22 dall’inglese, sui 77 campioni inviati.
Secondo Carlo La Vecchia, epidemiologo e docente di Statistica medica all’università Statale di Milano, “È probabile che oggi l’Italia, in generale, sia a uno stadio intermedio nella diffusione delle varianti, e quindi si spera che l’impatto non sia drammatico come nel Sud dell’Inghilterra. Ma viste le incertezze, la cosa che assolutamente andrebbe fatta è questa: usare tutti i pochi vaccini che abbiamo, di qualsiasi tipo, per dare almeno una dose al maggior numero possibile di anziani”.
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