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“Vorrei restare a casa”: la campagna in difesa dei senzatetto per l’emergenza Coronavirus

Immagine di copertina
Credit: © Adisorn Chabsungnoen/SOPA Images via ZUMA Wire

Coronavirus, l’emergenza per i senzatetto

“Resta a casa” non è solo la raccomandazione più frequentemente sentita negli ultimi giorni, ma è anche il nome scelto dal premier Giuseppe Conte per il nuovo decreto ministeriale sull’emergenza Coronavirus che estende la “zona rossa” a tutta Italia. Per alcuni italiani è stato difficile rispettare questo semplice monito volto a limitare il numero dei contagi, ma “stare a casa” in questi giorni è necessario per tutti. E se per alcuni di noi una restrizione così confortevole è così complicata da seguire, proviamo allora a convincerci pensando a quelli che una casa non ce l’hanno. E che non possono nemmeno starsene comodi a casa in quarantena. Eppure, i senzatetto sono tra i più esposti all’epidemia.

L’associazione di Roma Binario 95 ha appena lanciato una campagna parallela al #iorestoacasa con l’hashtag #vorreirestareacasa per richiamare l’attenzione anche sulle difficili condizioni dei senzatetto.

L’associazione che si occupa di assistenza delle persone senza dimora in questi giorni di emergenza ha dovuto sospendere le raccolte di indumenti e che sta cercando dei modi per prestare assistenza rispettando anche le misure di sicurezza per evitare il dilagarsi dei contagi da Coronavirus.

Nel lancio della campagna #vorreistareacasa, Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95 e direttore dell’Osservatorio nazionale della solidarietà nelle stazioni italiane, spiega: “Solo le stime Istat parlano di 50 mila persone senza dimora, di cui 7 mila solo a Roma. Tuttavia, noi abbiamo contato nell’ultimo anno 20 mila persone che hanno chiesto aiuto alla sala operativa a cui si aggiungono le 12 mila persone che vivono nelle strutture occupate di Roma, le circa 5 mila presenze nei campi rom della Capitale. Con quelli non intercettati arriviamo alle 40 mila persone che non hanno una struttura abitativa o un contesto che possa favorire la possibilità di gestire una situazione critica come questa”.

“Oltre a non avere una casa nella quale isolarsi – spiega una nota diffusa dall’associazione – le persone senza dimora sono comunque costrette ad utilizzare le mense per nutrirsi e i centri di accoglienza per dormire, entrambi luoghi in genere affollati e promiscui, nei quali la distanza minima non può essere, in molti casi, rispettata. Chi non ha un’abitazione, inoltre, pur avendo compreso la gravità della situazione e sforzandosi con buona volontà di rispettare le regole, ha molta difficoltà ad adeguarsi alle norme igieniche di base previste dal Dpcm per non parlare della complessità nel reperire i dispositivi di protezione, perché non ne ha le possibilità economiche”.

Gli operatori stanno continuando a fornire assistenza necessaria “con una giusta informazione sulle procedure da adottare in caso di rischio – dichiarano da Binario 95 -, attraverso una cartellonistica multilingue semplificata e ben visibile. Sono stati, inoltre, predisposti i dispositivi di sicurezza, quali gel, mascherine e fazzoletti, e sono state intensificate le pulizie delle superfici e degli ambienti, con una sanificazione ad hoc delle docce, dopo ogni utilizzo”.

Ma sono sempre a rischio. “Nel caso in cui un solo ospite si ammalasse, tutta la struttura potrebbe essere preclusa e, se messa in quarantena, verrebbe meno il servizio per altre decine di utenti. Dobbiamo proteggere le persone senza dimora che ospitiamo e tutelare il lavoro dei nostri operatori – spiega Radicchi -. Chiediamo alle istituzioni, comunali in particolare, di non lasciarci soli ed iniziare a pensare da subito alla possibilità di predisporre dei luoghi dedicati alla quarantena di chi una casa non la ha”.

“Ci sono delle strutture che potrebbero essere utilizzate – dice il fondatore di Binario 95 – parlo dei progetti di housing e di condominio sociale che verranno essere utilizzati in prossime progettualità finanziati con i fondi del Pon. Dobbiamo attivare da subito, senza aspettare, quegli appartamenti in modo tale che almeno alcune persone abbiano un luogo con stanze separate dove poter andare nel caso ce ne fosse bisogno, con la presenza di operatori sociosanitari. Dobbiamo creare delle case alternative per garantire questo isolamento a chi non ha casa”.

“L’emergenza deve portare” continua Radicchi, “a rivedere rivedere il sistema di accoglienza, ripensando il ruolo dei centri e dando il giusto valore all’estrema responsabilità di cui si fanno carica nel supportare persone che non hanno altre forme di supporto, come la famiglia. Bisognerà ripensare agli investimenti sull’housing, all’importanza di centri più piccoli, meno legati ai grandi numeri, al dialogo con il servizio sanitario nazionale, che in molti luoghi è già estremamente proficuo. L’emergenza sta cambiando la nostra vita. Speriamo che questo cambio porti ad una nuova visione che non escluda ancora di più chi vive ai margini”.

Secondo le ultime stime Istat le persone senza fissa dimora in Italia sono 50.724, di cui 7.709 solo a Roma.
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