Coronavirus, si resta infetti anche per 2 mesi: i sintomi che resistono più a lungo
Coronavirus, quanto dura? Si resta infetti anche per 2 mesi: i sintomi che resistono
In questi giorni il caso di Bianca Dobroiu, la ragazza di 23 anni in quarantena ormai da quasi 60 giorni e ancora positiva al Coronavirus seppur sia senza sintomi da marzo, ha fatto molto discutere in Italia, facendo sorgere molte domande ai cittadini che si chiedono quanto dura la malattia all’interno del nostro corpo e per quanto tempo si protraggono i sintomi principali del Covid. Non esiste una risposta univoca: abbiamo visto che il virus ha conseguenze molto diverse a seconda dell’età del paziente e talvolta anche del sesso. Ciò che è certo e dimostrato da decine di testimonianze, però, è che per i casi più gravi la guarigione può essere molto faticosa. E che allo stesso tempo ci sono pazienti con sintomi lievi, costretti però per lunghissimo tempo a rimanere in isolamento perché positivi.
Il Covid-19, per tutto il mondo scientifico, è una malattia del tutto nuova. Di conseguenza, tutte le strutture ospedaliere stanno imparando solo in questi mesi come trattarla. Anche il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, ha sottolineato l’importanza di condurre “studi e valutazioni in maniera rigorosa per avere un quadro definito” del Coronavirus. In attesa di avere il tempo materiale per farlo, per studiare l’evoluzione dei sintomi del virus bisogna guardare ai casi già esistenti. E già solo a guardare i pazienti che, loro malgrado, sono diventati più celebri nel nostro Paese, ci si accorge che il Coronavirus dura anche molto a lungo.
E’ il caso dei due pazienti cinesi che hanno rappresentato i primi casi di Covid-19 in Italia. La coppia di turisti, provenienti da Wuhan, venne portata all’Istituto Spallanzani il 29 gennaio. Dopo essere stati anche in terapia intensiva, sono stati dimessi 49 giorni dopo il ricovero, ma prima di ritrovare la libertà hanno trascorso un altro mese al San Filippo Neri. Un totale di 80 giorni: questo il tempo impiegato da marito e moglie di 66 e 65 anni per guarire dal Coronavirus.
Interpellato da Il Messaggero, il professor Massimo Galli (primario di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano) ha spiegato cosa succede ai pazienti più gravi dopo essere guariti dal Coronavirus: “La cosa che più ci preoccupa – ha spiegato il medico – sono i reliquati a livello polmonare. Molti se la cavano, ma sembra abbastanza evidente che diversi abbiano problemi polmonari di una certa importanza. Anosmia e disosmia, cioè i disturbi dell’olfatto e dell’odorato, di solito vanno a migliorare o a sparire, anche se non è per tutti così”. In altre parole, se la perdita di olfatto (e gusto) va a migliorare sempre, i pazienti che hanno avuto una polmonite più forte devono convivere a lungo con un’insufficienza respiratoria, anche dopo le dimissioni dall’ospedale.
A questo proposito, sempre a Il Messaggero, Galli fa però una precisazione: “Sia chiaro: non significa che i pazienti più gravi, una volta guariti, abbiano tutti la bombola d’ossigeno, non è affatto così, però dei reliquati di ordine respiratorio non trascurabili ci possono essere. Ma ribadiamolo per essere precisi: la stragrande maggioranza delle persone che si infettano neppure arrivano in ospedale e si lasciano alle spalle l’esperienza senza problemi particolari. Se invece parliamo del numero limitato di coloro che finiscono in terapia intensiva, per diversi c’è necessità di percorsi significativi di riabilitazione respiratoria”.
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