La Chiesa che accoglie i divorziati, sposa le coppie gay e apre alle donne preti e vescove
Benvenuti nella Inclusive Anglican Episcopal Church: un rifugio per chi viene discriminato dalla Santa Sede
«Nel nome di Dio padre e madre». L’Inclusive Anglican Episcopal Church è una chiesa progressista non legata a Canterbury. La sede vescovile italiana è a Catania, nel quartiere Cibali, in una piccola stanza adibita a cappella, accanto a studi di fisioterapisti, dentisti e avvocati. In pochi passi ci si ritrova immediatamente dall’altra parte del pulpito, dove giace aperto il tradizionale messale anglicano, il Book of the Common Prayer, riscritto però in modo inclusivo: «Non usiamo l’asterisco, ci limitiamo al maschile e al femminile, non perché siamo contro ma perché secondo noi i due colori principali mescolati danno poi luogo a un arcobaleno di identità», dice sua grazia Maria Vittoria Longhitano.
Professoressa di filosofia al liceo artistico Emilio Greco di Catania, è sposata con Andrea e ha una figlia di sei anni, Teresa. La vocazione per il sacerdozio è sempre stata una certezza, fin da bambina, quando si divertiva a inscenare celebrazioni religiose con oggetti e giocattoli: «Le patatine erano ostie, le sciarpe erano spole, ero così piccola che battezzavo le bambole nel bidet perché non arrivavo al lavello, e le sposavo tra di loro. Ero già una pioniera», racconta.
Nell’Inclusive Church vengono accolti tutti coloro che tradizionalmente sono esclusi dalla Chiesa di Roma: i divorziati possono accedere all’eucarestia, le coppie omosessuali possono sposarsi, le persone trans possono diventare suore o frati. O, nel caso di Longhitano, le donne possono aspirare al ruolo di diacone, preti e vescove. Cresciuta a Nissoria, un paese di tremila anime in provincia di Enna, come molti dei suoi coetanei ha frequentato il catechismo ed è cresciuta come devota cattolica: «Non è che ci fosse molta varietà all’epoca», dice. La sua esperienza nel sacro iniziò in un monastero di semi-clausura, quello delle domenicane di Betania, nei castelli romani. Non era un monastero qualunque, lì alle suore era permesso fare l’omelia, si aggregavano laici e si vedeva la religione in ottica progressista. Per questo fu minacciato di chiusura dalla diocesi e si sfaldò inevitabilmente tra chi prese una strada diversa e chi abbandonò il mondo cattolico.
Madre Maria Vittoria decise di puntare più in alto e si legò alla chiesa vetero-cristiana, che contesta l’infallibilità del Papa, poi passata sotto la giurisdizione della chiesa episcopale degli Stati Uniti d’America. La scalata iniziò dalla posizione di lay-minister, ministro laico che può predicare e amministrare i sacramentali, un percorso culminato nell’ordinazione a diacona il 22 novembre 2009 e a prima sacerdotessa in Italia il 22 maggio dell’anno successivo, nella chiesa anglicana di tutti i santi a Roma. Non sono date qualunque, sono i giorni di due importanti sante, Cecilia e Rita: «Io penso che le donne mi abbiano sempre aiutato. La mia ordinazione è stata un fare muro tra donne, la famosa solidarietà femminile, però ancora più massimizzata perché tra terra e cielo», afferma.
In quel periodo viveva a Milano e svolgeva le sue funzioni alla parrocchia del Gesù Buon Pastore. Era già balzata alle cronache come donna prete e si preparava a farlo nuovamente poco dopo, quando si diffuse la notizia dei due matrimoni omosessuali che avrebbe celebrato a Cormano. Le minacce dei neonazisti obbligarono a un cambio di location, dalla chiesa a una villa recintata, sotto la sorveglianza delle forze dell’ordine. Nel tempo, gli “sposalizi”, come preferisce chiamarli, non si sono mai fermati, e continuano a viaggiare a un ritmo di almeno tre o quattro all’anno: «Anche matrimoni eterosessuali, non faccio discriminazioni», afferma.
Tre anni fa, madre Maria Vittoria è tornata in Sicilia, a Catania, dove ha aperto la sede vescovile dell’Inclusive Church. Nel 2021 è anche diventata vescova, una notizia che ha reso orgogliosi i concittadini di Nissoria, dove si è sempre sentita stimata e accolta. Ci sono foto che la ritraggono con il parrocco, che ha benedetto sua figlia al battesimo e il sindaco, Armando Glorioso di Fratelli d’Italia, ha persino cambiato idea sul matrimonio tra persone dello stesso sesso: «Anche su tutta la questione sessuale, su tutte le idee con cui siamo cresciuti, in questa società ancora molto arretrata. Quando è iniziata in Italia la battaglia per il matrimonio omosessuale io mi sono dichiarato contro. Ma poi un giorno mi sono detto: ma chi sono io per giudicare?», sostiene.
L’Inclusive Anglican Episcopal Church fa parte della Anglican Free Communion International, la comunione anglicana più antica dopo Canterbury, e del Consiglio Mondiale delle Chiese Cristiane. Si definisce anglocattolica nella liturgia e nella teologia fondamentale, progressive nell’ecclesiologia. In Italia, grazie a Longhitano, continua a espandersi: ci sono preti e suore in Lombardia, un monastero in Veneto, una diaconia a Bresso, comunità in Brianza, in Puglia e a Genova. A Perugia, la parrocchia ha sede nella casa di don Luca Ceccarelli, che ha preferito investire i suoi risparmi invece di chiedere ai fedeli un contributo per l’affitto di uno spazio.
Padre Luca è l’altro volto conosciuto della chiesa inclusiva, che spesso accompagna o sostituisce madre Maria Vittoria. Grazie a lei ha trovato una nuova casa, dove colmare il vuoto che per anni ha sofferto dopo aver rinunciato nel 2008 al ruolo di pastore cattolico della diocesi di Terni Narni Amelia. «Avevo deciso di lasciare perché avevo capito il mio orientamento sessuale. Ma la scelta era stata dettata da una fede incrollabile per Cristo e per la gente», dice. Nel 2017 si è unito civilmente a Mauro, fondamentale compagno di viaggio negli anni della transizione tra la vita da religioso e quella da comune cittadino, che però sta per diventare suo ex marito.
Per 15 anni, tra seminario e presbiterato, don Luca si è dedicato esclusivamente alla chiesa. Lasciarla significava non solo abbandonare la sua vocazione ma anche un lavoro fisso e retribuito. Così si è rimboccato le maniche e si è destreggiato tra diverse mansioni, prima in una cooperativa sociale, poi in una reception, passando per un periodo da rappresentante di diverse ditte. Tra poco dovrebbe diventare responsabile commerciale di paramenti sacri: «Gira che ti rigira come si suol dire il topo cade sempre nel sacco della farina», afferma ringraziando la provvidenza.
Dentro di sé, però, ha sempre sentito la necessità di tornare a essere pastore ed è qui che è entrata in gioco madre Maria Vittoria. Cresciuto fin dall’infanzia immerso in una cultura prettamente cattolica romana, don Luca è entrato nell’Inclusive Church nel 2019 come cancelliere, prima di essere promosso a vicario generale. La sua parrocchia si chiama “Cor unum et anima una”, da un passo del Nuovo Testamento degli Atti degli Apostoli dove l’evangelista Luca sostiene che le prime comunità cristiane avevano un cuore solo e un’anima sola. Per padre Luca, infatti, i campanilismi vanno combattuti, e citando papa Giovanni XXIII rivendica il dialogo con le altre confessioni cristiane «non per mettere sulla bilancia ciò che ci divide, ma ciò che ci unisce».
Una decina di persone accorre stabilmente alle celebrazioni di don Luca nella parrocchia, o meglio, a casa sua. Con orgoglio sottolinea che sono già nate due vocazioni, una ragazza che si sta preparando per il presbiterato e una sorta di comunità religiosa chiamata Oranti nel mondo, ispirata alla spiritualità francescana. «Io non metto in dubbio che la Chiesa di Roma ami, ma mi fa male sapere che ad alcune persone mancheranno sempre i sacramenti, e il sacramento per eccellenza è l’eucaristia. Un conto è accostarsi spiritualmente ma un conto è starci concretamente», pensa.
Nella comunione anglicana la maggioranza delle province approva le donne come diacone o sacerdotesse. Le prime a diventare presbitere furono Florence Li Tim-Oi nel 1944 e Jane Hwang e Joyce M. Bennett nel 1971 a Hong Kong. Nel 2019, per la prima volta nella Chiesa anglicana inglese sono state ordinate più donne che uomini, il 51 per cento, con una crescita anche nei ruoli dirigenziali. Quattro anni prima era stata ordinata la prima donna vescovo, Libby Lane, ma nel Massachusetts era già successo nel 1988 con Barbara Harris.
Nella chiesa cattolica romana si fa ancora molta fatica a includere le donne, nonostante la nomina a sottosegretaria di Francesca Di Giovanni e la Commissione di studio sul diaconato permanente femminile aperta da Papa Francesco. «Quando tu dici chiesa cattolica, cattolico vuol dire universale, ma se escludi metà dell’umanità che universalità è? Perché almeno ne escludi metà, poi mettici i gay, i divorziati e risposati», sostiene madre Maria Vittoria, che è scettica nei confronti delle mosse del Papa: «Una donna come sottosegretario non apre uno spiraglio, lo chiude. Più ruoli amministrativi per compensare il fatto che nel ruolo dell’amministrazione del sacro non ci sono donne».
Lia D’Urso e Lara Elia sono una coppia di lesbofemministe molto legate alla chiesa di Longhitano. Non si considerano “fedeli” quanto “tifose”, non credono in Dio ma nel divino e hanno sempre sentito che la chiesa di Roma non fa altro che allontanare persone come loro: «Non seguiamo una chiesa precisa ma questa ci è particolarmente cara perché è inclusiva, essendo persone Lgbt. È una chiesa che ci include, ci riconosce, ci benedice e se vogliamo ci sposa pure, per cui le siamo grate», dice D’Urso.
È stata madre Maria Vittoria a contattare D’Urso, su Facebook, perché curiosa di approfondire la conoscenza di una protagonista delle proteste femministe degli anni Settanta. Poi l’amicizia si è allargata a Elia: «Ci siamo trovate e non ci siamo più lasciate». La coppia viene spesso invitata alle cerimonie di ordinazione o ai molteplici dialoghi interreligiosi che organizza l’Inclusive Church. «Madre Vittoria tende a creare comunità, è il suo modo di fare, invita tutti a casa sua per una spaghettata, una persona così. Una persona gradevole, ospitale», aggiunge Elia. Spesso infatti le messe domenicali si spostano a casa dei fedeli della parrocchia di Catania, ricreando il clima della cappella negli ambienti domestici.
Anche se si sta espandendo, l’Inclusive Church resta una realtà molto piccola, che non è ancora entrata in conflitto aperto con la Chiesa di Roma. Un piccolo incidente si è verificato a Castelbuono, in provincia di Palermo, dove il vescovo, Monsignor Giuseppe Marciante, ha denunciato la presenza di alcuni esponenti della chiesa di Longhitano sottolineando che le ordinazioni sono «invalide e illecite» e che i partecipanti alle loro celebrazioni sarebbero andati incontro «alla scomunica latae sententiae». «I toni potevano essere diversi ma ha ragione», dice senza alterarsi madre Maria Vittoria, che prima di intraprendere il suo percorso ha anticipato la scomunica inviando una lettera al Vaticano. La sua chiesa continuerà a offrire un’alternativa a chi non si sente accettato: «La Chiesa in quanto madre per eccellenza non sempre si percepisce come tale, cioè come colei che ti abbraccia e ti scalda. E questo purtroppo l’ho sperimentato nella mia vita», pensa don Luca.