Il ruolo dei due 007, l’incontro Meloni-Trump, le tempistiche obbligate: com’è andata la trattativa per la liberazione di Cecilia Sala
La trattativa con l’Iran e gli Stati Uniti che ha portato alla scarcerazione della giornalista italiana Cecilia Sala si è sbloccata dopo la visita-lampo a sorpresa della premier Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, in Florida, nella residenza privata del presidente in pectore americano Donald Trump.
Lì la presidente del Consiglio avrebbe ottenuto dal tycoon il via libera alla non-estradizione verso gli Usa dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato il 19 dicembre a Malpensa su richiesta di Washington con l’accusa di passare informazioni strategiche a Teheran.
È quanto emerge all’indomani della liberazione a sorpresa di Sala, rientrata in Italia ieri, mercoledì 8 gennaio, dopo ventuno giorni di detenzione nel carcere iraniano di Evin [LEGGI ANCHE: “Al telefono potevo solo leggere un messaggio già scritto”: Cecilia Sala racconta i 21 giorni in cella a Evin].
I negoziati con il regime degli ayatollah sono stati gestiti direttamente da Palazzo Chigi in tandem con l’Aise, l’Agenzia italiana dei servizi segreti esteri.
Secondo quanto riferisce a Il Giornale una fonte che ha seguito le trattative, il giorno cruciale per la soluzione del caso è stato il 2 gennaio, quando, dopo quindici giorni di tentativi inefficaci, Teheran ha accettato una interlocuzione meno intransigente e più morbida, governata non più dai rigidi pasdaran ma da apparati legati alla politica.
La svolta sarebbe arrivata in particolare grazie a due agenti dell’intelligence, uno iraniano e uno italiano, che “si conoscono personalmente e si rispettano”. L’italiano sarebbe colui che nel 2022 gestì il rilascio di Alessia Piperno, la viaggiatrice-blogger italiana rimasta in cella a Evin per 45 giorni.
A quel punto Meloni ha colto la palla al balzo e organizzato in tempi strettissimi il blitz in Florida, dove è riuscita a ottenere da Trump l’assicurazione rispetto a una “non-conflittualità” sulla vicenda di Abedini. Ma a una condizione, relativa alle tempistiche: il no dell’Italia all’estradizione negli Stati Uniti dell’ingegnere iraniano esperto di droni dovrà arrivare entro un arco temporale di otto giorni, non prima del 12 gennaio e non dopo il 19 gennaio.
Il 12 gennaio, infatti, sarebbe dovuta terminare la visita di quattro giorni nel nostro Paese del presidente uscente degli Usa Joe Biden: viaggio nel frattempo annullato a causa degli incendi che stanno devastando la California. Negare l’estradizione di Abedini mentre Biden si trova in Italia avrebbe rappresentato per Washington un affronto insopportabile.
D’altro canto, il 20 gennaio è in programma l’insediamento di Trump alla Casa Bianca e il tycoon non può permettersi di iniziare il suo secondo mandato da presidente con una (anche solo apparente) concessione all’Iran.
Con ogni probabilità, quindi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio firmerà la non-estradizione di Abedini dopo la sentenza del 15 gennaio della Corte d’Appello di Milano sulla concessione degli arresti domiciliari all’ingegnere.
Dietro la liberazione di Cecilia Sala, insomma, come confermato oggi Meloni nella conferenza stampa di inizio anno, “c’è stato un lavoro di triangolazione diplomatica con Iran e Usa”. Rispetto alla vicenda Abedini la premier si è limitata a dire che “il caso è al vaglio tecnico e politico del Ministero della Giustizia” ma, ha aggiunto, si tratta di una “vicenda che bisogna continuare a discutere con i nostri amici americani” perché “il lavoro è ancora molto complesso, la cosa non è terminata ieri”.
Da parte sua, il ministro della Giustizia Nordio, in un’intervista pubblicata oggi da La Stampa, sostiene che “la situazione di Abedini è squisitamente giuridica, e va studiata nella sua complessità, indipendentemente dal felice esito della vicenda Sala. Dell’estradizione – dice il ministro – è prematuro parlare, anche perché sino ad ora la richiesta formale non è ancora arrivata al nostro ministero”.
“Quando si lavora di squadra, e si lavora con grande discrezione e in silenzio, si ottengono i risultati concreti, così come li ottenemmo per Alessia Piperno e altri cittadini italiani che siamo riusciti a liberare. Quando c’è collaborazione, quando i diversi comparti dello Stato collaborano, l’effetto positivo si moltiplica”, ha commentato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenuto ieri sera su Rai Uno a Porta a Porta.
Intanto, dagli Stati Uniti, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby sottolinea che “il caso di Cecilia Sala è stata una decisione del Governo italiano dall’inizio alla fine” e che “è Roma che deve rispondere a domande specifiche”.