Cassazione, sentenza storica: nell’assegno di divorzio conta anche la convivenza prima del matrimonio
Cassazione, sentenza storica: nell’assegno di divorzio conta anche la convivenza prima del matrimonio
Una sentenza storica. È quella delle sezioni unite della corte di Cassazione, che per la prima volta ha riconosciuto il periodo di convivenza prematrimoniale nel calcolo dell’assegno di divorzio. Una svolta in un aspetto del diritto di famiglia finora aperto a diverse interpretazioni.
Secondo la corte suprema, la convivenza rappresenta “un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali”. Anche nelle cause di divorzio, quindi deve essere riconosciuto lo stesso peso al tempo trascorso durante la convivenza e a quello successivo al matrimonio, se anche nel primo si riscontrano “i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche”, riporta la sentenza.
La decisione riguarda il caso di una donna che chiedeva le fosse riconosciuto, nel calcolo dell’assegno di divorzio, il periodo di convivenza prematrimoniale. Durante questo periodo, durato dal 1996 al 2003, era anche nato il figlio della coppia. La donna aveva inoltre deciso, prima ancora di sposarsi, di lasciare il proprio lavoro per dedicarsi alla cura della casa e della famiglia. Secondo la corte di appello di Bologna non risultava però “che ella avesse sacrificato aspirazioni personali e si fosse dedicata soltanto alla famiglia, rinunciando ad affermarsi nel mondo del lavoro” visto che giuridicamente “gli obblighi nascono dal matrimonio e non dalla convivenza”.
Un’interpretazione smentita dalla Cassazione. Secondo la sentenza, nei sette anni di convivenza si era già creata una divisione dei ruoli domestici che ha creato “scompensi” poi ricaduti sul futuro matrimonio e sul divorzio. A causa di quelle rinunce infatti, la donna non ha poi potuto “garantirsi un mantenimento adeguato”. Secondo la corte, il suo contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune della coppia è stato quindi “continuativo e stabile” anche durante la convivenza. Periodo durante il quale sarebbero state prese delle “scelte condivise”, che hanno “conformato la vita all’interno del matrimonio”.