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Via le mascherine all’aperto, il Governo cambia idea: probabile stop già da fine giugno

Immagine di copertina
Credit: Ansa

Senza mascherine all’aperto già da fine giugno: la nuova ipotesi al vaglio di Governo e Cts

Il Governo guidato da Mario Draghi accelera sull’abrogazione dell’obbligo di indossare le mascherine all’aperto, che potremmo abbandonare già da fine giugno invece che dalla metà del prossimo mese, nonostante i rischi legati alla diffusione delle varianti e a possibili ritardi nella campagna vaccinale. La svolta, anticipata da Repubblica.it, segue l’incontro di ieri tra il Presidente del Consiglio e il leader della Lega, Matteo Salvini, e una serie di dichiarazioni arrivate in questi giorni da parte di vari esponenti politici e dell’esecutivo.

Intanto, alcune restrizioni sono già state abrogate in altri Paesi europei. Da qualche giorno la Germania ha abolito l’obbligo di indossare di indossare le mascherine all’aperto, la Francia lo ha annunciato due giorni fa e presto toccherà anche alla Spagna. Per l’Italia, la data non è ancora certa ma qualcosa sembra muoversi.

Le ipotesi in circolazione da giorni identificavano la metà di luglio come data più probabile per l’abbandono delle mascherine, perlomeno all’aperto, anche sulla scorta di quanto dichiarato a Radio Cusano Campus dal sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. “Tempo fa ho detto che la mascherina all’aperto avremo potuto metterla nel taschino quando saremo arrivati a metà della popolazione vaccinata, ora ci siamo. Dai primi di luglio sarebbe opportuno far cadere l’obbligo“.

Decisivi per l’anticipo di un ulteriore allentamento delle misure anti-Covid saranno proprio i numeri della pandemia. L’ipotesi è al vaglio del Comitato tecnico scientifico, che già negli scorsi giorni aveva preannunciato una prossima valutazione in questo senso. “Presto potremo cominciare a pensare di abbandonare i dispositivi di protezione individuale”, aveva infatti dichiarato negli scorsi giorni il coordinatore del Cts, Franco Locatelli, rinviando però la misura alla metà del prossimo mese. “Ma solo all’aperto, vorrei sottolinearlo: direi che si può parlarne dopo la metà di luglio, prima è largamente prematuro. Al chiuso è presto”.

Nonostante gli annunci politici, la decisione del Governo e del Cts di abrogare l’obbligo di indossare le mascherine all’aperto dipenderà in gran parte dai dati, che al momento appaiono favorevoli nonostante i rischi rappresentati soprattutto dalle varianti del nuovo Coronavirus.

Quasi tutta l’Italia va verso la zona bianca: dal 21 giugno è atteso il passaggio di Toscana, Calabria, Provincia autonoma di Bolzano, Campania, Sicilia, Marche e Basilicata alla fascia con minori restrizioni e senza coprifuoco. Soltanto la Valle d’Aosta dovrebbe restare ancora in zona gialla, ma anche qui vi sarà uno stop alle misure sulla circolazione notturna, rimosse a partire da lunedì su tutto il territorio nazionale. Intanto la campagna vaccinale procede ancora a ritmo serrato: oltre il 50 per cento della popolazione adulta italiana ha infatti ricevuto almeno la prima dose di un vaccino anti-Covid e il 27,65 per cento ha fatto anche il richiamo.

Tuttavia, restano da valutare una serie di fattori di rischio, primo fra tutti l’incidenza delle varianti, in particolare la Delta (la cosiddetta “variante indiana“). La scelta del Governo di allungare i tempi tra la prima e la seconda dose del vaccino, seguendo il modello britannico, potrebbe rivelarsi perdente contro questo ceppo del nuovo Coronavirus.

La variante Delta spaventa infatti il Regno Unito che, nonostante abbia già immunizzato quasi il 59 per cento della popolazione, sperimenta in queste ore un’impennata dei casi di contagio, mai così tanti da febbraio. Le autorità sanitarie britanniche intendono ora accelerare le somministrazioni e completare la vaccinazione dell’intera popolazione in età adulta entro il 19 luglio, la nuova data stabilita per la fine delle restrizioni in Inghilterra, al fine di limitare gli effetti di quella che alcuni esperti considerano l’inizio di una terza ondata della pandemia, legata all’effetto delle varianti.

L’esempio britannico sarà sicuramente valutato dal Cts, soprattutto in relazione alla diffusione del ceppo Delta nel nostro Paese. Intanto, la fondazione Gimbe ha lanciato l’allarme sul significativo calo dei numeri dei test per Covid. Da 13 settimane consecutive ormai i nuovi positivi sono in discesa ma, contestualmente, diminuiscono anche tamponi e test rapidi. “I contagi sono sottostimati e c’è un progressivo lassismo nell’attività di testing che anche in questa fase della pandemia sarebbe fondamentale”.

In più, l’Istituto guidato da Nino Cartabellotta torna anche a segnalare come resti una quota consistente di over 60 non protetta dal vaccino, a causa delle ritrosie legate alle preoccupazioni per i possibili effetti collaterali dei sieri, soprattutto quelli a vettore adenovirale, che hanno spinto l’Unione europea e l’Italia a puntare sui vaccini a mRNA. Anche su questo fronte però non mancano i problemi.

Il vaccino anti-Covid in sperimentazione da parte dell’azienda tedesca CureVac è risultato efficace, a una seconda analisi, solo al 47 per cento. La comunicazione della società di Tubinga ha spinto ieri le azioni della compagnia scambiate a New York in ribasso del 40 per cento negli scambi after-hour. La notizia della scarsa efficacia del vaccino tedesco ha gettato nel caos l’Unione europea che aveva ordinato 225 milioni di dosi, con un’opzione per ulteriori 180 milioni di vaccini. Di questi, 30,2 milioni erano destinate all’Italia.

Il problema non è economico ma logistico. La Commissione europea ha fatto sapere che prima di decidere cosa fare con il contratto firmato con CureVac deve “aspettare la conclusione delle sperimentazioni e della valutazione da parte dell’Ema”, ma ha chiarito che “il contratto contiene alcune clausole legate all’autorizzazione dell’Agenzia europea per i medicinali”. Insomma, in caso di mancata approvazione, il vaccino tedesco non sarà acquistato, ma questo apre un problema di approvvigionamento, soprattutto in Italia dopo le decisioni sui sieri di AstraZeneca e Janssen (J&J).

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