Coronavirus, guida per non farsi ingannare dai numeri: come arrivare preparati alla conferenza stampa delle 18
Coronavirus, guida per non farsi ingannare dai numeri: come arrivare preparati alla conferenza stampa delle 18
Da settimane la conferenza stampa delle ore 18 della Protezione civile è diventata un rito quotidiano, da cui ci si aspetta di conoscere i numeri aggiornati della tragedia Covid, nella speranza di capire quando finirà tutto. Di seguito presentiamo alcuni suggerimenti per una più corretta interpretazione dei dati giornalieri e per non lasciarsi quindi ingannare dai numeri.
Perché il trend e non il dato giornaliero
Come noto a tutti, è in corso da diverso tempo un miglioramento complessivo del numero dei contagi e dei decessi giornalieri. Guardare con troppa fiducia ai singoli dati giornalieri potrebbe però essere fuorviante perché essi sono soggetti a notevole variabilità: un dato particolarmente positivo o negativo potrebbe non riflettere l’andamento reale della pandemia. Ecco perché si suggerisce di prestare maggiore attenzione al “trend”, che può essere calcolato attraverso varie procedure statistiche, alcune più semplici, altre più complicate.
Ciò consente di non abbassare mai la guardia e di evitare che l’eccessivo ottimismo o pessimismo conduca a scelte errate. Ha probabilmente ragione il sindaco di Milano Beppe Sala che, citando il professor Silvio Garattini, presidente e fondatore Istituto ricerche farmacologiche Mario Negri, ha detto: “Sarebbe meglio comunicare le cifre ogni tre o quattro giorni, ragionare sulla giornata rischia di creare solo ansia tra la gente”. La Figura 1 mostra questo punto: i dati giornalieri (in blu) oscillano molto e potrebbero portarci a conclusioni affrettate, mentre il trend statistico (in rosso) permette una lettura molto più chiara dell’evoluzione della pandemia (dati aggiornati al 6 aprile).
L’elevato tasso di letalità
Un secondo tema sul quale si sono incentrate le discussioni delle settimane addietro è l’elevato tasso di letalità in Italia, calcolato come numero di decessi totali diviso per il numero di casi totali. Ad esempio, se ad oggi ci sono 12 deceduti e sono stati rilevati 100 tamponi positivi, il tasso di letalità nei dati italiani sarà del 12 per cento. È proprio questo il valore registrato oggi in Italia. Se confrontato con quelli registrati in paesi come la Cina e la Corea del Sud, pari al 3,8 per cento (in data 20 marzo il Corriere della Sera riportava che a Wuhan il tasso di letalità era del 5,8 per cento contro lo 0,7 per cento del resto della Cina) e all’1 per cento, si nota ancor di più l’anomalia italiana. Questo vuol dire che da noi il virus è più letale? Non necessariamente. Infatti numerosi osservatori hanno suggerito spiegazioni alternative. Le più comuni sono legate:
1. alla differente struttura demografica della popolazione italiana, che è più anziana rispetto a quella di altri paesi e quindi maggiormente a rischio in caso di infezione da Coronavirus;
2. a una gestione meno efficiente dell’emergenza rispetto ad altri paesi, come suggerito recentemente dalla Harvard Business Review. Ad esempio, il ritardo nell’attuare il cosiddetto “lockdown”, una iniziale sottovalutazione della gravità della pandemia con slogan tipo #MilanoNonSiFerma, un metodo di registrazione dei casi non uniforme tra le regioni e così via. Inoltre, Favero, Ichino e Rustichini hanno recentemente suggerito, con l’ausilio di un modello matematico, che la letalità del virus particolarmente elevata in Lombardia potrebbe essere in parte spiegata anche dalla carenza di posti in terapia intensiva;
3. alla (forte) sottostima del numero di casi positivi effettivamente presenti in Italia. Giustamente si dà priorità agli individui con sintomi gravi e non si testano quelle persone che non mostrano forti sintomi, pur essendo in realtà positive al Covid. Dato che i più gravi hanno minore probabilità di sopravvivere alla malattia, il tasso di letalità che si calcola dei dati quindi particolarmente elevato. Ecco perché il numero dei casi positivi (i cd. casi “rilevati”) non è rappresentativo di tutti i casi di malati Covid che potrebbero esserci davvero (i cd. casi “effettivi”). Ad esempio, recenti stime (molto discusse) dell’Imperial College suggeriscono che i casi effettivi alla fine di marzo potrebbero essere stati tra i 2 e i 15 milioni, anziché i circa 100 mila casi che sono stati rilevati.
Tutti questi fattori hanno sicuramente contribuito a un così elevato tasso di letalità. È anche interessante osservare come questi abbiano avuto conseguenze ed effetti molto diversi da regione a regione.
Una stima alternativa del tasso di letalità
Si vuole qui suggerire un’ulteriore elemento da considerare quando si calcola il tasso di letalità. Infatti, durante un’epidemia calcolare il tasso di letalità dividendo i decessi ad oggi per i casi ad oggi equivale ad assumere che chi muore di Covid muoia il giorno stesso in cui viene diagnosticato il virus, come spiegato ad esempio nello studio epidemiologico “Methods for Estimating the Case Fatality Ratio for a Novel, Emerging Infectious Disease”. Ciò viene spiegato anche in numerosi studi epidemiologici, come questo. Occorre sottolineare che, una volta terminata l’epidemia, il tasso di letalità “durante un’epidemia” convergerà verso quello calcolato in modo standard.
L’idea di base qui proposta è semplice: basta rapportare i decessi di oggi rispetto al momento in cui i casi positivi sono stati diagnosticati. Infatti, secondo l’Istituto Superiore Sanità (ISS), intercorrono in media 8 giorni tra i sintomi e il decesso da Covid-19, ed è ragionevole ipotizzare che la malattia venga diagnosticata con alcuni giorni di ritardo. Non è ovvio stabilire quanto in ritardo, ma con un procedimento statistico (descritto nel report completo su cui è basato questo articolo), si è ipotizzato un periodo di 5 giorni tra diagnosi e decesso. Tornando all’esempio di prima, se ad oggi ci sono 12 decessi, questi devono essere rapportati ai casi totali rilevati fino a 5 giorni fa, ipotizziamone 80, e non ai 100 rilevati fino ad oggi. Perciò il nuovo tasso di letalità sarà del 15 per cento (=12/80*100) e non più del 12 per cento.
Che cosa ci permette di fare questa nuovo tasso di letalità?
Ricordandosi sempre di prendere con estrema cautela le previsioni, la prima informazione importante che si può calcolare con il nuovo tasso di letalità è una previsione più accurata dei casi effettivi. Al momento si osserva una letalità in Italia del 15 per cento, quando – secondo alcuni studi epidemiologici – dovrebbe aggirarsi attorno all’1,5 per cento. Perciò vuol dire che stiamo rilevando solo un decimo dei casi effettivi. Dato che i casi rilevati al 6 aprile sono 133mila, quelli effettivi calcolati in questo modo sono circa 1,3 milioni, come mostrato nella Figura 4.
La seconda informazione derivante dalla stima alternativa del tasso di letalità ci permette di comprendere un po’ meglio l’andamento dei decessi. Facendo sempre riferimento all’esempio numerico precedente, se ad oggi sono stati rilevati 100 casi e la letalità calcolata con il nuovo tasso è del 15 per cento, tra 5 giorni è molto probabile che ci saranno circa 15 decessi. In altre parole, se una settimana fa c’erano tanti casi, è verosimile che oggi ci saranno tanti decessi. Possiamo quindi a prevedere l’andamento dei decessi nei prossimi giorni in Figura 5:
Le previsioni per i prossimi giorni restano ancora elevate, ma suggeriscono una diminuzione dei decessi giornalieri proprio grazie al calo dei nuovi casi. Dunque non si deve perdere la speranza, ma neanche farsi ingannare dai numeri.
Tutte le opinioni espresse in questo articolo sono esclusivamente personali e non impegnano in alcun modo le istituzioni di appartenenza. Qui lo studio completo
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