Caivano, il fidanzato di Maria Paola: “L’amavo ma i suoi familiari dicevano: meglio morta che con uno così”
È distrutto dal dolore Ciro, il fidanzato di Maria Paola Gaglione, la 22enne inseguita e speronata dal fratello perché aveva una relazione con un ragazzo trans, e morta dopo essere caduta dallo scooter a bordo del quale viaggiava. “Stavamo insieme da tre anni ma la famiglia di Maria Paola non voleva. Dicevano che eravamo due donne. Io però non sono una donna. Per loro invece sì. Addirittura, li ho sentiti dire che avrebbero preferito che la figlia morisse, piuttosto che stare con uno come me. Un masculillo”, racconta Ciro.
Ora il ragazzo si trova nel cortile della clinica Villa dei Fiori di Acerra. Ha il braccio ingessato, un livido sotto gli occhi: porta sul corpo i segni dell’incidente e del pestaggio subito dal fratello della sua fidanzata. I due si sono conosciuti tre anni fa a Caivano e si sono innamorati. Da un mese erano andati a vivere insieme ad Acerra.
Ciro, all’anagrafe Cira, è nato in un corpo di donna che non sentiva proprio. Confrontarsi con la transessualità però non è facile, soprattutto in una terra in cui ancora i pregiudizi e l’odio verso il diverso sono grandissimi. “A 15 anni ho capito chi ero e ho preso la mia decisione. Questo è quello che sono”. Intanto Maria Paola, la ragazza che amava, non c’è più, mentre il fratello di lei, Michele, è in carcere.
Neppure per la mamma di Ciro, Rosa, i primi tempi, quelli dell’accettazione, sono stati facili: “Non volevo ammetterlo, sono sincera, ho sofferto. Ho pianto. Ma non l’ho mai trattato male. Non ci ho mai pensato a cacciarlo di casa. Mi sono sforzata di comprendere. Mi sono confrontata con le mie amiche. E anche se non ho studiato, ho capito. Meglio così, mi sono detta, che non avere più un figlio. Se si fosse ammalato, l’avrei perso. È la sua natura, è mio figlio”.
Ciro poi, come riporta Repubblica, ha incontrato Maria Paola: “Non era la mia prima ragazza, ma il mio primo amore sì. Lo è sempre stato. La donna della mia vita. Ci eravamo conosciuti tre anni fa, nella villa di Caivano. Da nemmeno un mese ci eravamo trasferiti ad Acerra per stare più tranquilli. I suoi non accettavano la nostra relazione. Dicevano che l’avevo infettata, ma non è vero. Non riesco a immaginare la mia vita senza di lei”.
Una relazione ritenuta sbagliata, e che è costata anche numerose minacce: “Una volta sono venuti in cinque a casa nostra – afferma Rosa – il padre, il figlio e non so chi altro. Dicevano che se Ciro si prendeva la figlia dovevo morire anche io, che mi avrebbero fatto anche chiudere la baracca dove vendo le sigarette per vivere. Sono sola, non ho un marito e devo andare avanti”.
Arriva così quel drammatico venerdì sera. “Appena sono uscito dal vicolo me lo sono trovato davanti (il fratello di lei, ndr). Ci ha inseguito e gridava verso di me: “Ti devo uccidere, ti devo uccidere”. Maria Paola allora gli diceva: “Ci sono anche io sul motorino”. Quando siamo caduti, mi sono avvicinato a lei per soccorrerla, ma lui mi ha picchiato”, spiega Ciro.
“Non sogno più niente per il mio futuro. Non ce la faccio, non ce la potrò mai fare senza di lei. Vorrei vederla anche solo per un attimo. Però chiedo giustizia. Non per me, per Maria Paola”, conclude il ragazzo. Mamma Rosa, lì al suo fianco, commossa, aggiunge: “Penso anche io la stessa cosa. Chiedo giustizia. E non ho paura. Se dobbiamo morire, moriremo insieme. Madre e figlio”.
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