“Quello che il Coronavirus ci ha insegnato sull’importanza della digitalizzazione”: la riflessione del sottosegretario Orrico
Il sottosegretario Orrico: “L’importanza della digitalizzazione ai tempi del Coronavirus”
Nel dibattito sul rapporto tra uomo e tecnologia quanto influenzerà quello che stiamo vivendo in queste lunghe giornate di isolamento? Dal mio punto di vista la forzata digitalizzazione di alcuni processi e del lavoro potrebbe aiutare il nostro Paese a rivedere il rapporto con le nuove tecnologie e, finalmente, ad iniziare a governare meglio i processi di innovazione. L’obbligo di ricorrere allo smart working sta generando tutta una serie di conseguenze di cui non potremo non tener conto quando tutto questo sarà finito e potremo ritornare alla nostra vita. La rivoluzione si sta imponendo soprattutto nel settore pubblico, storicamente meno avvezzo e, certamente, meno pronto ad applicare il concetto di lavoro a distanza attraverso gli strumenti digitali.
La digitalizzazione deve essere il fiore all’occhiello della PA, perché riveste un ruolo strategico in termini di semplificazione delle procedure amministrative, di velocizzazione dei processi, di miglioramento della qualità e della produttività. L’Italia, purtroppo, non ha saputo cogliere all’inizio le straordinarie potenzialità del digitale, accumulando negli anni un grande ritardo, scivolando in fondo alla classifica in fatto di digitalizzazione tra i Paesi più avanzati. Solo con gli ultimi governi è stato avviato un serio sforzo per recuperare quel gap, sono state attivate strategie capaci di indirizzare il Paese verso la necessaria trasformazione digitale e tecnologica.
Non eravamo pronti però allo smart working ed il Coronavirus ci ha costretto ad accelerare un percorso che a fatica iniziava a muovere i primi passi in un Paese, l’Italia, sempre abbastanza resistente ai cambiamenti. Adesso che siamo costretti a lavorare a distanza, potremo capire i limiti e anche le opportunità che si celano dietro la digitalizzazione del lavoro. Non eravamo pronti allo smart working e l’emergenza attuale ci ha costretto ad accelerare un percorso che a fatica iniziava a muovere i primi passi in un Paese, l’Italia, sempre abbastanza resistente ai cambiamenti. Adesso che siamo costretti a lavorare a distanza, potremo capire i limiti e anche le opportunità che si celano dietro la digitalizzazione del lavoro.
Ma il digitale ci sta anche aiutando a trascorrere meglio la quarantena che tutti responsabilmente dobbiamo osservare. Attraverso i social e le piattaforme streaming possiamo godere di tantissimi contenuti di intrattenimento culturale: dalla visita virtuale di musei e parchi archeologici, alla visione di tantissimi film e opere teatrali, alle serie tv, fino ai libri attraverso momenti di lettura collettiva online, consigli di autori e personalità del mondo dello spettacolo. Ci rendiamo così conto di quanto sia cambiato il modo di fruire la cultura e di come ancora possa evolversi.
Certo, anche in questo caso le domande sulle conseguenze che ne deriveranno sono molteplici: penso, tuttavia, che le nuove tecnologie possano essere una grande risorsa per intensificare l’esperienza di vivere l’arte che ognuno di noi può fare. Il legame tra le persone e la cultura, infatti, è un legame fisico che si basa su sentimenti ed emozioni positive: andare al cinema o a teatro, visitare un museo e fissare – anche per ore – un quadro saranno sempre esperienze che richiederanno il contatto fisico, ma potranno diventare esperienze sensoriali a 360 gradi nelle quali, proprio la tecnologia, potrà arricchire e migliorare la nostra percezione di un’opera, aiutarci a conoscerne i retroscena, stimolarci ad approfondire. Soprattutto, la tecnologia, potrà rendere accessibile la cultura a tutti, senza alcuna discriminazione e senza nessuna barriera. Un obiettivo, quest’ultimo, capace di restituirci un po’ di quella empatia ed umanità di cui, solitamente, accusiamo di essere sprovvisti solo i freddi sistemi digitali.
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