Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, un riassunto del caso dei giornalisti uccisi in Somalia nel 1994
La giornalista Rai e l'operatore sono stati assassinati in un'esecuzione avvenuta a Mogadiscio. Venticinque anni dopo non conosciamo ancora la verità sul caso
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, un riassunto del caso dei giornalisti uccisi in Somalia nel 1994
Caso Ilaria Alpi Miran Hrovatin: un riassunto – La giornalista Rai Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin vengono assassinati in un’esecuzione avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo 1994. I due inviati si trovano in Somalia per seguire il rientro del contingente italiano, un paese alle prese con una guerra civile che vede contrapporsi il presidente ad interim Ali Mahdi e il generale Aidid.
Sono entrambi persone con esperienza alle spalle: Ilaria, 33 anni, è già stata altre volte in Somalia, negli anni immediatamente precedenti, mentre Miran, che vive a Trieste e ha 45 anni, è stato spesso nell’ex Jugoslavia, durante la guerra civile. Proprio lì si erano conosciuti i due inviati, durante la realizzazione di servizi per il Tg3.
Il 20 marzo 1994 Ilaria e Miran sono rientrati da poche ore da un viaggio a Bosaso, una cittadina nella costa. Nei pressi dell’hotel Amana, la Toyota a bordo della quale stanno viaggiando viene inseguita da una Land rover blu con a bordo diversi uomini armati, che taglia loro la strada. I killer scendono e sparano da una distanza ravvicinata, uccidendo i due giornalisti in una vera e propria esecuzione.
Negli anni si è tentato di accreditare la tesi dell’incidentalità della morte di Ilaria e Miran, ma le modalità della loro esecuzione – ormai accertate – non lasciano dubbi sul fatto che sia stato un omicidio volontario e accuratamente organizzato.
Nonostante siano trascorsi 25 anni e siano state formate diverse commissioni d’inchiesta, sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non è ancora stata fatta chiarezza. Non conosciamo infatti i nomi di mandanti ed esecutori (qui le domande senza risposta sul caso).
Caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin riassunto: il falso colpevole
Per il duplice omicidio Alpi-Hrovatin è stato condannato ingiustamente nel 2002 il cittadino somalo Hashi Omar Hassan, accusato di essere uno dei membri del commando che uccise la giornalista Rai e l’operatore.
Hashi, condannato a 26 anni di reclusione, ne ha scontati quasi 17 anni prima che il suo processo fosse sottoposto a revisione e una sentenza del Tribunale di Perugia lo assolvesse “per non aver commesso il fatto” il 19 ottobre 2016. Nella sentenza, i giudici parlano infatti di “un’attività di depistaggio di ampia portata”, culminata nella condanna del somalo.
Ad accusare Hashi sono due testimoni. Il primo si chiama Ahmed Ali Rage (detto “Gelle”), un sedicente testimone oculare che indica all’ambasciatore italiano in Somalia, Giuseppe Cassini, Hashi come uno dei membri del commando omicida.
Gelle arriva in Italia a dicembre 1997 e inizia a lavorare in un’officina scelta dal Ministero dell’Interno. È la polizia ad accompagnarlo al lavoro. Dopo aver accusato Hashi, tuttavia, Gelle fa perdere le sue tracce.
Viene rintracciato solo nel 2015 dalla giornalista Chiara Cazzaniga per il programma Chi l’ha visto. Si trova nel Regno Unito e alla giornalista racconta di aver accettato di accusare Hashi su sollecitazione di figure istituzionali italiane, in cambio di soldi della possibilità di lasciare la Somalia e raggiungere l’Europa. In realtà, ammette Gelle, quel 20 marzo 1994 non si trovava sul luogo del delitto, ma in tutt’altro luogo.
L’altro accusatore di Hashi è Sid Ali Abdi, l’autista di Ilaria Alpi, che viene trovato morto in circostanze sospette il 13 settembre 2002 a Mogadiscio, pochi giorni dopo essere rientrato dall’Italia e aver promesso importanti rivelazioni.
Traffico d’armi e rifiuti tossici: su cosa stava indagando Ilaria Alpi
Ilaria Alpi è stata uccisa perché aveva scoperto informazioni che non dovevano essere rivelate, probabilmente legate al traffico di rifiuti tossici e di armi tra l’Italia e la Somalia. Grazie ai suoi appunti, abbiamo la certezza che la giornalista stesse indagando su questi temi e sulla mala cooperazione anche prima di partire per il suo ultimo viaggio in Somalia.
In particolare, Ilaria e Miran si recano a Bosaso perché Ilaria sa che una nave gestita dalla società italo-somala Shifco, amministrata da Omar Said Mugne, un ingegnere italo-somalo, era stata sequestrata lì da pirati somali.
La giornalista sa anche che a bordo dell’imbarcazione, la “Faarax Oomar”, c’erano probabilmente armi e/o rifiuti tossici.
Per questi motivi, il 14 marzo Ilaria e Miran partono per Bosaso. Lì intervistano il sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor. Nell’intervista, pervenuta in forma frammentaria e probabilmente manomessa, il sultano parla di navi e cita la Shifco. Ilaria chiede informazioni sulla nave e vorrebbe vederla.
Durante la loro permanenza a Bosaso, inoltre, Ilaria e Miran percorrono la cosidetta “strada dei pozzi”, che porta a Garoe, costruita con i fondi della cooperazione, dove secondo alcuni testimoni sono stati sotterrati rifiuti tossici.
Inoltre Ilaria era stata in contatto con Vincenzo Li Causi, militare e agente del Sismi (il servizio segreto militare, ora Aise), che probabilmente era una sua fonte. Li Causi era comandante del Centro Scorpione di Trapani, una cellula Gladio, organizzazione paramilitare della rete Stay Behind. Fu ucciso in Somalia durante una missione a Balad, in circostanze mai chiarite, il 12 novembre 1993.
La vicenda giudiziaria: a che punto è il processo sull’omicidio Alpi-Hrovatin
Il 20 settembre il Tribunale di Roma deciderà sulla nuova richiesta di archiviazione relativa al caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Si tratta della terza richiesta di archiviazione dell’inchiesta sull’omicidio dei due inviati Rai.
La precedente richiesta d’archiviazione era stata avanzata dalla procura a luglio 2017, ma era stata respinta dal gip dopo che ad aprile 2018 la Procura di Roma aveva depositato alcuni documenti potenzialmente utili a riaprire il caso.
Luciana Alpi, madre di Ilaria Alpi, è morta a giugno 2018 senza ottenere la verità sull’assassinio della figlia. Per tutti questi anni si era battuta insieme al marito, Giorgio Alpi (morto nel 2010) per avere giustizia e aveva sostenuto l’innocenza di Hashi, che ha trascorso 17 anni in carcere.
La battaglia per la ricerca della verità sul caso Alpi-Hrovatin è portata avanti dall’Associazione Ilaria Alpi e dalla campagna “Noi non archiviamo”, che ha lanciato una petizione online disponibile qui.