Coronavirus, “Sono povera, a Pasqua ho mangiato riso confezionato. Ma almeno ora ho il pacco alimentare”
“Il mio pranzo di Pasqua è stato un risotto in busta pronto, la cena un minestrone in scatola. Ho 700 euro in banca, 300 euro di affitto e altrettanti di bollette da pagare. Non ricevo lo stipendio da un mese e mezzo. Cerco di tirare avanti. Mi chiedo: ho sbagliato qualcosa? Ma no, io ho sempre lavorato. Il mio stipendio è di 400 euro. È un privilegio? C’è qualcosa che non mi torna. Chiedo: veramente tornare a ciò che c’era di prima è normale? Giustificheremo tutto? Sono domande e non ho le risposte”. Così Anna (nome di fantasia), una donna di 44 anni che vive in un comune dell’entroterra maceratese e lavora semi part time nell’ambito delle pulizie. A riportare la sua storia è il giornale online locale CronacheMaceratesi.it.
La donna prima della crisi causata dal Coronavirus aiutandosi con qualche lavoro in nero riusciva a raggiungere la cifra mensile di 900 e a volte mille euro al mese. Ma ora costretta a casa dall’emergenza sanitaria è tutto più difficile.
“Almeno adesso ho il pacco alimentare – racconta Anna –. Così mi tengo i miei quattro spicci e per adesso non pago né affitto né bollette. Ma quando sono andata a ritirarlo mi sentivo in colpa. Non volevo passare davanti alle famiglie, pensavo a chi sta peggio di me. Conosco una ragazza madre, sola con la bambina, che faceva la donna delle pulizie, solo lavori a nero. Come farà adesso? Ho parlato con un operaio a chiamata nei cantieri della ricostruzione, anche lui in fila per il pacco perché non viene più pagato. Sta diventando uno scannamento tra noi poveri, perché chiariamoci: io lavoro da sempre e sono povera. Del mio guadagno, 300 euro se ne vanno con la casa. Eppure qualcuno mi vuole far sentire una privilegiata perché ho uno stipendio. Per me privilegio è quando hai centinaia e centinaia di migliaia di euro nel conto in banca. È come se noi avessimo paura. Se solo si raccontasse veramente che avere 400 euro al mese significa essere poveri, forse riusciremo a fare uno scatto in più”.
Il part time, spiega la donna nell’intervista di Federica Nardi, “non è stata una mia scelta. Era l’unica possibilità di lavorare dopo la crisi del 2008. Prima lavoravo in fabbrica, 8 ore, da interinale, un migliaio di euro. Dopo il 2008 mi hanno licenziata. Ho dovuto occupare casa perché o pagavo l’affitto o morivo di fame. Dopo il 2008 sono stata riassunta per 3-4 mesi galleggiando tra gli ammortizzatori sociali. Nel 2014 c’era solo questo lavoro, o prendevi un semi part time o facevi la disoccupata”.
“Il nero è strutturale al sistema, lo sanno pure i sassi. Nelle pulizie per forza devi avere altri lavori. O il nero o niente, o aspetti. Ma non puoi aspettare sennò vai a vivere sotto i ponti”, continua la donna.
La donna viene aiutata dalla rete sociale”ma non basta – dice -. È talmente tanta la gente con il sedere a terra che la rete non riesce a sopperire alle esigenze. È una cosa strutturale. L’emergenza ha messo in evidenza tutto questo. Adesso è peggio del 2008, e quando finirà ci saranno le macerie. Le aziende, avendo il mercato bloccato, licenzieranno e metteranno in cassa integrazione. Quando ho fatto la fila per il pacco ho visto tante persone anche del mio quartiere, quelli che hanno i lavori precari e saltuari. Che magari facevano gli stagionali, che non avevano avuto una continuità di lavoro e che stanno a casa per forza. O che hanno un lavoro come il mio che comunque non ti permette di pagare tutto, anche se hai un’entrata fissa. Adesso se hai lavori a nero, sei alla canna del gas. Se hai un lavoro a chiamata, sei alla canna del gas. Tra chi sta alla canna del gas, io sono forse la più privilegiata”.
“È il mercato del lavoro che mostra tutti i suoi limiti precedenti. Non riguarda solo me. Siamo noi venuti dal sud, i migranti, le fasce da sempre povere, i contratti a chiamata, i contrattini…il problema c’era anche prima ma non lo volevamo vedere. Ora parliamone. Fai una fatica enorme. Pensi: non ce la faccio più. Ho lavorato fino a ora…è da attacco di panico. Io però non mi voglio sentire vittima, non ho nessuna colpa. Perché dobbiamo colpevolizzarci per un problema sistemico? Non la voglio far diventare rabbia – conclude Anna -, ma vorrei portare il ragionamento un po’ più in alto”.