Coronavirus, il 15% delle forme gravi dipende dalla genetica. Lo studio
Coronavirus, il 15% delle forme gravi dipende dalla genetica. Lo studio
La risposta che ogni paziente positivo al Coronavirus dà alla malattia varia da persona a persona, ma adesso si è scoperto che il 15 per cento delle forme più gravi di Covid-19 dipende dalla genetica e da cause e immunologiche: a dirlo uno studio, pubblicato in due articoli sulla rivista Science. Le due pubblicazioni arrivano alla conclusione che più del 10 per cento dei pazienti sani che sviluppano una forma grave di Coronavirus posseggono degli anticorpi che funzionano male, attaccando il sistema immunitario e non il virus. Poi, un altro 3,5 per cento è portatore di una mutazione genetica che predispone il proprio organismo alla forma grave della malattia. In entrambi i casi, tutto sembra dipendere da un malfunzionamento dell’interferone di tipo I, importante per la difesa contro i microbi: nel primo gruppo di pazienti viene neutralizzato dagli auto-anticorpi, mentre nel secondo viene prodotto in quantità ridotte a causa della mutazione genetica.
Lo studio in questione è stato realizzato dal Covid Human Genetic Effort (CovidHge), un consorzio internazionale di ricerca che coinvolge più di 50 centri di sequenziamento e centinaia di ospedali in tutto il mondo. La ricerca è stata coordinata da Jean-Laurent Casanova, della Rockefeller University. Anche l’Italia ha parte dei meriti della scoperta: il nostro Paese, infatti, partecipa con il Laboratorio di Genetica Medica dell’Università di Roma Tor Vergata, l’Istituto San Raffaele di Milano e l’Ospedale Bambino Gesù di Roma. In totale sono stati analizzati 987 pazienti con forme gravi di Coronavirus.
Secondo la ricerca, gli auto-anticorpi che il nostro organismo produce per attaccare l’interferone I – rendendoci più vulnerabili alle forme più forti della malattia – sono piuttosto rari: su 1.227 individui sani scelti casualmente solo 4 sono risultati positivi al test. Nella maggior parte dei pazienti la positività agli auto-anticorpi è stata rilevata nei primi giorni dell’infezione, ma in alcuni casi è stato possibile verificare la presenza degli anticorpi anche in campioni di sangue antecedenti all’infezione. “Pensiamo che gli auto-anticorpi contro l’interferone possano spiegare una parte rilevante delle forme più aggressive di Covid-19 e del modo in cui queste forme si distribuiscono nella popolazione generale, ovvero colpendo maggiormente le persone di sesso maschile e di età avanzata. Non a caso, dei pazienti che presentavano gli auto-anticorpi, il 95 per cento erano uomini e più del 50 per cento aveva più di 65 anni di età”, ha spiegato Lorenzo Piemonti, direttore del Diabetes Research Institute del San Raffaele e professore associato di endocrinologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, tra gli autori della ricerca.
“I risultati – ha spiegato il coordinatore dei due studi, Jean Laurent Casanova, della Rockefeller University di New York – suggeriscono in modo convincente che disfunzioni dell’interferone di tipo I costituiscano spesso la causa delle forme più critiche di Covid-19”. “Almeno in teoria – spiega ancora Casanova – si tratta di disfunzioni che possono essere trattate con farmaci e approcci già esistenti”. In altre parole, lo studio pubblicato su Science potrebbe aiutare gli scienziati a capire quali sono le terapie più mirate per specifici gruppi di pazienti, come suggerito anche dal vicedirettore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica e professore ordinario di pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele, Alessandro Aiuti: “Questo è solo il primo risultato, ma è già molto promettente”, ha aggiunto.
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