Il paradosso dei tamponi per il Coronavirus: se un calciatore è positivo fanno test a tutta la squadra, ma non ai medici in prima linea
Il paradosso dei tamponi per il Coronavirus: se un calciatore è positivo fanno test a tutta la squadra, ma non ai medici in prima linea
“È una situazione drammatica, ci stanno trattando come carne da macello”. Pierino Di Silverio, rappresentante nazionale del sindacato Anaao Assomed giovanile, a TPI denuncia uno dei più grandi paradossi per i medici in prima linea nella lotta al Covid-19: a un medico che entra in contatto con un paziente poi risultato positivo al Coronavirus oggi non viene fatto il tampone, almeno finché è asintomatico. Ben diverso è ciò che accade, ad esempio, ai calciatori: come abbiamo visto nel caso di Gabbiadini, al test è stata sottoposta tutta la Sampdoria (e a risultare positivi sono stati altri 4 giocatori e un membro dello staff sanitario della squadra).
“Oggi un medico che lavora in corsia, e che in moltissime occasioni non è ancora dotato dei dispositivi di protezione individuale, se ha a che fare con un paziente poi risultato positivo al Coronavirus, continua a lavorare senza che gli venga fatto un tampone“, spiega il medico. “Il test viene eseguito solo se anche l’operatore sanitario ha dei sintomi e, se risulta positivo, viene messo in isolamento. Ma in questo modo un medico asintomatico può diffondere il virus senza saperlo, coinvolgendo proprio le persone più fragili, cioè i pazienti ricoverati in ospedale”.
Coronavirus, un malato su 10 è un operatore sanitario
In provincia di Bergamo, una delle più colpite dal Coronavirus in Italia, 50 medici sono stati infettati e uno di questi è morto nei giorni scorsi. Alla conta delle vittime si è aggiunto anche il presidente dell’Ordine dei Medici di Varese, Roberto Stella. “Ogni mezz’ora riceviamo la notizia di nuovi colleghi intubati, una collega anestetista è stata intubata e non ha neanche 50 anni”, denuncia Di Silverio.
Che gli operatori sanitari siano i soggetti più a rischio emerge anche dai numeri forniti dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo). “Gli operatori sanitari contagiati sono stati, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità diffusi ieri, 1116, su 13882 rilevati dalle Regioni. Poco meno del dieci per cento”, ha sottolineato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo. “Eppure, la letteratura internazionale invita, in caso di epidemia, a mettere in sicurezza il personale sanitario, perché è la risorsa più preziosa”.
I dispositivi di protezione
Centrale per la tutela degli operatori sanitari è il tema dei dispositivi di protezione individuale (dpi), come mascherine idonee e guanti, sul quale il sindacato Anaao Assomed ha inviato una lettera aperta al presidente del Consiglio Conte e al ministro Speranza. “Ancora oggi operiamo senza dispositivi di protezione”, sottolinea Di Silverio. “E continuiamo ad ammalarci”.
“Ieri abbiamo fatto una riunione, come Ordine dei medici, sull’emergenza Covid-19”, ha spiegato a TPI il professor Antonio Magi, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici e Chirurghi di Roma. “Il problema principale è salvaguardare gli operatori in prima linea, sia per la medicina generale, sia per la specialistica ambulatoriale, sia per quella ospedaliera”.
“Siamo in attesa dell’arrivo di tutti i dpi, perché sono carenti e quelli che ci sono non sono adeguati alle necessità”, sottolinea. “Per questo chiediamo che il materiale in arrivo sia destinato agli operatori sanitari. Nell’attesa, abbiamo chiesto che vengano riviste alcune attività operative. Quando arriveranno i dpi, inoltre, dovranno essere utilizzati in maniera corretta, in base al decalogo dell’Oms nella delibera del 27 febbraio 2020. Abbiamo chiesto infine che gli studi di medicina generale svolgano attività soltanto telefonica, in modo da non divenire punti di diffusione della patologia, come è successo in Cina. Lo stesso vale per gli ambulatori delle Asl”.
La questione dei tamponi
“Se non ha i dispositivi di protezione, il medico può essere un veicolo”, dice Magi a TPI, e conferma: “In questo momento i tamponi vengono fatti solo ai sintomatici, incluso il personale sanitario che sospettiamo in maniera importante”.
Sul paradosso relativo ai calciatori dice: “Vale anche per i politici. Purtroppo come sempre ci sono delle anomalie”. Ma si spinge anche oltre: “A questo punto il tampone è solo una conferma della malattia in atto: a questo punto bisognerebbe rielaborare le procedure, come se tutti quanti fossimo contagiati. Chiunque abbia la febbre dovrebbe restare a casa, i tamponi andrebbero fatti solo in determinati momenti”.
Le misure di sorveglianza sanitaria per i medici, spiega Di Silverio, sono state modificate con il decreto legge 9 marzo 2020 n. 14 (Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale in relazione all’emergenza Covid-19). All’articolo 7, il decreto dispone che non si applichi più al personale sanitario la misura della quarantena prevista nel decreto legge del 23 febbraio 2020 per gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di Coronavirus. In sostanza, se un medico è stato a contatto con un paziente positivo per lui non scatta automaticamente la quarantena. “I medesimi operatori”, prosegue l’articolo 7, “sospendono l’attività nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per Covid-19”.
“Il problema è che il test per questi medici non viene proprio più eseguito”, dice Pierino Di Silverio. “A meno che non siano sintomatici. Ma questo è un problema enorme non solo per l’incolumità del medico, ma anche per quella dei pazienti. Siamo potenziali untori”.
Il sindacalista chiede che gli operatori entrati in contatto con paziente positivo al Covid-19 sia immediatamente sottoposto a tampone e, in caso di esito positivo, sia sottoposto a isolamento, da interrompere quando il test dia esito negativo.
“In questo momento noi medici siamo come martiri ed eroi”, sostiene Di Silverio, “Ma questa crisi non ha bisogno di martiri né di eroi. Ci sarebbe bisogno solo di un po’ di buonsenso, che in alcuni momenti però sembra venire a mancare”.
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