A Milano ogni giorno 300 morti in più rispetto alla media: i dati Istat sull’effetto Covid-19
Coronavirus, record di morti a Milano: 36 per cento rispetto alla media stagionale
Milano è la metropoli più colpita dall’epidemia di Coronavirus in Italia: nel capoluogo meneghino la mortalità rispetto alla media stagionale è aumentata del 36 per cento, mentre nelle altri principali città del nord la percentuale di morti registrati è minore. A Bologna, per esempio, i decessi sono aumentati solo del 19 per cento rispetto alla media stagionale nel periodo preso in esame. Lo rivela il rapporto Istat che ha calcolato l’andamento della mortalità giornaliera nelle principali città italiane nel periodo che va dal primo febbraio al 21 marzo 2020.
Il primo dato interessante è che si parte da una media di decessi già alta nel periodo di rilevamento – soprattutto da inizio febbraio a metà mese – per via dell’influenza stagionale, che ha determinato un incremento del “pool” di soggetti più fragili, i quali si sono trovati esposti all’epidemia di COVID-19 a partire dalla fine del mese, un fenomeno che “può aver aumentato l’impatto dell’epidemia nella popolazione anziana”, si legge nel rapporto.
I dati delle singole città evidenziano incrementi della mortalità in tutte le fasce di età in diverse città del nord, soprattutto nelle 2 città lombarde incluse nella sorveglianza: Milano (+36%), Brescia (+88%). Un eccesso significativo si osserva anche a Bolzano (+34%), Torino (+16%), Genova (+38%), ma non a Verona e Bologna, dove l’incremento è rispettivamente del 19 e del 31 per cento. Significa cioè che nelle prime tre regioni italiane per decessi da Covid-19 il virus si è comportato in modo diverso, con conseguenze molto più devastanti in Lombardia che in Veneto ed Emilia Romagna per quanto riguarda i decessi nei capoluoghi. Eppure, per come si è diffusa l’epidemia, avrebbero potuto essere devastate allo stesso modo.
A Milano nel 2020, superata la “zona rossa” dell’influenza stagionale, la linea nera della mortalità schizza verso l’alto, a partire dal 14-15 marzo. Per comprendere lo “scarto” rispetto agli anni precedenti – il cui tasso di mortalità è rappresentato dalla ‘baseline’, la linea tratteggiata nel grafico sottostante – basta prendere in esempio il numero di morti che si sono registrati in un giorno. Se si considerano i dati del 19 marzo, lo scarto tra le morti “attese” in base alla media stagionale e quelle effettive è di 289 morti: il 36 per cento in più, appunto.
Tenendo conto del periodo d’incubazione, che dura circa 14 giorni, la stragrande maggioranza dei contagi che ha portato a così tanti morti a metà marzo è avvenuta a fine febbraio, quando i primi casi di Coronavirus erano già esplosi in Lombardia e le istituzioni si interrogavano su quali fossero le misure da prendere, se fosse necessario chiudere altre zone oltre a quella cluster di Codogno. La “chiusura totale”, è avvenuta solo il 7 marzo, quando probabilmente la stragrande maggioranza delle vittime registrate a metà marzo aveva già contratto il virus. Viene da chiedersi perché gli effetti su Milano siano stati così devastanti e se alcune morti potevano essere evitate adottando misure diverse.
Il quadro in Lombardia: la mancata chiusura della Val Seriana
Sulla mancata chiusura di Alzano Lombardo e Nembro, i due comuni Imposta immagine in evidenzain provincia di Bergamo da cui si è originato il focolaio di Coronavirus che ha messo in ginocchio l’intera Lombardia, adesso è scontro tra il premier Giuseppe Conte e il governatore Attilio Fontana. Dopo l’inchiesta di TPI (qui la ricostruzione completa della vicenda), che ha rivelato l’esistenza di una nota riservata dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) del 2 marzo in cui si raccomandava al Governo la chiusura dei due comuni a causa dell’elevata incidenza di contagi, il presidente del Consiglio ha risposto con una nota formale al nostro giornale, affermando che la Regione Lombardia avrebbe potuto istituire la zona rossa in qualsiasi momento. Fontana, però, ha subito replicato al premier, accendendo nuovamente la miccia di una polemica tra Governo e Regione che va avanti per motivi diversi dall’inizio dell’emergenza Covid-19 in Italia.