Focolaio Covid alla Bartolini di Bologna, i sindacati a TPI: “Rischio altissimo anche in altri magazzini. Il profitto conta più della vita”
"Avevamo avvertito l'azienda 10 giorni fa, ora il focolaio è fuori controllo". E la Sì Cobas lancia l'allarme per migliaia di lavoratori
Focolaio Bologna Bartolini, i sindacati: “Come in Val Seriana, il profitto conta più delle vite umane”
“In Emilia Romagna, come in Val Seriana, si è scelto di dare priorità al profitto invece che alla salute. E ora ci ritroviamo con i lavoratori contagiati a macchia d’olio e un rischio enorme per tutti i magazzini del bolognese. Può morire chi vuoi, loro non chiudono. L’azienda è sotto quarantena, ma i camion continuano a uscire”. Tiziano Loreti e Simone Carpeggiani, responsabili del sindacato Sì Cobas Bologna, sono allarmati per i numeri in evoluzione che riguardano i contagi alla Brt, la ditta di logistica nota a tutti come Bartolini. Entrambi raccontano a TPI che nei magazzini di via Roveri i 45 operai positivi al Coronavirus sono saliti in poche ore a 64 persone fra lavoratori e parenti. E anche se la Bartolini in un comunicato dichiara che “sta seguendo e gestendo con estrema attenzione l’evolversi del cluster Covid-19 verificatosi nel proprio magazzino”, due pazienti sono già finiti in terapia nei reparti Covid e in totale quasi 400 persone sono sotto sorveglianza insieme alle relative famiglie. Abbiamo chiesto ai responsabili Sì Cobas di spiegarci la situazione:
Ora la Bartolini è chiusa?
In teoria sì, è sottoposta a quarantena. Ma oggi i camion ancora uscivano dalle porte dell’azienda. Hanno messo in isolamento i lavoratori, ma hanno preso una cooperativa di supporto per continuare le consegne. Dov’è il senso di tutto ciò?!
Perché il contagio alla Bartolini è sfuggito di mano?
La Regione si è improvvisamente risvegliata ieri. Ma noi avevamo avvertito settimane fa dei primi contagi. Il 15 giugno scorso abbiamo mandato una mail in cui dicevamo che già sei persone avevano i sintomi da Coronavirus. In copia c’erano sia Bartolini che la Prefettura.
E l’azienda cosa ha fatto?
La risposta di Bartolini è stata ‘noi applichiamo le norme’ e la prefettura non ci ha neanche degnato di una risposta. E invece da sei persone sono diventate 12, da 12 poi 45 e ora siamo a 64. E c’è anche un precedente.
Quale sarebbe?
A marzo, quando è scoppiata la pandemia, noi abbiamo posto la questione ai lavoratori. Dicendo che si trattava di un rischio serio e che sarebbe stavo meglio astenersi e non andare a lavorare per salvaguardare la salute. Visto che questo non era possibile per tutti, a quel punto abbiamo chiesto alle controparti di stilare dei protocolli con le misure da rispettare per garantire la sicurezza nei magazzini.
E questa sicurezza è stata mantenuta?
No, assolutamente no. Bartolini ha firmato quel protocollo, ma non lo ha rispettato. Non sono state rispettate le distanze, nessuno controllava se le mascherine ffp2 venivano indossate o meno. Anzi! A marzo abbiamo anche denunciato una situazione assurda: al cambio turni i lavoratori si passavano le mascherine e usavano quelle del turno prima. Oppure per evitare assembramenti, da protocollo c’era l’alternanza per i turni: mai fatta.
Perché nei magazzini il rischio è più alto?
Perché da Bartolini si lavora in 128 tutti insieme, con un bagno per quaranta persone. E non è finita qua secondo noi. Nel senso che il pericolo è per tanti altri magazzini del bolognese.
Quali?
Pallet Way, DHL e TNT. Per ora ci sono due casi sospetti per ogni magazzino. Sono posti dove si sta a stretto contatto, le persone si vedono e si conoscono. Se pensiamo a queste quattro aziende, stiamo parlando di mille lavoratori potenzialmente in quarantena. E il settore della logistica poi ha tutto il suo mondo: i camionisti e i driver, che vanno casa per casa. Il rischio di questo focolaio è altissimo.
Fortunatamente il virus è diventato meno aggressivo.
Sì, questa è una fortuna. Altrimenti Bologna sarebbe diventata un’altra Val Seriana…
Ma il medico dell’azienda quando è stato contattato?
In ritardo, il medico è stato avvertito solo in questi ultimi giorni.
Nella bergamasca molte aziende di beni non essenziali sono rimaste aperte. E’ stato così anche qui?
Sì. Una smania di riaprire tutto, senza neanche porsi il problema sicurezza. Non hanno fatto i test sierologici, non hanno calcolato i lavoratori. La sanificazione è rimasta una parola vuota. E poi anche la Bartolini ha fatto delle autocertificazioni per ripartire.
A metà giugno avete proclamato uno sciopero, qual era il senso?
Il senso era far vedere come si stava mettendo il profitto davanti alla salute, la produzione davanti alle vite umane.
Adesso che succederà?
Se l’azienda vorrà riaprire noi faremo partire degli scioperi. Non si possono calpestare così i lavoratori, facendoli ammalare o peggio ancora morire di Covid.
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