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L’Umbria equiparata alla Lombardia: il paradosso dell’indice Rt e delle tabelle (fuorvianti) del Ministero

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Coronavirus, il paradosso dell’indice Rt: l’Umbria equiparata alla Lombardia

Sembra una storia surreale, ma rischia di essere l’ennesimo pasticcio gestito male dai burocrati dei numeri e malissimo dai professionisti della comunicazione in tempo di pandemia. 
Il paradosso nasce dal Report di Monitoraggio della Fase 2, lo strumento di cui si è dotato il ministero della Salute in collaborazione con l’ISS per osservare l’andamento del contagio ora che il lockdown è cessato. Ebbene il primo “mostro” generato dal Report viene reso pubblico nella tarda serata di sabato 16 maggio quando, a margine della diffusione delle tabelle, dal Ministero fanno sapere che le tre regioni “sotto osservazione” con una classificazione di allerta “moderata – livello 3” (a differenza delle restanti 17 regioni italiane tutte con valutazione “bassa – livello 2”) sono la Lombardia, il Molise e l’Umbria. Proprio così: il Molise e l’Umbria, due regioni passate praticamente “indenni” dalla Fase 1 messe sullo stesso livello della Lombardia.

A creare il “mostro” è il valore Rt che calcola l’incremento del contagio.
 Questo perché secondo chi fa i modelli di calcolo relativo al rischio di contagio (frutto di osservazioni settimanali determinate dal differenziale fra una settimana e quella successiva) in Umbria sarebbe aumentato in seguito alla registrazione di 7 nuovi casi nella settimana d’uscita dalla Fase 2. Sette è un numero che sia in termini assoluti che relativi (su una popolazione di 900mila abitanti) è nullo. Eppure se lo standard della regione meno colpita d’Italia dal Covid, ovvero l’Umbria, nelle settimane precedenti è sempre stato di 0-4 nuovi contagi al giorno quel numero crea un’oscillazione percentuale fortissima e sufficiente a cambiare la classificazione dell’Umbria. 
Si tratta dunque di un parametro corretto? Assolutamente no. Si tratta di un parametro fuorviante e totalmente decontestualizzato.

Prova ne è che a oggi, in attesa di misure di calcolo correttive, l’Umbria secondo il ministero della Sanità avrebbe una situazione di rischio uguale a quello della Lombardia. Proprio così: la regione meno colpita d’Italia dal Covid-19 per chi monitora i dati viene messa sullo stesso piano di quella più colpita. 
L’Umbria come la Lombardia. L’Umbria che a oggi vanta la percentuale di guariti più alta d’Italia (89,17%), la percentuale di morti più bassa del Paese (5,13%), il numero di “attualmente positivi” più basso dello Stivale (un positivo ogni 11mila abitanti, 81 in numeri assoluti).

Una regione che di fatto è a contagio zero da inizio aprile, una regione che negli ultimi 15 giorni ha registrato i seguenti casi di nuove positività quotidiane: +2, 0, +2, +1, 0, +7, +1, +4, +1, +1, +1, +4, +6, 0, 0 (per un totale di 30 nuovi positivi nelle ultime due settimane). Una regione che a oggi ha “appena” 25 ricoverati con sintomi e 2 ricoverati in terapia intensiva. Una regione che da 15 giorni sta facendo tamponi a tappeto a tutte le categorie a rischio. Di fatto una regione covid-free, che però, secondo il ministero, è da tenere “sotto osservazione” quanto la Lombardia.

Esperti e opinionisti avevano già segnalato, inascoltati, nei giorni scorsi il rischio paradosso. Ma la cosa più inquietante è che il rischio di un bug e l’assoluta necessità dei correttivi nei modelli di calcolo adottati dal ministero erano stati invocati e richiesti in tempi non sospetti (fine aprile) anche dal Comitato di Supporto Tecnico Scientifico Università-Regione che avevano messo in guardia circa il rischio che modelli settimanali tarati su Regioni con numeri di contagio bassissimi avrebbero potuto innescare falsi allarmi al primo minimo rialzo. E così è stato.

Il governo non ha ascoltato e l’immagine dell’Umbria, oggi regione meno colpita d’Italia dal Coronavirus, è stata messa ko da una comunicazione superficiale e da una diffusione decontestualizzata di dati da trattare con estrema cautela.
 Ovviamente il problema non riguarda soltanto l’Umbria o il Molise ma è a tutti gli effetti una questione nazionale: perché un domani lo stesso danno potrebbero subirlo altre regioni. E a essere più esposte ai rischi del paradosso sono proprio le regioni più “sane” e con i numeri più bassi. I numeri piccoli infatti sono molto più soggetti alle oscillazioni percentuali in assenza di un correttivo. 
Con la beffa che i territori che stanno meglio rischiano di passare agli occhi dell’opinione pubblica come quelli messi peggio.
 Non solo: se da questi parametri dipenderà anche la possibilità di spostarsi da una regione all’altra il danno non sarà soltanto di immagine ma anche sostanziale.
 Sarebbe opportuno, almeno in questo, un piccolo passo indietro da parte del ministero attraverso l’inserimento di un correttivo dei modelli di calcolo che dia una fotografia più reale della situazione. E che ripristini una narrazione corretta dell’andamento dell’epidemia.

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