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Home » Cronaca

Verità negate: dalla Lombardia a Palazzo Chigi, ecco chi ha mentito nella prima fase della pandemia

Immagine di copertina
Credit: PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP

Sono passati due anni e mezzo dallo scoppio della pandemia nel mondo e in Italia. Un flagello che si è lasciato alle spalle oltre 6 milioni di morti (15 milioni, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone uccise dal Coronavirus o dal suo impatto sui sistemi sanitari sopraffatti dalla pandemia) e oltre 166mila le vittime nel nostro Paese. Dopo 24 mesi di bombardamento mediatico, tuttavia, le notizie legate al Covid-19 hanno abbandonato le prime pagine dei giornali e la politica italiana spera ora di far dimenticare all’opinione pubblica i propri errori coprendoli con gli orrori della guerra.

La recente notizia (del 12 aprile scorso) del diniego definitivo del Consiglio di Stato all’accesso ai documenti (richiesto oltre un anno e mezzo fa dall’agenzia di stampa Agi) in base ai quali 400 militari furono mandati tra il 5 e l’8 marzo 2020 nella Bassa bergamasca e poi ritirati dal territorio più colpito dal contagio e in cui per giorni si era evocata una zona rossa, è passata quasi inosservata. Eppure questa notizia è stata come una pietra tombale, che potremmo leggere così: per «rilevanti e apprezzabili esigenze di riservatezza» lo Stato non è tenuto a fornire spiegazioni su una decisione che ha cambiato l’andamento di questa pandemia e che per mesi ha tenuto banco sui giornali e in tv.

Domande

In verità, di cose da spiegare ce ne sono moltissime. Per capirci: sulla gestione della prima ondata Covid, la politica non ha detto tutta la verità e comunque il mancato accesso agli atti non consente, almeno ai cittadini, di accertarla fino in fondo.  Se volessimo farci delle domande, le uniche davvero utili sarebbero queste: i politici, regionali e nazionali, vale a dire i rappresentanti delle più alte istituzioni del nostro Paese, hanno mentito agli italiani? I membri del Comitato tecnico scientifico avevano la competenza per fronteggiare questa pandemia? È stato fatto tutto il possibile (con i mezzi e le conoscenze a disposizione all’epoca) per contenere il deflagrare di un contagio epidemico che ha ucciso decine di migliaia di persone? Quanto ha inciso la «forte pressione delle associazioni di categoria sul governo nazionale e su esponenti della giunta lombarda» (pressione che viene confermata anche dall’ex assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, a pagina 53 del suo ultimo libro Diario di una guerra non convenzionale) nella “mitigazione” delle misure di contenimento, soprattutto nella culla industriale della Lombardia, ovvero in Val Seriana? E ancora, quali conseguenze hanno avuto sulla vita dei cittadini italiani le decisioni politiche prese nelle prime settimane dell’emergenza pandemica?

La risposta a buona parte di questi quesiti è probabilmente contenuta nella maxi informativa su cui gli inquirenti della Procura di Bergamo stanno lavorando da mesi. Una mole immensa di dati, corredata da modelli matematici, audizioni, chat sequestrate, email e testimonianze raccolte dai magistrati e dalla Guardia di Finanza, in questi ultimi due anni. Risposte che attingeranno elementi preziosi anche dalla super perizia depositata a gennaio dal consulente tecnico, il microbiologo Andrea Crisanti, che come in un immenso puzzle ha ricostruito e messo in fila tutti i frammenti di questa drammatica pagina della storia d’Italia.

Vicoli ciechi e non

Non sappiamo ancora se ci saranno rilievi sul piano penale (o comunque giudiziario, visto che oltre all’indagine della Procura di Bergamo con l’ipotesi di reato di epidemia colposa e falso c’è in corso anche una causa civile dei famigliari delle vittime Covid-19 davanti al Tribunale civile di Roma), ma un fatto è certo: in questi mesi sono stati pubblicati documenti inediti e riservati, testimonianze e inchieste giornalistiche che evidenziano le moltissime incongruenze, le contraddizioni, le omissioni, l’incompetenza di consulenti tecnici e decisori politici, la sottovalutazione del rischio e lo scarico di responsabilità di un’intera classe dirigente. Regionale e nazionale. Senza differenze di colore politico. Come ricostruito in maniera definitiva da un recente e autorevole studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports affiliata al gruppo editoriale Nature, nel quale si ripercorrono le tappe della diffusione del virus, l’Italia ha fatto da incubatrice al Sars-CoV-2 approdato dalla Cina in Europa intorno alla metà di gennaio 2020. Secondo questo studio realizzato da Scire, acronimo di “Sars-CoV-2 Italian Research Enterprise-Collaborative”, che annovera i maggiori esperti in centri clinici e laboratori in tutta Italia, il virus è entrato nel nostro Paese dalla Cina, all’inizio del 2020, attraverso due vie e due mutazioni indipendenti e separate all’origine, quella veneta e quella lombarda. Con una differenza: la variante veneta è stata circoscritta, quella lombarda si è espansa.

«In Veneto il virus è entrato in un vicolo cieco grazie alle politiche di sorveglianza e di controllo messe precocemente in atto prima a Vo’ e poi nel resto della regione«», ci spiega il professor Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova e tra gli autori di questa pubblicazione. Politiche ispirate dall’intuizione del microbiologo e della sua équipe di ricercatori e scienziati, che nella prima fase pandemica hanno consentito a Regione Veneto di agire tempestivamente. In altre parole, le misure di contenimento adottate in Veneto all’inizio del 2020 avrebbero bloccato il contagio, quelle applicate in Lombardia avrebbero contribuito ad alimentare il focolaio dal quale la marea della malattia ha iniziato a dilagare in tutta Italia. Queste due prime forme del virus vengono identificate come B, quella in Veneto, e B.1, in Lombardia, meglio nota come variante Alfa o variante europea, quella che nella prima fase della pandemia ha causato una vera e propria ecatombe, soprattutto in Val Seriana.

Omertà nordica

Quest’inchiesta mira a ricostruire i fatti salienti legati alla prima ondata Covid, che nella bergamasca ha ucciso oltre 6mila persone in meno di due mesi. Confronteremo le dichiarazioni ufficiali, nazionali e regionali, con le numerose testimonianze raccolte e le decine di prove documentali, alcune inedite, emerse in questi due anni. E che pubblichiamo integralmente.

Lo scorso aprile la Commissione d’inchiesta di Regione Lombardia sulla gestione della prima fase dell’emergenza Covid-19 (che vede indagati dalla Procura di Bergamo cinque dirigenti sanitari lombardi con l’ipotesi di epidemia colposa e falso) ha presentato le risultanze del proprio lavoro durato oltre un anno e mezzo. Tuttavia, la relazione finale (di maggioranza) approvata dal Consiglio regionale è stata come un pugno nello stomaco per coloro che si aspettavano, quanto meno, un dibattito onesto sugli errori commessi, scevro dall’ennesimo scaricabarile e da ostinati tentativi di dimostrare che ad aver travolto la regione più avanzata d’Italia sia stata solo l’imprevedibilità di un evento di eccezionale gravità.

La buona politica riconosce gli errori per correggerli. Non li nega per nasconderli. Gli scopi della Commissione regionale d’inchiesta non erano giudiziari, bensì gestionali e politici: capire perché la gemma della sanità italiana si sia trasformata nel 2020 nel lazzaretto d’Europa; capire che cosa non abbia funzionato nella governance, con l’obiettivo di invertire la rotta e non farci trovare mai più impreparati. Una nobile finalità che è stata, ahinoi, disattesa. Tant’è che – proprio in Lombardia – l’approccio alla seconda ondata Covid è rimasto pressoché invariato, con un sistema di tracciamento epidemiologico inadeguato, spesso in ritardo e con una assistenza domiciliare del tutto insufficiente, a causa dell’assenza di strategie relative alla gestione del territorio. Un nervo scoperto di Regione Lombardia quello legato al depauperamento della medicina territoriale, ma che in emergenza ha manifestato tutte le sue micidiali conseguenze.

«Questa Giunta ha brillato per omertà e omissioni», ha detto la consigliera regionale Carmela Rozza (Pd) durante il dibattito sulle relazioni conclusive (di maggioranza e di opposizione) della Commissione d’inchiesta. «C’è un male profondo in quest’Aula e in questa Giunta», ha proseguito Rozza. «Questo male profondo è la mancanza di rispetto verso gli oltre 39.474 cittadini lombardi morti alla data di ieri (11 aprile 2022, ndr), verso i loro familiari e verso i tanti professionisti della sanità che, disarmati, si sono ammalati, sono morti e hanno salvato questa Giunta. […] Da siciliana vi dico: bravi, avete battuto i siciliani». Un attacco durissimo.

Una farsa

«Perché tutte queste omissioni, se è così chiaro che le colpe stavano altrove?», si domanda la consigliera Carmela Rozza (ex infermiera), che insieme ai colleghi dell’opposizione ha denunciato, non solo una grave omissione documentale da parte della Giunta Fontana, ma anche l’inesistenza dei verbali della task force lombarda responsabile delle azioni cruciali intraprese nella prima fase pandemica. «Se non date le informazioni è perché si nascondono le informazioni… E venite qui a pontificare sulle colpe degli altri?», ha tuonato in Aula. Colpe – è sottinteso governative – che la consigliera del Pd non sminuisce affatto. Tuttavia, per comprendere meglio questo clima di “omertà” della politica (regionale e nazionale) e la sua reticenza nel fare luce su questa fase storica del nostro Paese, basti osservare l’evidenza di due notizie, a modo loro, similari: la prima, come dicevamo, è l’autoassoluzione della Giunta di Regione Lombardia, che ha messo nero su bianco di aver «operato attivamente, instancabilmente e con ogni mezzo a propria disposizione per contrastare il deflagrare di un evento sconosciuto e inatteso, mettendo in campo mezzi, strumenti, personale e conoscenze tecniche e scientifiche, che hanno fatto da esempio per il resto del sistema Paese […] senza risparmiare sforzi e, in taluni casi, anticipando le disposizioni nazionali con l’unico scopo di offrire a tutti i cittadini, nessuno escluso, le cure di cui avevano bisogno».

La seconda notizia è la mancata calendarizzazione dell’atto di istituzione di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione italiana della pandemia; Commissione, peraltro, azzoppata sul nascere, in seguito all’approvazione di emendamenti voluti dai partiti di maggioranza quali Pd, Movimento Cinque Stelle, Leu e Lega (e appoggiati anche da parlamentari bergamaschi e bresciani), con i quali si vorrebbe circoscrive il campo di indagine solo alla Cina e solo fino al 30 gennaio 2020, vale a dire prima della dichiarazione dello stato di emergenza in Italia. «Una farsa», è il commento della coordinatrice del team legale del Comitato “Sereni e Sempre Uniti”, l’avvocata Consuelo Locati, che rappresenta quasi 600 famigliari di vittime Covid-19 che si sono costituiti in giudizio davanti al Tribunale di Roma, citando Presidenza del Consiglio, Ministero della Salute e Presidenza di Regione Lombardia e chiedendo, tra le altre cose, un risarcimento danni da 100 milioni di euro.

L’INCHIESTA DI TPI SULLA MANCATA CHIUSURA DELLA VAL SERIANA PER PUNTI:

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