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Il virus ha travolto le nostre certezze, ma la comunità può salvarci dalla tempesta: la lezione di Papa Francesco

Immagine di copertina
Credits: ANSA/GIUSEPPE "PINO" FAMA

La luce che Bergoglio emana dal palco solitario di San Pietro durante la preghiera rivolta ai fedeli venerdì 27 marzo aiuta a ritrovare un senso di unità nella tempesta portata dal virus. Come se nella piazza vuota ci fossimo tutti noi: in casa, nelle fabbriche, dai supermercati o nelle corsie, "sulla stessa barca". Perché l'epidemia non è una livella, però la paura la proviamo tutti. Ma sentirsi parte della stessa comunità è l'unico modo di ritrovare la fede

Coronavirus, la lezione di Papa Francesco da Piazza San Pietro

Non è un film di Sorrentino e nemmeno di Nanni Moretti, ma la realtà: Piazza San Pietro deserta nella sera silenziosa di quello che per molti è il ventesimo o trentesimo giorno di quarantena per l’epidemia di Coronavirus, con Papa Francesco che cammina sul sagrato della Basilica da solo sotto la pioggia. È trascorso oltre un mese da quando il primo cittadino italiano è risultato positivo al Covid-19 il 21 febbraio scorso, molto più tempo da quando tutto il mondo ha iniziato a conoscere il nuovo inquilino silenzioso, il virus che ha mandato in tilt il sistema economico e produttivo e le vite di miliardi di persone. Che oggi fanno i conti direttamente o indirettamente con la morte, e con le disuguaglianze di una società in cui le ingiustizie non sono curate ma semmai esasperate dall’emergenza sanitaria.

Ormai Papa Francesco non incontra più i fedeli a San Pietro: anche l’Angelus della domenica, la preghiere più solenne, viene trasmesso in diretta streaming. Ma la sera del 27 marzo, mentre la Protezione Civile legge e commenta il quotidiano bollettino di guerra, con 919 persone morte in un solo giorno, Bergoglio torna nella Piazza per rivolgere una preghiera ai fedeli da un palco illuminato e circondato dal colonnato del Bernini immobile e sacro. Alcuni la scena la guardano dalle proprie case, in tv. Altri la vedranno forse finito il turno, dopo 10 o 12 ore trascorse a combattere il virus “in prima linea”, in corsia. Alcuni sono a lavoro nelle fabbriche o nei supermercati rimasti aperti, chissà forse hanno potuto vederla attraverso il telefono o dallo schermo di una piccola tv, dietro la cassa, o durante una pausa. Altri questa scena non la potranno vedere mai.

Sotto la pioggia Papa Francesco ci chiede: “Perché avete paura, non avete ancora fede?“. Chi trema davanti ai numeri che diventano la radiografia quotidiana del mondo travolto dalla pandemia forse la propria fede l’ha persa. Chi non ha dato l’ultimo saluto ai propri cari prima che morissero l’ha vista vacillare. Così come chi è fragile e solo, soffre l’isolamento e non ne vede la fine. “Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi”, dice Bergoglio.

Ma la luce che emana dal palco solitario di San Pietro aiuta a ritrovare un senso di unità. Come se la piazza fosse vuota perché dentro, davanti alle parole di Papa Francesco, in realtà ci fossimo tutti noi: sui divani, dalle fabbriche, dai supermercati e dalle corsie. In macchina su una strada deserta. “Sulla stessa barca”, sotto la tempesta, quella che Francesco evoca a più riprese durante la preghiera, perché ha travolto le nostre certezze e ci ha lasciati nudi. A fare i conti con ciò che ci manca, a farci comprendere che “nelle fitte tenebre che si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città” le abitudini di cui ci circondavamo erano inadeguate a far fronte all’emergenza. “Abitudini apparentemente ‘salvatrici'”, le definisce Francesco, “incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”.

Il timore dei tempi che corrono non è generato solo dalla paura della morte, ma dalla consapevolezza che il mondo che ci eravamo costruiti intorno è fragile e incapace di nutrire l’anima quando questa trema. Con la tempesta “è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. Ed è questa appartenenza, quella che Papa Francesco vuole farci sentire chiamandoci simbolicamente a ritrovarsi nella piazza vuota, ad avere il potere di tenerci galla. Perché l’epidemia non è una livella, però la paura la proviamo tutti. E davanti a quella si, siamo tutti uguali. Ma sentirsi parte della stessa comunità, nella stessa piazza sotto la pioggia, insieme come fratelli durante la tempesta, è l’unico modo di ritrovare la fede.

“Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Tutti come i discepoli ripetiamo che siamo perduti. Anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.

Leggi anche:

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