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Home » Cronaca

Caso Vannini, lettera a TPI di Viola Giorgini: “Io, perseguitata dai media, ho odiato Antonio Ciontoli e me stessa”

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Esclusivo TPI - La lettera della fidanzata di Federico Ciontoli, unica imputata assolta nel processo per l'omicidio di Marco Vannini: "Ho vissuto questi cinque anni in silenzio, trasformandomi in un fantasma. Contro di me una valanga d'odio, è umano provarne, anche io ne ho provato. Ma una voce mi diceva di mantenere fisso nella mente, ma forse più nel cuore, quello che realmente è stato. È questo che mi ha salvato. Ai genitori di Marco dico: tante volte sarei potuta venire da voi, non ne ho avuto il coraggio, ho avuto paura di tutto quello che avete scelto di far stare intorno a voi. Odio, insulti e minacce"

Fin da bambini ci insegnano che la vita di ognuno è il risultato di quello che siamo e di quello che abbiamo coltivato nel corso del tempo. Una frase corretta, ma a volte non completamente veritiera. Può succedere, quando meno te lo aspetti, che la vita ti metta davanti ad una dura ed inaspettata prova, di fronte alla quale o sai prontamente reagire, o il corso della tua vita prende una strada diversa. Questa strada purtroppo la sto scoprendo un passo alla volta e dopo anni, quando la mattina apro gli occhi, ancora, facilmente, la confondo con un incubo.

Sono anni che ripercorro costantemente gli attimi e soprattutto le sensazioni di quella sera, la sera del 17 maggio 2015, come se non volessi mai concedermi, neanche per un minuto, la possibilità di allontanare quelle emozioni. È una tragica storia, che giorno dopo giorno è diventata sempre più reale, fino ad essere oggi, la mia vera vita, una battaglia silenziosa che purtroppo combatto ogni giorno. In poco tempo, le piccole sicurezze che avevo avuto fino a quel momento crollarono e subito dopo, con loro, crollai anche io.

Mi accorsi velocemente che le cose non sarebbero più tornate alla normalità, alla banalità della vita di una ventenne che poco aveva da dimostrare. Non riuscii a capire subito che tipo di mostro stava nascendo intorno a me. Poi iniziai a farci i conti. Quello di cui parlo è l’immensa valanga d’odio che procede tutt’ora in parallelo con il processo e con la vita, che in ogni caso va avanti e che ha accompagnato questa storia fin dall’inizio.

Ho vissuto questi cinque anni in silenzio, trasformandomi in un fantasma, credendo che questo potesse essere l’unico modo per sopravvivere. Quando scelsi di non vendermi a quei programmi televisivi che tanto hanno lucrato e tutt’ora lucrano su tragedie come questa, mi sono sentita spesso dire che avevo sicuramente qualcosa da nascondere. In verità, scelsi il silenzio sempre e solo per il carattere mediatico che caratterizza questa storia, che proprio non condivido. Ma questo non emerse mai.

Oggi devo dire che il mio silenzio, tanto giudicato e condannato, nonostante abbia complicato la mia vita aggravando la mia esclusione da quella sociale, mi ha salvata. Mi ha salvata dal divenire un grande mostro, mi ha salvata da quel meccanismo “sporco” che è la televisione (almeno per quanto riguarda tutti coloro che hanno trattato questa, come una storia da cui ricavare profitto), mi ha salvata dalla malattia dell’odio e da tutte quelle guerre che vengono fatte costantemente in televisione e sui social.

Con il tempo questo genera rabbia, odio e alle volte anche gesti estremi. Io, come d’altronde tutta la “famiglia Ciontoli”, vengo costantemente offesa ed insultata su gruppi e pagine social (che dicono esser nate per trasmettere vicinanza alla famiglia Vannini) e minacciata con lettere, chiaramente scritte in anonimato, recapitate presso la mia abitazione. Di conseguenza anche la mia famiglia e le persone che ho vicine, che nulla non c’entrano con questa storia, si trovano a fare i conti con tutto questo.

Immagino, sulla scorta di quello che leggo spesso, che per i leoni da tastiera sia giusto che io viva una vita così, caratterizzata da paura, dolore e che venga privata di alcuni diritti. Tante delle persone che scrivono commenti offensivi sono adulte e hanno a casa figlie e figli della mia stessa età… mi domando spesso, se si sono mai umilmente chieste, come loro o i loro stessi figli si sarebbero comportati, in situazioni così facilmente giudicabili.

È umano provare odio, anche io ne ho provato. Ho provato tanto di quell’odio nei confronti di chi con un solo gesto inconsulto ha cambiato profondamente la mia vita, quella della mia famiglia e quella della persona che amo, fino a renderla un nulla. Ho provato odio a tal punto da sentirmi in colpa. E perché avrei dovuto? In fondo questa persona mi ha rovinato la vita. Mi sono data tante volte questa risposta, ma in cuor mio sapevo che se avessi intrapreso quella strada, la più semplice da percorrere, avrei varcato la porta dell’odio e non ne sarei più uscita. Avrei sfogato il mio dolore senza prendermi neanche una responsabilità, tra cui anche quella di testimoniare in aula, quando avevo la possibilità di scegliere se farlo o meno. Responsabilità di fronte alle quali non mi sono mai tirata indietro, perché era giusto che io ci fossi.

Ho provato odio nei miei confronti, per non essere stata in grado di capire cosa stesse succedendo quella sera, per essermi fidata e non essere andata oltre. Mi sono sentita talmente tanto in colpa per la mia immaturità! Ma poi? Poi una voce mi diceva di mantenere fisso nella mente, ma forse più nel cuore, quello che realmente è stato. Questa voce è talmente forte da mantenermi sveglia la notte, da mettermi ancora nella condizione di pormi delle domande e a tratti è stata davvero tanto forte da mettermi alla prova. Ad oggi so che, se questa voce non mi avesse accompagnata, io non sarei qui.

Non potrei sopportare di vivere e provare emozioni, se fossi davvero responsabile di tutto ciò di cui vengo mediaticamente accusata. Se il tempo potesse tornare indietro, ne sarei ben felice, perché potrebbe risparmiare tanta sofferenza a chi non c’è più e a chi, restando qui, soffre costantemente.

Quando è accaduto quel che sapete ero una bambina stupida e nei miei vent’anni circa, avevo davvero poco da dire. Anzi, ho dimostrato di non valere nulla e ne sono consapevole. Non sapevo cosa fosse la sofferenza, la responsabilità, una persona di poco spessore. Ho parlato a sproposito. Ma ero io e anche se ho cercato tante volte di negarlo a me stessa, la verità è una sola, nonostante tutto, dietro la mia stupidità non c’è mai stato nient’altro.

L’odio mediatico non è nato dal nulla, una volta una “giornalista” mi disse: “Noi raccontiamo i fatti, ma solo quelli in grado di incuriosire, il resto per noi è spazzatura”. Lei non sapeva di stare a parlare con una di quelle persone alle quali il racconto distorto dei fatti aveva rovinato la vita. I “giornalisti” (volutamente virgolettato per rispetto a chi svolge tale mestiere con dignità e serietà) per elemosinare un estratto di materiale sul quale “divertirsi” ad immagine il mistero, sono disposti a fare molto.

Elenco solo alcune delle trovate alle quali purtroppo ho assistito. In questi anni si sono dilettati a:
• Tenere forzatamente e contro la tua volontà le portiere delle auto ed i cancelli delle abitazioni aperti per evitare il tuo allontanamento; mostrare in televisione il cartello che riporta la via in cui abiti per renderti impossibile anche scendere di casa per andare a lavoro; intervistare con tranquillità i clienti del bar limitrofo a casa tua e quei vicini di casa che a malapena conosci, ai quali vengono fatte sempre le stesse domande, che faranno della loro intervista motivo di soddisfazione in famiglia.

• Le “Iene” sanno bene di cosa sto parlando, un programma che nasce per mettere in luce e far emergere verità scomode, che si è rivelato essere tale e quale a talk show disposti a tutto pur di guadagnare. In particolare, Giulio Golia ricorderà di aver agito malamente contro me e Federico. Scambiai dei messaggi con lui, dopo incessanti e tartassanti sue telefonate, in cui esplicitavo chiaramente la volontà di non vendermi alla mediaticità di una tragedia come questa, ma lui con fare gentile affermava di non voler lucrare su questa storia, ma solo far emergere la verità. Le “Iene” come pensano di averlo fatto? Scegliendo di regalare un momento di notorietà al signor Vannicola e a sua moglie, sono consapevoli di aver lasciato passare il messaggio che ha sparare poteva essere stato Federico? Il tutto senza un briciolo di prova. Dov’è finita la mission del programma?

• “Quarto Grado” e l’inviata Chiara Ingrosso ricorderanno l’inseguimento, che forse andò diversamente da come speravano. Una mattina io e Federico uscimmo di casa per andare al lavoro e una macchina con due ragazzi dentro (uno dei due dormiva e non voglio neanche immaginare da quante ore fossero lì) partì in coincidenza con noi. Quando mi accorsi che ci stavano seguendo eravamo ormai quasi arrivati e dopo ripetute richieste da parte nostra di accostare l’auto, presero coraggio e si fermarono. Quando scesero sembravano increduli, forse credevano di essere trasparenti, gli chiesi più volte perché non ci avessero fermati se l’intento era intervistarci… beh lei non seppe rispondere. L’intento era forse pedinarci per vedere dove andavamo, lavoravamo e vivevamo? Diritto di cronaca o gossip?

• Fare agguati sui treni ad alta velocità senza fermate intermedie (non riesco ad immaginare come siano venuti a conoscenza dei nostri spostamenti. Che mezzi hanno per sapere queste cose?). Ci costrinsero ad essere ripresi e a rispondere e poi, una volta chiamate le autorità, finsero di piangere in questura per far passare la cosa come un errore. Se lo ricorderà Lilly Viccaro Theo, inviata di “Chi l’ha visto”. Mandare inoltre, messaggi intimidatori; tagliare parti significative di intercettazioni e interviste per distorcere i fatti a loro piacimento; fingersi postini facendoti scendere al portone con l’inganno della raccomandata da ritirare per scappare poi appena vengono chiamate le autorità; o fingersi passanti interessati al tuo cane per trattenerti contro la tua volontà. “Chi l’ha visto?” come ci tiene a ribadire che è stato il primo programma ad intrattenere il pubblico con questa storia il 20 maggio 2015! Sostenendo inoltre di aver restituito dignità alla vicenda. Ma con questi mezzi e queste bugie, precisamente a chi ha restituito dignità? Se davvero fosse quello l’intento, mi chiedo: perché rimuovere i commenti di chi pone domande diverse dalle offese e dagli insulti sulla vostra pagina social?

Questi sono solo alcuni dei principali programmi che hanno trattato questa storia come una telenovela. Sono invece tanti altri i giornalisti, di testate o giornalini online che hanno approfittato delle debolezze per scrivere articoli allettanti. Il 9 settembre dopo la testimonianza in aula, sono stata assalita da dieci o più giornalisti all’uscita del tribunale. Gli stessi, avevano assistito all’udienza ed avevano avuto quindi già tutte le informazioni necessarie. Non contenti però, con foga mi hanno seguita tra spinte e microfonate in viso, per estorcermi una parolina, che sapevano bene essere carica di tensione visto l’andamento dell’udienza.

Mi sono sentita dire: “Tu sei un caso mediatico, tu esci da un’aula di tribunale, tu lo sai che lì fuori c’è il mondo che ti mangia” e ancora “se non vuoi dir nulla, allora stai zitta. Fai il tuo dovere, scansaci e sali in auto. Fatti inseguire e fai la tua parte, ma lasciaci fare la nostra”. Infine, tanti hanno messo a rischio la mia famiglia, coinvolgendo mediaticamente anche chi sfortunatamente è legato a me.

Hanno provato a dire che la sera del 17 maggio 2015 in casa erano presenti altre persone, supponendo che potessero essere i miei genitori, questo pensate non abbia avuto ripercussioni sulla loro vita? Perché lo fanno? Questo è davvero il lavoro di un giornalista? È giusto che chi si trova ad affrontare un processo viva tutto questo? Voi giornalisti e programmi televisivi, vi siete mai chiesti se fosse davvero giusto agire in questo modo? E se aveste sbagliato? Se non fossimo quei mostri che avete costruito attentamente? Forse i veri mostri non avrebbero mantenuto questo rispettoso silenzio.

Quando si parla di giustizia per i cittadini, so che corre l’obbligo di fare una buona informazione, di raccontare la verità. I tanti programmi televisivi e i rispettivi giornalisti sanno di non averlo fatto, sanno di aver cavalcato l’onda dell’odio e della disperazione per accrescere l’audience, questa non è vera informazione. Ora non si può chiedere giustizia sulla base di questo. Non è vera giustizia. Professano inoltre, di essere quello che in realtà non sono, ed in questo si prendono gioco del pubblico che da casa osserva attentamente le ricostruzioni ed ascolta gli opinionisti esporsi con toni e modi carichi di odio. E ancor peggio, fingono di essere vicini a quelle persone che più di tutti stanno soffrendo, sfruttando la loro fragilità e rendendola spettacolo.

E non basta essere assolta. Quando si diventa cibo per gli sciacalli, cibo che alimenta odio e rabbia, non si è più niente. Com’è sulla bocca di tanti, si diventa “un nulla che merita una morte lenta e dolorosa”. Leggo spesso commenti di persone che ringraziano tali programmi, sostenendo che è grazie a loro se è stata possibile la riapertura del caso. Quindi, questo è conferma del fatto che la Corte abbia scelto di rifare il processo ed oggi di condannare tutti, tranne me (prima che qualcuno possa attaccarsi a questo per insultare) per omicidio volontario per merito dei programmi televisivi e della pressione mediatica? Se è grazie alle innumerevoli bugie inventate nei programmi, che siamo arrivati a questo punto, la vera giustizia dov’è? Ne esce una giustizia sommaria, da salotto televisivo, dove le opinioni contano più dei fatti.

Nessuno si chiede mai come sia possibile che abbiano così tanta potenza. La stessa Marina ha ringraziato a caldo, subito dopo la sentenza del 30 settembre, i media. Perché? Questa appare come una conferma. Come può questo garantire un giusto processo? E l’errore è stato non essere presenti in tv? Non essersi venduti? I giudici in quanto tali non dovrebbero essere influenzati da tale pressione, ma essendo prima di tutto persone, essere umani, certamente hanno dovuto confrontarcisi.

Io la verità l’ho detta, Federico anche, a chi è che non arriverà? A chi non l’ha voluta sapere perché scomoda. La verità è una sola, non dovrebbe esistere la differenza tra quella processuale e quella storica, la verità è una sola e Marco la sa. Perché nomino Federico? Perché è stato condannato ingiustamente, e chi lo conosce sa di cosa parlo. Io e Federico conducevamo una vita normale, tranquilla, perché avremmo voluto rovinarci la vita? Come si può pensare che avremmo voluto la morte di una persona?

Federico è stato l’unico quella sera ad avere il coraggio di andare contro la volontà del padre. Ha chiamato il 118, si è preoccupato di parlare con Marina e Valerio. Come si può credere che dietro questo ci sia la volontà di far morire una persona? Ha deposto in aula come me, senza tirarsi indietro, anche quando la legge gli dava la possibilità di farlo. Chi ha da nascondere qualcosa non si comporta così. Ha rilasciato due dichiarazioni spontanee, ha assunto un ulteriore avvocato per sottolineare la diversità della sua posizione, ma non è servito a nulla.

I Ciontoli, come tutti li chiamano, sono tutti uguali, meritano le stesse condanne indistintamente, giusto? Perché vengono giudicati come famiglia e non come singoli individui, come è stato per me? L’intercettazione ambientale dovrebbe essere ascoltata attentamente per intero. Da lì emerge tanto, non solo quello che è convenuto far emergere in questi anni. I carabinieri nella caserma di Ladispoli erano presenti alla nostra reazione quando Antonio ci ha comunicato il decesso di Marco, quella reazione non è di chi ha in testa la possibilità “morte”. Il Maresciallo Izzo, come ha potuto negare? Come ha potuto mandare tutti al macello?

Il 21 maggio del 2015 al funerale di Marco io e Federico eravamo presenti, eravamo fuori dalla chiesa, abbiamo visto salire la bara bianca sull’auto e chi era con noi (non posso credere non si ricordino di essere stati lì) ha visto il dolore e potrà ammettere che è impossibile recitare in quel modo. Federico si troverà, forse, a scontare una pena di 9 anni e 4 mesi per cosa? Il carcere dovrebbe essere rieducazione, e cosa ci sarebbe da rieducare? Sa più di punizione, quella punizione invocata per cinque anni. Si parla di giustizia o di vendetta? Vi chiedete mai perché in due gradi di giudizio sono stata creduta? Perché io sono stata assolta e loro condannati per omicidio volontario? Che attendibilità ha la giustizia?

Leggo spesso post con su scritto che la sentenza errata è quella su di me, e se non fosse così? La mia vita è già distrutta, sono cinque anni che lo è, è vero io sono ancora in vita e Marco no, ma è sempre giusto porre la questione in questi termini? Io non ho voluto la morte di Marco, non mi sono mai tirata indietro dalle mie responsabilità, ma sono stata assolta. Devo pagare per questo? Ma soprattutto, ora che si ritiene ottenuta giustizia, perché si è ancora in tv?

Certo, capita spesso, dopo tutte queste parole, che io mi fermi a pensare e mi chieda se sia giusto paragonare la portata dell’odio sociale a tutto quello che è successo. Cosa può essere rispetto alla morte di una persona? Cerco ancora di giustificarlo a tutti i costi, mettendo in primo piano il dolore derivante da una perdita. Ma poi mi accorgo che non è facendo del male e vendicandosi, che le cose tornano ad essere com’erano. Spesso si pensa, che quando una persona incorre in errore indotto o meno, merita il trattamento peggiore che possa esistere.

Qui ci si dimentica di quelli che sono i diritti umani, che vanno ben oltre la necessità di sfogare la propria rabbia sull’altro. Si pensa addirittura, che la pena di morte sia giusta, si pensa che ricorrere alla giustizia privata sia una soluzione per appagare i propri sentimenti. Questo non è umano. È umano augurarsi che qualcuno sciolga una ragazza di vent’anni nell’acido? che tutti possano morire di stenti o che le donne in questione vengano date in mano a qualcuno che “saprà bene cosa farci”?

Ho provato diverse volte a scrivere per testimoniare che dietro le tante parole che mi descrivono come un mostro, in realtà c’è una persona, che tutto è tranne che un mostro. Ma non è servito, ho solo dato modo di incrementare gli insulti. In fondo, che altri mezzi ho per farlo? L’alternativa è concedere ai programmi di usare la mia immagine e le mie parole per gli scopi di cui ho scritto finora. In più, è evidente come la mia sia solo una voce tra le tante, che oltre a non contare nulla, secondo l’opinione pubblica, non ha diritto di parola, o ancor peggio, diritto alla vita.

Questo conferma quanto sia vero che contro tali potenze la battaglia di un singolo, è una battaglia persa in partenza. Quando si dice che ognuno di noi ha pari diritti, non è vero. Chi come me, si trova in situazioni di questo tipo, non conta più niente, può essere calpestato da chiunque e chi avrebbe il potere di fermare questo “linciaggio” non lo fa. Forse perché dovrebbe andare contro la massa? È disarmante vedere come i politici utilizzino gli stessi mezzi utilizzati da coloro che urlano vendetta, per esprimere il proprio pensiero riguardo questa storia, ma non osino utilizzarli per lottare contro tale violenza. Questi ultimi, sono consapevoli che sui social si offende, si minaccia, si parla di pena di morte e di giustizia privata? Chiunque può scrivere qualsiasi cosa, rendendoli efficaci mezzi razziali, questo non importa a nessuno?

Marina e Valerio, anche voi, come avete potuto leggere tanta rabbia e odio, consapevoli che dipendesse dall’aver scelto di rendere pubblica questa storia e non discostarvi nettamente da tutto questo? Avete sempre detto che l’odio dipendeva dalle bugie (che tra l’altro hanno avuto in aula una spiegazione), quindi l’odio dipende dalle stesse persone che lo ricevono? Chi lo esplicita non ha responsabilità? Sarebbe umanamente stimabile se chi ha la possibilità e la facoltà di diffondere sui social, in televisione o sui giornali, un messaggio di vera giustizia e soprattutto vera umanità, lo facesse invece di aizzare l’odio.

Marina e Valerio, ho sempre creduto che non sia questa la sede per parlare con voi, ma prima che diciate che Marco in tutto questo mio ragionamento non c’è mai, vi fermo. È sempre presente, in ogni istante, perché al suo posto ci sarei potuta essere io (e voi lo sapete) e se potessi dargli parte della mia vita lo farei volentieri. Nei miei occhi avete potuto leggere tanto. Sono stata presente due volte in aula e tutte e due le volte, sapete che ero rivolta a voi. Per un attimo avrei voluto che la formalità di quell’aula di tribunale potesse scomparire.

Non potrei vivere con tali rimorsi, se davvero fossero tutte bugie. Se sono ancora qui è perché so la bontà e la verità di quello che è stato, se fossi stata davvero uno dei cinque mostri senza coscienza, oggi non so se sarei riuscita a sopravvivere. Avete ragione, tante volte sarei potuta venire da voi, non ne ho avuto il coraggio, ho avuto paura di tutto quello che avete scelto di far stare intorno a voi. In qualche modo dovevo e devo proteggermi dal carico di odio, insulti e minacce. Non credo che la televisione sia il luogo adatto alla sofferenza. Ad oggi non avrei vantaggio a dire tutto questo, spero possiate pensarci.

Mi auguro che questo messaggio possa arrivare almeno a coloro che come me, credono che l’odio sia la via più breve per arrivare a disumanizzare il prossimo ma anche a disumanizzare se stessi. Credo che questo prescinda da quello che siamo, dalle nostre differenze. Dovrebbe essere garanzia per chiunque, anche per il peggiore degli individui. Nessuno dovrebbe vivere condizioni come queste e dato che sicuramente non siamo stati i primi e neanche saremo gli ultimi a vivere tutto ciò, spero possa rimanere traccia di quanto l’odio porti fuori strada, anche coloro che per una vita giudicano di professione. Responsabilità e colpe non sono mai state negate o non ammesse, ma spesso le cose non sono come sembrano o meglio, come si vogliono far sembrare.

Leggi anche: 1. Sul caso Vannini non difendo i Ciontoli ma la verità (di Selvaggia Lucarelli) / 2. Omicidio Vannini, la sentenza d’appello bis: 14 anni per Antonio Ciontoli, 9 e 4 mesi a moglie e figli

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