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“In Lombardia si rischia ancora di morire come mosche. Per la sanità occorre un commissario, ecco chi”: la proposta di Milano 2030

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Domani verrà presentato ufficialmente il dossier alla base della richiesta di commissariamento della sanità lombarda. Sergio Marsicano, psicologo e psicoterapeuta della rete Milano 2030 dichiara a TPI: "Non ce l'abbiamo con Gallera, ma questa Giunta non è in grado di distanziarsi dalla strada tracciata da Formigoni". La proposta: l'ex senatrice e direttrice generale del Ministero della Sanità Nerina Dirindin commissaria

Milano 2030, la proposta per il commissario della sanità lombarda

La rete Milano 2030 formalizza la richiesta di commissariamento della sanità lombarda, forte delle quasi 80.000 firme raccolte su change.org. L’istanza al ministro della Salute Roberto Speranza si basa su un corposo dossier messo a punto dai consulenti tecnici di Milano 2030, che lo renderanno pubblico nel corso della conferenza stampa organizzata per mercoledì 13 maggio alle ore 11.30, sulla pagina Facebook di Milano 2030. A illustrarne i contenuti saranno i tre medici che hanno lavorato al dossier: Angelo Barbato (psichiatra e presidente del Forum per il Diritto alla Salute), Gian Piero Riboni (che si occupa di medicina del lavoro) e Sergio Marsicano (psicologo e psicoterapeuta).

TPI ha incontrato il Dott. Marsicano, che all’Ospedale San Carlo di Milano ha condotto il progetto di umanizzazione della cura dei pazienti oncologici, per poi occuparsi più in generale anche di altri malati cronici. Dal suo punto di vista, la nomina di un commissario ad acta è indispensabile, perché la Giunta che governa la Lombardia non è in grado di cambiare rotta: “Il nostro scopo non è certo dare una punizione a Gallera, del quale ci interessa il giusto, ma creare i presupposti affinché si possano assumere i provvedimenti che servono per uscire da questa gravissima emergenza. Questa Giunta non è assolutamente in grado di farlo, avendo dato alla sanità un’impostazione in linea con quella di Formigoni”.

Quali sono state le tappe di questo processo?

Nel 1992 Formigoni ha aziendalizzato il sistema, introducendo parametri economistici nel controllo della gestione; nel 2003 si è spinto sulla privatizzazione, sulla scia della riforma del Titolo V della Costituzione; infine nel 2015 è arrivata la Legge 23, che agendo sui malati cronici, ha inciso sul 36 per cento dei malati e sul 70 per cento del budget.

Con quali effetti?

L’introduzione della figura del gestore regionale ha indebolito il controllo da parte dei medici di medicina generale, specialmente sui pazienti policronici. L’effetto non si è sentito tanto a Milano, quanto nel bergamasco e nel bresciano, dove ci sono state molte adesioni a questo nuovo regime. Ciò ha portato al fatto che un algoritmo definisse di quante visite e quanti medicinali il malato cronico avesse bisogno nell’arco dell’anno: nel caso non bastino, al paziente non resta che pagarsele di tasca sua. Di fatto, quindi, i medici di medicina generale non seguono più questi pazienti

Questo, però, non basta a spiegare i disastrosi numeri della pandemia in Lombardia…

“La struttura della sanità lombarda è stata minata da una pluralità di fattori. Oltre a questa scelta, c’è stata la privatizzazione delle RSA, che all’inizio del Duemila erano per il 40 per cento pubbliche e ora sono al 95 per cento private. Questo ha portato anche a ridurre i controlli da parte dell’ATS, perché è chiaro che un privato investe se ha la possibilità di fare profitto: per questo i parametri delle convenzioni qui sono molto più loschi rispetto a quelli di altre regioni, come Toscana e in Emilia Romagna. A queste premesse si sono aggiunti provvedimenti come la disgraziata delibera dell’8 marzo, che manda i positivi nelle RSA, e soprattutto quello che invita a non portare in Pronto Soccorso i pazienti Over 65, in caso di sospetto Covid-19, ma di dare loro solo cure palliative. In pratica, li si destina a morire, anche se invece potevano essere curati.

Le RSA potevano prendere una posizione più netta rispetto a questa scelta della Regione?

“Nelle RSA ci sono molti geriatri, ma pochi medici. Per fortuna alcuni di loro si sono ribellati alle indicazioni della Regione, come dimostrano alcune lettere nelle quali si dice chiaramente che, non essendo pneumologi, non potevano curare pazienti di questo genere. Potevano al massimo somministrare cure palliative, ma sulla base di cosa potevano decidere che il paziente non potesse invece essere curato e guarito? In Regione sono arrivati a questi disastri perché a quel punto erano disperati e non sapevano più dove mettere i pazienti. Ma in questo modo hanno peggiorato la situazione, creando nelle RSA i problemi che ormai tutti conosciamo. La cosa da sottolineare, quindi, è che il caso Lombardia, non è il frutto di errori, ma di un percorso normato da atti. Un percorso che, ad esempio, tra il 2015 e il 2018 ha ridotto del 15 per cento i posti letto negli ospedali pubblici.

Stiamo quindi parlando della cronaca di un fallimento annunciato?

L’arrivo della pandemia non ha fatto che mettere a nudo una struttura che, oltre a contare su meno letti ospedalieri, aveva medici ormai abituati a trattare solo casi acuti e non i cronici, una sanità territoriale destrutturata praticamente sciogliendo i distretti delle ASL (e parliamo di 600/1.000 pazienti al giorno, che solo in parte ora afferiscono alle ASST), con personale ridotto e con il depotenziamento della medicina generale. Queste sono le ragioni della catastrofe lombarda, con 147 morti ogni 100mila abitanti, contro i 30 del resto d’Italia e contro i 15, ad esempio, del Veneto. Lì c’è un Presidente della Lega, che però non ha avuto la stessa impostazione sulla medicina territoriale. Anzi, ha chiuso immediatamente le RSA quando si è visto che c’era pericolo per quel tipo di pazienti, ovvero gli anziani con due o più malattie croniche”.

C’è però chi obietta che il commissariamento, in questa fase, sarebbe più destabilizzante che utile. Lei cosa ne pensa?

Il commissariamento è necessario per adottare i provvedimenti che questa gestione non adotterà mai, ad esempio sui tamponi. In Veneto hanno fatto tamponi a tappeto, tracciando i contatti di ogni soggetto risultato positivo. In Lombardia, ancora oggi, non si fanno i tamponi nemmeno al personale sanitario! Adesso si stanno concentrando sui test sierologici, come se fossero la soluzione…

Peraltro, notizia di qualche ora fa, la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo sulla scelta di Regione Lombardia di incaricare con affidamento diretto la multinazionale Diasorin per la sperimentazione dei test sierologici, portata avanti in collaborazione col Policlinico San Matteo di Pavia…

Bene che si faccia chiarezza, anche perché i test sierologici non servono a niente. Da questi test può emergere che un soggetto abbia gli anticorpi, ma non si può sapere quando li ha sviluppati. Quindi, poi serve il tampone, per stabilire se il soggetto è positivo.

Questo però lo ha detto anche Gallera

A maggior ragione, è una spesa inutile, come l’ospedale in Fiera. Peraltro fatto con soldi provenienti da donazioni, così come l’ampliamento dei posti al San Raffaele è stato fatto con i fondi messi a disposizione da Fedez e Chiara Ferragni. Stanno facendo cose allucinanti. Non so cos’altro potrebbero fare, nel caso arrivassero dei fondi anche dall’Europa.

Che cosa teme, precisamente?

Il rischio è molto grosso. Continuiamo ad avere una valanga di positivi, anche perché stiamo ricominciando a lavorare per mere ragioni economiche, ma dal punto di vista sanitario non siamo affatto stabilizzati. Basta fare il confronto con altre regioni, che ormai da settimane non hanno più nemmeno un morto. In Lombardia, per quanto siano calati, continua ad esserci il 60 per cento del totale nazionale! Bisogna assolutamente bloccare questa situazione, soprattutto per chi vive nei quartieri popolari: lì si rischia di morire come le mosche.

Perché le periferie sono maggiormente a rischio?

I contagi sono più frequenti per varie ragioni: le case sono piccole, i single sono il doppio rispetto al resto della città, molti nuclei sono formati da appena due persone, gli spazi sono condivisi da più persone, spesso anche disabili, e ci sono meno soldi per alimentarsi correttamente. Bisogna intervenire, perché la Regione non cambierà direzione. Non accetterà di tornare indietro e dire alle circa 660 RSA che ci sono in Lombardia e ai grandi gruppi che le controllano che devono cambiare impostazione e inserire più medici per gestire l’aspetto sanitario. Bisogna studiare una politica diversa, per trattare diversamente questi anziani, ma ci vogliono investimenti pubblici. In Regione sperano solo che l’estate si porti via il virus, ma il rischio è che a novembre ricomincino le polmoniti, con la significativa differenza che ci saranno molti più poveri, esasperati dalla situazione. Non illudiamoci: nulla sarà come prima.

Realisticamente, quanto ritenete probabile che la vostra richiesta di commissariamento sia accolta?

Noi lo abbiamo fatto per sensibilizzare le forze politiche, ma per arrivare a costruire qualcosa di buono per la Lombardia bisognerebbe creare un fronte ampio. Ci vorrebbe anche l’appoggio del PD, nel quale speriamo perché la situazione è gravissima. Dire che chi ha più di 75 anni non può essere curato in ospedale è pura eugenetica. Chi lo dice che un anziano malato di Covid-19 non possa essere curato, se preso per tempo? La cosa è molto pericolosa, perché oggi sono gli Over 75, domani potrebbero essere quelli con più di 60 anni, poi i portatori di handicap e poi chissà chi altro.

E’ un’accusa molto pesante…

Francamente, non capisco nemmeno come sia possibile che nel nostro Paese sia passato un provvedimento del genere. Se passa l’idea che uno di 75 anni deve morire, allora può toccare a tutto. Sembra un film di Ken Loach, ma questo è reale. In Lombardia siamo ormai ai livelli del Wisconsin o della Louisiana Illinois, dove la notevole percentuale di asiatici e afroamericani si traduce nell’elevata mortalità di chi non ha assicurazione sanitaria e viene lasciato al suo destino. Da noi il welfare è universale, ma la selezione avviene in altro modo. La situazione è di una gravità che va compresa e non riguarda solo la Lombardia: qui sono stati semplicemente più incapaci che da altre parti.

Ma chi potrebbe essere in grado di invertire la rotta, assumendo il ruolo di commissario della sanità lombarda?

Una figura che gode di consenso e stima è quella di Nerina Dirindin, professoressa associata di economia pubblica e politica sanitaria presso l’Università di Torino. E’ stata direttrice generale del Ministero della Sanità e assessora alla Sanità della Regione Sardegna, nonché senatrice del PD, prima di aderire ad Articolo 1.

Leggi anche:

1. Esclusivo TPI – Com’è andato davvero il turbolento Consiglio regionale della Lombardia che non ha sfiduciato Gallera: il verbale 2. Perché in Lombardia si muore? Gli errori di Fontana e altre sette importanti ragioni

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:
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