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Caso Sea Watch: riassunto di un’odissea durata 17 giorni

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Caso Sea Watch riassunto | Un’odissea durata più di due settimane, 17 giorni per la precisione. Nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno la nave Sea Watch 3, con a bordo una quarantina di migranti salvati al largo delle coste libiche, è attraccata al porto di Lampedusa. La capitana Carola Rackete è stata arrestata dopo aver forzato l’alt imposto dalle autorità italiane.

Ma com’è iniziato tutto? Come siamo arrivati fin qui?

La nave della ong olandese lo scorso 12 giugno ha soccorso e portato a bordo 53 migranti (che inizialmente erano 52). I migranti si trovavano su un gommone a largo di Zawiya, in Libia.

Da quel momento è iniziata l’odissea per i migranti e per l’equipaggio a bordo. La ong, subito dopo il salvataggio, ha chiesto un porto sicuro per far sbarcare i naufraghi, rifiutandosi categoricamente di riportare le persone soccorse in Libia, come suggerito dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Salvini. “Tripoli non è un porto sicuro. Riportare coattivamente le persone soccorse in un Paese in guerra, farle imprigionare e torturare, è un crimine. È vergognoso che l’Italia promuova queste atrocità e che i governi UE ne siano complici”, aveva dichiarato Sea Watch.

Il 14 giugno decide di fare rotta verso nord, direzione Lampedusa, spiegando che è quello l’unico porto sicuro più vicino alla posizione in cui si trovava l’imbarcazione dopo il soccorso dei migranti.

Il giorno successivo, il 15 giugno, la Guardia Costiera italiana si è diretta verso la nave per un controllo medico sui migranti a bordo. L’incontro è avvenuto in acque internazionali, a largo di Lampedusa. Nel corso della giornata, 10 dei 53 migranti, sono stati fatti sbarcare per le condizioni di salute precarie. Restano a bordo 43 persone inclusi 3 minori non accompagnati, uno di soli 12 anni.

Nella giornata del 16 giugno, la Guardia di Finanza, in piena notte, ha fatto visita alla Sea Watch 3 per notificare il Decreto Sicurezza bis alla Comandante, Carola Rackete. La ong intanto continua a chiedere con insistenza un porto per lo sbarco.

I racconti che arrivano dai profughi a bordo sono inquietanti. “Piuttosto che tornare in Libia, preferirei morire. Preferirei dare la mia vita ai pesci piuttosto che essere nuovamente torturato”, ha raccontato uno degli uomini fuggiti all’inferno libico.

“In prigione ho visto così tanti stupri, torture. La Libia è un inferno, le donne vengono violentate, picchiate. Gli uomini torturati per denaro”, racconta un’altra donna a bordo.

Intanto i giorni passano, e di un porto sicuro neanche l’ombra. Si moltiplicano le richieste e gli appelli per far sbarcare i migranti, e le iniziative di solidarietà.

Mentre i 43 migranti di Sea Watch sono in balia delle onde, gli sbarchi continuano regolari sia a Lampedusa che in altri porti italiani. Come denunciato da molti, la questione sta assumendo sempre più i connotati di una “guerra alle ong” più che all’immigrazione.

Il 20 giugno si celebra la giornata mondiale del rifugiato, ma nulla ancora si muove.

Il 22 giugno un altro uomo viene evacuato dalla Guardia Costiera, a causa del serio peggioramento delle sue condizioni di salute. I naufraghi sono a bordo da 10 giorni, e nulla si muove.

Il 24 giugno l’equipaggio a bordo della nave chiede l’intervento della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

La Corte ha rivolto una serie di domande sia alla Sea Watch 3 che al governo italiano.

La Corte in base ai suoi regolamenti può chiedere all’Italia di adottare quelle che vengono definite “misure urgenti” e che “servono ad impedire serie e irrimediabili violazioni dei diritti umani”. Il giorno dopo, il 25 giugno, arriva il verdetto. Il ricorso è stato respinto, e la Cedu non chiederà al governo di far sbarcare i migranti a bordo di Sea Watch. Salvini festeggia, mentre dopo 12 giorni l’odissea non si è ancora conclusa.

I migranti a bordo lanciano un appello: “Siamo stremati, fateci scendere”, dicono il 25 giugno.

La situazione a bordo è sempre più disperata.

Il giorno della svolta arriva il 26 giugno. La capitana Carola Rackete decide di forzare il blocco. “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo. In 14 gg nessuna soluzione politica e giuridica è stata possibile, l’Europa ci ha abbandonati”. Con queste parole Rackete forza il blocco, esce dalle acque internazionali ed entra in quelle italiane.

Durissima la reazione di Matteo Salvini, che giura e spergiura che i migranti non faranno ingresso in Italia. “Lo impediremo con qualunque mezzo democratico. Mi sono rotto le palle”, dice il ministro.

Nella tarda serata la nave giunge a poche miglia dal porto di Lampedusa, ma non può ancora sbarcare. Lo stallo continua. Qui un racconto dettagliato della concitata giornata del 27 giugno, che si è concluso con la salita a bordo di una delegazione di parlamentari, e con lo sbarco di due migranti per urgenze mediche. La nave è in porto, ma le persone a bordo non possono sbarcare.

Qui abbiamo spiegato cosa rischia Sea Watch e la capitana Carola Rackete in base al decreto sicurezza bis. Il ministro Salvini ribadisce che l’unico modo per sbloccare la situazione è la redistribuzione dei migranti in Europa, e l’arresto dell’equipaggio “di fuorilegge”.

La situazione si sblocca all’1.50 del 29 giugno: la nave attracca al porto di Lampedusa e la capitana Carola Rackete viene arrestata con l’accusa di “resistenza o violenza contro nave da guerra”.

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