Coronavirus, le rivelazioni dei medici dell’ospedale Villa Scassi a Genova: “Costretti a lasciar morire i pazienti”
Coronavirus, i medici di Genova: “Costretti a lasciar morire i pazienti”
Sono rivelazioni durissime, che fanno male al cuore e rendono chiaramente l’idea dell’emergenza Coronavirus in Italia, quelle di alcuni medici dell’ospedale Villa Scassi di Genova, una delle tante strutture allo stremo per l’arrivo in massa di pazienti positivi e già in gravi condizioni. I due dottori, interpellati dal giornale online Genova24, lavorano rispettivamente al pronto soccorso e alla rianimazione del nosocomio. E in questi giorni di ritmi folli hanno visto di tutto: pazienti lasciati morire nei corridoi del pronto soccorso, persone già morte e abbandonate sulle barelle, colleghi che si ammalano e rientrano al lavoro senza aver eseguito il tampone.
“E’ un disastro – raccontano i medici – perché la gente muore a fiotti e non abbiamo più niente. Chi non ha speranza lo lasciamo morire”. La loro testimonianza dimostra dunque che in alcune strutture italiane succede già quello che si temeva all’inizio della pandemia da Coronavirus: i dottori, talvolta, sono costretti a scegliere chi salvare e chi no. “Prima che il Governo desse il giro di vite sulla zona rossa – hanno spiegato i due – le riviere erano piene di turisti da tutte le parti. Il giorno dopo è arrivata una fiumana di gente ammalata. È scoppiato il finimondo. Il 20 marzo noi abbiamo terminato la possibilità di fornire standard di cura minimamente accettabili. Si fa quello che si può. Se hai 70 anni e finisci in ospedale, o sei fortunato e sopravvivi, o altrimenti sei destinato a morire. I farmaci ci sono, ma il supporto ventilatorio per i pazienti non possiamo più garantirlo”.
Il Coronavirus, infatti, si sta dimostrando un mostro che uccide a ritmi altissimi: “Vedi persone che magari giocano col cellulare – afferma uno dei due medici del Villa Scassi a Genova 24 – e dopo un minuto le intubi. Succede nel giro di sei ore, a volte anche meno, dipende dall’evoluzione della malattia. Questo non è un tipo di paziente che siamo abituati a trattare. E il Covid-19 è un tipo di polmonite che non abbiamo mai visto. L’unica cosa buona è che ormai è una malattia molto standardizzata. I pazienti sono tutti identici, hanno tutti le stesse anomalie”.
Infine, la denuncia degli errori commessi all’inizio dell’epidemia: “Quando è arrivato il primo caso a Codogno, quello era il momento in cui dovevano chiudere tutto. Capisco che tremassero i polsi a fermare la Lombardia che è il motore d’Italia. Ma fare una zona rossa solo lì è stato da folli. Dovevamo pensare allora a cosa avremmo fatto all’indomani, a organizzare i reparti. Invece è esplosa l’epidemia e per tre giorni è stato il marasma completo. Al pronto soccorso negli stessi locali c’erano tutti senza distinzione, il paziente con l’infarto e quello vicino con la polmonite interstiziale”. E’ stato in quel momento, mentre in altre regioni i tamponi venivano effettuati con più continuità, che secondo i medici si è perso il controllo del Coronavirus in Italia. E ancora il momento in cui tutto rientrerà nella norma sembra molto lontano.
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