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“Non andare a lavoro, ci contagi”: i biglietti ricevuti da un medico di una Rsa di Milano. Glieli mandano i vicini di casa

Immagine di copertina
Credits: ESPA Photo Agency/CSM via ZUMA Wire

Coronavirus, medico Rsa di Milano riceve biglietti dai vicini: “Ci contagi”

Se c’è una cosa che la pandemia di Coronavirus ha insegnato all’Italia è quanto è importante e delicato il lavoro di medici infermieri, ritratti in queste difficili settimane come veri e propri supereroi. Eppure, allo stesso tempo, la loro prolungata esposizione alla malattia, complice l’inevitabile vicinanza ai pazienti positivi, alimenta la paura degli altri cittadini, che temono che i medici possano essere portatori del virus. Tutto ciò scatena anche brutti episodi di intolleranza e maleducazione. Ne sa qualcosa un medico di Milano, che ricopre una posizione di rilievo all’interno di una storia Rsa della città e che nei giorni scorsi ha trovato nella cassetta delle lettere un biglietto lasciato dai vicini di casa: “Qui abitano anziani, attento. Potresti prenderlo di nuovo, il Covid. Smettila di andare a lavorare”.

Il geriatra ha raccontato la sua storia al Corriere della Sera. Insieme alla moglie e ai due figli piccoli vive in un condominio nella zona Nord di Milano. “A marzo – ha dichiarato – il virus è entrato nella Rsa dove lavoro, io l’ho preso in forma piuttosto seria e l’ho passato purtroppo anche alla mia compagna, mentre i bambini non hanno mai avuto sintomi”. Il medico e la sua famiglia hanno trascorso un mese a casa, in quarantena, e hanno anche ricevuto la solidarietà dei vicini, che portavano loro la spesa fino a casa. “Quei momenti – ha ammesso il geriatra – rendono ancora più difficile sopportare il voltafaccia”. Dopo essere guarito dal Coronavirus, infatti, il medico è tornato a lavoro, mentre la compagna non sta ancora bene: “Impossibile sapere se era guarita e si è riammalata o se non è mai guarita, perché non le hanno mai fatto fare alcun test. Questa incertezza non aiuta le relazioni”.

La diffidenza dei vicini è esplosa lunedì scorso, quando il medico e la famiglia sono scesi in cortile per una passeggiata. “Com’è che d’improvviso – si chiede il dottore nell’intervista al Corriere della Sera – i vicini sgusciano via e ci guardano con sospettoso distacco? Non uno che ci abbia chiesto come stiamo, se ci siamo del tutto ripresi”. Quel giorno, nella cassetta della posta, arriva un secondo biglietto: “Tienili a casa i bambini, lontani dal cortile e dall’ascensore”. Nel suo sfogo, il medico milanese ha tenuto a precisare: “Siamo professionisti al servizio della collettività e allo stesso tempo anche potenziali fonti di contagio. Ma sappiamo meglio di chiunque altro le precauzioni da usare. Teniamo sempre guanti e mascherine, rimaniamo a distanza di sicurezza. Non intendo irridere le paure altrui ma voglio essere chiaro: sono timori irrazionali. Lo stigma sociale, se isola le famiglie, può tra l’altro comportare maggiori difficoltà a controllare il contagio. Potrebbe spingere le persone a nascondere la malattia o non chiedere subito aiuto per evitare possibili discriminazioni. Ricordiamoci che la paura dell’altro, se non governata, è pericolosa. Il ghetto non è la soluzione”.

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