Galli a TPI: “A Milano la situazione è sfuggita di mano. Coprifuoco? Ormai è tardi”
Le recenti misure restrittive adottate dalla Regione Lombardia potrebbero non salvare la città meneghina dal lockdown. Ne è convinto l'infettivologo Massimo Galli, direttore/responsabile del reparto Malattie Infettive all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, che in un'intervista a TPI ha spiegato qual è la situazione dei ricoveri ospedalieri e cosa andava fatto per evitare la seconda ondata
L’Italia è nel pieno della seconda ondata di Coronavirus: la Lombardia registra sempre più casi, mentre Milano ora sembra essere l’epicentro dell’epidemia. Un incubo che si ripropone a distanza di pochi mesi e che rischia di rivelarsi addirittura peggiore di quello della prima ondata, quando il nostro Paese è stato letteralmente travolto dall’epidemia di Covid-19. “Una situazione stranamente simile a quella di marzo” la definisce Massimo Galli, direttore/responsabile del reparto Malattie Infettive all’Ospedale Luigi Sacco di Milano, che in un’intervista a TPI spiega qual è la situazione dei ricoveri ospedalieri nella città meneghina, quali sono le misure da prendere per evitare il lockdown e cosa andava fatto per evitare questa situazione di “déjà vu”.
Il responsabile Direzione Medica di Presidio dell’ospedale in cui lei lavora, il Sacco di Milano, ha dichiarato che al momento ci sono circa 200 pazienti Covid ricoverati nel nosocomio, di cui un centinaio in terapia intensiva. Siamo di nuovo al punto di partenza?
Premesso che non posso fornire i dati nel dettaglio perché non mi compete, quello che stiamo vivendo qui in ospedale è, come ho avuto già modo di dire in altre occasioni, un déjà vu. Stiamo ricominciando ad avere una situazione stranamente simile a quella che abbiamo già avuto a marzo. Cosa che certamente non ci fa piacere. Per ciò che concerne il mio reparto (Malattie infettive n.d.r.), posso aggiungere che in questo momento è pieno di malati impegnativi.
Rispetto a marzo, l’epicentro dell’epidemia ora sembrerebbe essere Milano.
Sì, a Milano stiamo vivendo una situazione complicata con una crescita importante dei casi. È un dato di fatto che il controllo della situazione è sfuggito o sta sfuggendo dal punto di vista del numero di pazienti che ci troviamo a vedere ogni giorno. Abbiamo focolai ormai diffusi e il problema è che ormai facciamo fatica a contenerli. Per questo motivo insieme ai colleghi Faccini e Rizzi abbiamo lanciato un appello affinché vengano adottati velocemente interventi mirati.
Milano e la Lombardia sono ancora in tempo per invertire la tendenza?
Si, ma bisogna agire subito. Invertire quest’ordine di tendenza implicherà più di 15 giorni. Per le prossime due settimane noi continueremo ad avere in maniera non riducibile casi e ahimè anche casi sufficientemente gravi da dover ricorrere a un ricovero ospedaliero. E mi aspetto che progressivamente aumenti l’età media e con l’aumento dell’età media dei casi che arrivano alla nostra valutazione aumenti anche il tasso di gravità, che già comunque è importante. Non le nascondo che in questo momento la preoccupazione c’è ed è anche del tutto comprensibile.
Nell’ultimo giorno, in Lombardia sono stati registrati 4.125 nuovi casi, di cui 1.800, quasi la metà, a Milano. Dal 22 ottobre entra in vigore il coprifuoco in tutta la Regione, mentre nel weekend saranno chiusi i centri commerciali. Basteranno queste misure, insieme a quelle adottate dal governo, a rallentare l’epidemia?
Forse arrivano con un po’ di ritardo, io avrei visto volentieri queste misure già prima dello scorso weekend, ma era comunque indispensabile dare un segnale importante, che consigliasse alle persone di starsene a casa. Vedremo nelle prossime settimane, poi, se queste misure si riveleranno utili ad arrestare la corsa del virus.
Siamo ancora in tempo per escludere un lockdown a Milano?
Stando a come sta crescendo il fenomeno, è chiaro che gli elementi di realismo che portano a pensare che possano essere necessari provvedimenti anche più drastici ci sono. Non escludo che si debba fare di più, però mi auguro che non si debba arrivare alla chiusura totale, anche solo della città, per non parlare di quello a livello nazionale, che sarebbe un vero e proprio disastro.
Che cosa si sarebbe dovuto fare – ma che evidentemente non è stato fatto – per evitare la seconda ondata?
Prendere la cosa più seriamente. Qualcuno fino a una settimana fa o poco più era ancora schierato su posizioni come ‘bisogna evitare inutili allarmismi’ o ‘limitazioni drastiche sarebbero inaccettabili’ e cose di questo genere. Ci sono una serie di evidenti interessi che determinano una grande riluttanza nell’applicare norme che dovevano essere applicate già da tempo. Sto parlando in particolare di tutto quello che è stato fatto durante l’estate. È inutile recriminare, ma è un dato oggettivo. La condizione che abbiamo adesso l’avremmo evitata se avessimo avuto un comportamento più virtuoso e meno condizionato da pressioni legate a interessi di settore, che poi sono diventate anche scelte politiche. Se questo non fosse accaduto, non saremmo in questa condizione.
Mi sembra che lo stupore di qualcuno nell’osservare ciò che sta accadendo sia ridicolo. Chi ha competenze o ritiene di averle veramente in questo ambito, i trend li evidenzia ben alla svelta. I modelli rappresentati anche da realtà analoghe negli altri Paesi erano sotto gli occhi di tutti. Non si poteva pensare di riuscire a convivere con questo virus non facendo proprio nulla di quello che andava fatto nell’arco dei mesi estivi. La “sorpresa” di alcuni nell’apprendere ciò che sta accadendo ora in Italia si traduce in un numero importante di morti, nella pressione sugli ospedali e nella riduzione dei servizi sanitari perché gli ospedali o curano una cosa o ne fanno un’altra. E questa volta questo sta accadendo in tutta Italia, perché il problema è ora un problema diffuso al di fuori di quella che è stata l’area più colpita nella prima ondata. Dopo averne viste di tutti i colori questa estate, che cosa dovrei aggiungere ancora?
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