Coronavirus, quando arriverà il picco? E quando finirà l’epidemia? La risposta nei calcoli matematici degli esperti
Gli esperti hanno simulato l'arrivo del picco epidemico del Covid-19 nel nostro Paese: ma i margini di errore sono ancora piuttosto alti
Coronavirus: quando arriverà il picco in Italia secondo i calcoli matematici
L’arrivo del picco di Coronavirus in Italia si “nasconde” nei calcoli matematici degli esperti, che potrebbero aver anche individuato il periodo in cui potrebbe terminare l’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese. Tuttavia, al momento, i margini di errore sono talmente alti che i calcoli potrebbero rivelarsi errati. Ma come si calcola l’arrivo di un picco? Paolo Bonanni, professore di Igiene presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Firenze, lo ha spiegato al Corriere della Sera.
“Il picco si calcola sulla base del valore di R con zero, che è il ‘tasso di contagiosità’ che per questo virus abbiamo visto sta tra 2,5 e 3” spiega Bonanni. “Questo vuol dire che mediamente ogni persona (in una popolazione non immune come la nostra ora) ne infetta da 2 a 3 e così si possono fare delle previsioni con modelli matematici più o meno dettagliati su come andrà la curva epidemica con questo tasso di contagio. Questo valore in parte dipende dalle caratteristiche biologiche del virus, ad esempio il morbillo è molto più contagioso del SARS-CoV-2 e l’influenza meno, ma non solo: conta anche il livello di densità della popolazione, cioè quante persone si incontrano, per quanto tempo, quanto a lungo”.
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Secondo Bonanni, inoltre, la popolazione della Lombardia al momento ha l’R0 più alto rispetto a quelle di altre regioni. “Quello che stiamo facendo adesso serve a togliere terreno al tasso di contagiosità, il distanziamento sociale fa in modo che, pur rimanendo inalterate le caratteristiche che dipendono dalla biologia del virus, si riduca il picco in altezza, cioè la diffusione del contagio. Altrettanto importante è però spostare il picco più in là nel tempo, in modo che si dia tempo al sistema sanitario di reagire, di avere posti liberi perché le persone sono nel frattempo guarite”.
Il professore, infatti, sostiene che l’obiettivo primario in questo momento sia quello di “Abbassare verticalmente il picco, quindi ridurre il numero totale dei casi, ma anche cambiare la data di arrivo e spostarlo più in là: un obiettivo importante per il sistema sanitario”. Ma quando arriverà il picco dell’epidemia di Coronavirus in Italia? Bonanni ammette che le simulazioni sono state fatte e che i calcoli matematici effettuati fino ad ora indicano una data che per “ovvi motivi di non-allarmismo e di serietà non vengono divulgati. Sono proiezioni ad uso di chi gestisce l’emergenza e comprendono dati che presentano delle carenze. Non sappiamo quanto sono affidabili perché non possiamo sapere tutto di questo virus, i margini di errore sono molti”.
A influire sui numeri, secondo il professore, sarà anche il comportamento della popolazione. “Sappiamo per certo che più ci atteniamo alle indicazioni che ci ha dato il governo, più contribuiamo a ridurre il numero dei casi, l’affollamento delle rianimazioni, avremmo meno morti e forse una coda un po’ più lunga dell’epidemia, ma questo non ci preoccupa più di tanto, perché l’importante è non avere i picchi tutti insieme perché sennò mettiamo in discussione la possibilità di salvare le persone”.
“Questo è un momento cruciale perché il contenimento del virus – afferma Bonanni – dipende dal nostro comportamento, se le persone continuano a vedersi nonostante i divieti saranno responsabili di un aumento notevole del numero dei casi e purtroppo anche dei morti: c’è veramente una responsabilità sociale fortissima, minimizzare significa aumentare le probabilità che muoiano le persone”.
Ma quando si può dichiarare finita l’epidemia? “Quando non ci sono più casi di una malattia che non è diventata endemica (ovvero ancora presente in quel territorio). Bisognerà vedere appunto se il Coronavirus diventerà endemico, cioè se al di là dell’episodio con il picco più alto la malattia ci sarà sempre colpendo poche persone e magari diventando anche più mite dal punto di vista clinico”.
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