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Ho fatto il test sierologico per il Coronavirus: vi racconto come è andata (di Selvaggia Lucarelli)

Immagine di copertina
Credit Foto: Fondazione Umberto Veronesi

La prima domanda, legittima, che si dovrebbe fare a chi fa un test sierologico è masiniana: "Perché lo fai?" E allora parto da qui. Perché io che non lavoro in fabbrica ho fatto un test sierologico? E soprattutto, cosa me ne faccio del risultato? Vi racconto come è andata

La prima domanda, legittima, che si dovrebbe fare a chi fa un test sierologico è masiniana: “Perché lo fai?”.  E allora parto da qui. Perché io che non lavoro in fabbrica ho fatto un test sierologico? E soprattutto, cosa me ne faccio del risultato? In effetti, da quello che si è capito fino ad oggi del Coronavirus (quasi niente), il segmento più misterioso della faccenda riguarda proprio la questione anticorpi e immunità. Come spiegato dall’infettivologo Andrea Crisanti, non esistono prove che gli anticorpi proteggano dal virus, non sappiamo se gli asintomatici ne sviluppano di più o di meno e se quindi abbiano una funzione protettiva, non sappiamo un bel niente. Oggi una ragazza positiva da 78 giorni è risultata negativa al test sierologico, e mentre secondo qualcuno è normale, altri la ritengono un’anomalia.

Fatte tutte queste premesse, ci si chiede, anche, a che serva fare il test ai dipendenti di una qualunque azienda, se è vero che aver contratto il virus non vuol dire con certezza scientifica che non potrai riaverlo.  Serve per fare “una fotografia”, dice qualcuno. A capire quanta diffusione del virus c’è stata in una determinata zona o in un micro-ambiente. Il che ha senso, in un’ottica di approfondimento epidemiologico, ma meno per il singolo. Io ho fatto il test più per curiosità giornalistica, che per altro. Per poter sperare, anche, nel fatto di averlo eventualmente avuto in forma asintomatica e dunque confidare in una predisposizione a contrarre il virus senza conseguenze serie. Anche su questo a dire il vero non esiste certezza, ma mi accontento di un cauto ottimismo.

Aggiungo poi che ho amici che si sono ammalati, vivo a Milano e dunque in una città in cui il contagio è molto diffuso, a febbraio ho avuto una discreta vita sociale (sono stata in una quindicina di ristoranti) e ho un figlio che è andato in una grande scuola e che si è mosso con i mezzi pubblici. Insomma, una settimana fa alcuni amici mi dicono che c’è un centro che fa i test a pagamento, posso verificare su Instagram, in cui questo centro spiega il metodo. L’alternativa è una storica farmacia che mi dicono faccia i test a 45 euro nel retro del negozio, a Cremona, ma a Cremona non posso andare e dunque prenoto presso questo studio medico. Ci sono anche alcune farmacie a Milano che effettuano il test, ma pare che le abbiano bloccate.

Il centro in questione si chiama Ivee Solutions e su Instagram si promuove così: “Flebo antiossidanti e test immunologici ad alta sensibilità Covid eseguiti esclusivamente da personale medico”.  Il test, assicurano, ha il 98% di attendibilità e si effettua tramite la classica punturina sul dito per estrarre il sangue. Il risultato arriva in 3 minuti sulla classica barretta simile a quella dei test di gravidanza. Chiamo e prenoto due test. Lo studio ha disponibilità per la settimana seguente, quindi devo supporre che i milanesi che effettuano il test a pagamento siano molti.  Chiedo il prezzo: 120 euro l’uno. Che è un prezzo alto, altissimo, anche tenendo conto del guadagno di chi lo rivende (i kit costano circa 4 euro).

Ieri, ovvero il giorno dell’appuntamento, mi accorgo che l’indirizzo dello studio è quello di un centro di chirurgia estetica: lo studio Borbon del medico chirurgo Giulio Borbon. Il palazzo signorile è in zona Conciliazione e nello studio ci accoglie il chirurgo stesso, che è molto gentile. Ovviamente abbiamo già la mascherina ma all’ingresso siamo invitati ad indossare dei guanti che ci forniscono loro. Firmiamo un’informativa in cui si specifica che un test positivo non vuol dire che si è immuni e che un test negativo non vuol dire che non si è stati infettati non di recente. In effetti è un modulo da laboratorio, corretto, ma che comunque ribadisce il fatto che i test sierologici sono sì, al massimo “una fotografia”, ma anche piuttosto sgranata.  Il medico mi racconta che molte aziende, soprattutto nel settore moda, gli stanno chiedendo i test e che non ha mai trovato positività al test in persone che non avevano avuto i sintomi. Se ha ragione, penso, sarò negativa anche io, perché negli ultimi tre mesi sono stata sempre bene se escludo alcuni sintomi legati all’allergia che possono trarre in inganno, ma che ormai- soffrendone da anni- so riconoscere alla perfezione.

Spiego al medico che sto facendo il test anche per documentare la cosa e chiedo di poter fotografare il momento del prelievo ma mi dice di no, aggiunge che in realtà sperava di evitare questa esposizione perché c’è molta attenzione su questo tema e vorrebbe evitare polemiche, seppure lui sia autorizzato a effettuare questi test a pagamento. Rispondo che questi test sono pubblicizzati dal suo studio in una pagina Instagram con 10.000 follower. In tre minuti, dopo la puntura sul dito, il risultato dei due test appare subito evidente: è negativo sia per me che per il mio fidanzato. Non abbiamo gli anticorpi. In teoria, dunque, non abbiamo contratto il virus. Di sicuro, almeno, non di recente e almeno su questo direi che non avevamo dubbi, vista la quarantena di due mesi. Lo stesso test, effettuato in farmacia da un parente del mio fidanzato a Cremona pochi giorni fa invece ha dato esito positivo. Aveva avuto sintomi piuttosto evidenti ma naturalmente gli era stato rifiutato il tampone. Alla fine paghiamo i 120 euro a testa e ringraziamo il medico. Gli faccio però notare che il prezzo del test è decisamente troppo alto. Lui mi risponde che comunque lo effettua in uno studio e ha del personale lì a lavorare.

Legittimo, per carità, ma far pagare 120 euro un test che ne costa 4 rimane eccessivo. Il giornalista Vincenzo Iurillo che per Il Fatto ha condotto un’inchiesta molto articolata sui test sierologici me lo conferma: “Il prezzo di quei kit è 3/4 euro e a tanto sono stati venduti alle regioni. Non penso che un privato possa effettuare quel test per giunta, a meno che non sia un laboratorio privato accreditato dalla Regione e autorizzato, ma dubito che un chirurgo estetico lo possa fare. L’informativa comunque era corretta”. Insomma, torna la domanda iniziale. A che serve un test sierologico? Ad avere la conferma di aver avuto il Covid, se si hanno avuto i sintomi ma non è stato effettuato il tampone. Al massimo. E forse neppure a questo, con certezza. Dunque, se volete un consiglio, risparmiate i vostri soldi, a meno che il test non vi venga venduto a un prezzo ragionevole e cioè, al massimo, ma proprio al massimo 50 euro (tenuto conto del ricarico doganale eventuale e del servizio di chi ve lo vende).

Leggi anche: 1. “Quel cimitero di convitto deve chiudere”, le testimonianze strazianti dalla Rsa più prestigiosa di Torino (di Selvaggia Lucarelli) / 2. “Mia madre 75enne è abbandonata in un hotel di Milano per la quarantena senza visite né tamponi”

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