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“Se gli altri paesi non fanno come l’Italia i nostri sforzi saranno vani e il Coronavirus tornerà”

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L’Italia sta faticosamente cercando di arginare il Coronavirus, con misure drastiche finalizzate a rallentare il contagio e il diffondersi dell’epidemia. Ma i nostri sforzi verranno ripagati? Che succede se gli altri paesi non mettono in campo misure analoghe? E cosa accadrebbe se, una volta debellato in Italia, il virus si diffondesse altrove e restasse in circolo per molto tempo?

TPI lo ha chiesto al professor Nino Cartabellotta, tra i più autorevoli metodologi italiani. Medico chirurgo, Cartabellotta è presidente della Fondazione Gimbe, Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze, nata con l’obiettivo di diffondere in Italia la cultura e gli strumenti dell’EBM attraverso iniziative di formazione, editoria e ricerca.

Perché i paesi che confinano con l’Italia (e il resto d’Europa) sottovalutano così tanto il rischio, nonostante il nostro paese insegni?

In Italia le dinamiche di diffusione del virus sono analoghe a quelle della Cina: dal focolaio principale alle regioni confinanti e poi a tutte le altre. In tal senso è disarmante il ritardo di presa di coscienza dell’Unione Europea. I dati mostrano, in maniera inequivocabile, che per i paesi europei la battaglia sarà identica a quella italiana. L’impennata dei casi in Francia, Germania e Spagna è identica a quella italiana con un ritardo di 7-8 giorni, ovvero tutti i paesi Europei hanno la possibilità di giocare d’anticipo, perché conoscono il film italiano, ma continuano con le politiche attendiste, sperando di essere immuni da un virus che si diffonde alla velocità della luce. Considerato che le misure di contenimento sono tanto più efficaci quanto più sono attuate tempestivamente bisogna agire immediatamente, perché domani sarà già tardi. L’Europa deve prendere esempio dall’esperienza (e dagli errori) dell’Italia.

 

L’America sembra aver scoperto improvvisamente il coronavirus. Che andamento c’è lì?

Trump, inizialmente ha ignorato il COVID-19, poi lo ha sottovalutato e adesso sta iniziando a prendere coscienza: ovviamente i responsabili sono sempre gli altri. In particolare, i Centers for Disease and Control and Prevention (CDC) perché “studiano e fanno analisi ma non sono in grado di gestire una pandemia, e “Obama, che ha cambiato troppe cose.

In realtà, negli USA lo scenario è identico a quello dell’Italia e dell’Europa. Ovvero il film è sempre lo stesso, ma va in onda un paio di settimane dopo. Peraltro è verosimile che negli USA il numero dei casi sia molto più elevato per i costi di accesso all’esecuzione dei tamponi, a carico del cittadino.

Che possibili scenari potrebbero ipotizzarsi in futuro nel mondo? Ovvero: se l’Italia uscirà dall’emergenza tra due mesi, come farà a riaprirsi all’Europa se tra due mesi magari il virus sarà ancora diffuso altrove?

Impossibile oggi fare previsioni esatte perché esistono due variabili imprevedibili: la diffusione asincrona tra i vari paesi e le modalità di gestione dell’epidemia gestita dai singoli paesi, visto anche ancora non esiste un piano pandemico univoco per contenere la diffusione del coronavirus in Europa. Le conseguenze di questo approccio frammentato, sono invece abbastanza prevedibili. Innanzitutto, c’è rischio di parziale vanificazione delle misure draconiane messe in atto dai paesi che vanno in questa direzione (in primis Italia), visto che saranno inevitabili i cosiddetti “casi di rientro”.

In secondo luogo, avemmo diversi picchi dell’epidemia tra un paese e l’altro, con conseguenze sanitarie strettamente legate all’efficacia dei singoli sistemi sanitari, oltre che alla tempestività delle misure messe in atto; infine, sarà molto più difficile, mettere in atto misure straordinarie per gestire recessione economica. Infatti, paesi del G7 e del G20 si troveranno molto disallineati nella gestione dell’epidemia e delle sue conseguenze sui mercati finanziari.

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