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Caso Ilaria Alpi-Miran Hrovatin, il Tribunale di Roma decide sull’archiviazione: ecco 20 domande ancora senza risposta

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Omar Hashi Hassan, il somalo prima condannato a 26 anni e poi assolto nella revisione del processo svolto a Perugia, durante il presidio dei giornalisti italiani a piazzale Clodio contro l'archiviazione delle indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Roma, 17 aprile 2018. L'omicidio della giornalista del Tg3 e dell'operatore avvenne il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia. ANSA/ MASSIMO PERCOSSI

A 25 anni dal duplice omicidio avvenuto a Mogadiscio, in Somalia, TPI ha provato a fare un elenco dei punti ancora da chiarire

Caso Ilaria Alpi-Miran Hrovatin, il Tribunale di Roma decide sull’archiviazione: ecco 20 domande ancora senza risposta

Il 20 settembre il Tribunale di Roma decide sulla nuova richiesta di archiviazione sul caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. La giornalista Rai e l’operatore sono stati uccisi il 20 marzo 1994 nei pressi dell’hotel Amana, a Mogadiscio, capitale della Somalia. Una Land rover blu con a bordo diversi uomini armati ha inseguito la loro automobile e tagliato loro la strada. I killer sono scesi e hanno sparato, in una vera e propria esecuzione (qui un riassunto del caso). Sull’omicidio dei due giornalisti non è ancora stata fatta luce e restano molte domande senza risposta. TPI ha provato a fare un elenco dei punti ancora da chiarire.

1. Chi ha ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? Chi sono gli esecutori e i mandanti del duplice omicidio?

La domanda principale sul caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin resta senza risposta a 25 anni dalla loro uccisione a Mogadiscio. Per il duplice omicidio è stato condannato ingiustamente il cittadino somalo Hashi Omar Hassan, accusato di essere uno dei membri del commando che uccise la giornalista Rai e l’operatore. Hashi ha scontato quasi 17 anni di carcere prima che il suo processo fosse sottoposto a revisione e una sentenza del Tribunale di Perugia lo assolvesse “per non aver commesso il fatto” il 19 ottobre 2016.

2. Perché Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati uccisi?

L’uccisione dei due giornalisti è stata una vera e propria esecuzione, come documentato nel libro-inchiesta* curato dai coniugi Alpi e dai giornalisti che si sono occupati del caso. Non si è trattato, quindi, di un tentativo di rapina finito nel sangue o di un attacco di un gruppo di fondamentalisti (come sosteneva in primis il generale Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia).

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati uccisi perché avevano scoperto informazioni che non dovevano essere rivelate, probabilmente legate al traffico di rifiuti tossici e di armi tra l’Italia e la Somalia. Abbiamo la certezza che Ilaria stesse indagando su questi temi e sulla mala cooperazione anche prima di partire per il suo ultimo viaggio in Somalia. In questa direzione, inoltre, vanno tutta una serie di elementi emersi negli anni sul caso, anche se ancora nessuna indagine ha fatto chiarezza sui tanti punti oscuri legati a questi traffici.

3. Chi e perché ha depistato le indagini sul caso Alpi-Hrovatin?

Un depistaggio sulle indagini c’è stato, questo è certo. Emerge non solo dai fatti, ma anche a livello giudiziario, perché è stato messo nero su bianco dal Tribunale di Perugia nella sentenza di revisione del processo a carico di Hashi Omar Hassan.

I giudici parlano infatti di “un’attività di depistaggio di ampia portata”, culminata proprio nella condanna di Hashi. I nomi di chi abbia messo in atto questo depistaggio non sono ancora noti, ma alcuni apparati dello Stato hanno pilotato, pagato e protetto un falso testimone, il somalo Ahmed Ali Rage (detto “Gelle”), per fargli accusare Hashi.

4. Perché i documenti redatti subito dopo il delitto (foto, certificato di morte, elenco degli effetti personali, Body anatomy report) non pervengono alla famiglia della giornalista?

Un’ora dopo l’omicidio, le salme di Ilaria e Miran vengono trasportate a bordo della nave militare Garibaldi, dove vengono fotografate, viene compilato il referto medico, il certificato di morte e l’inventario dei loro effetti personali. Poi vengono trasportate all’obitorio delle Forze armate Usa a Mogadiscio, dove viene redatto il Body anatomy report. Nessuno di questi documenti, però, viene consegnato alla famiglia della giornalista.

Un elenco dei suoi effetti personali redatto dal comandante della nave Garibaldi (non quello ufficiale, quindi) arriva ai coniugi Alpi un mese dopo l’omicidio. Mentre le foto, il certificato di morte e il Body anatomy report non sono mai pervenuti.

5. Perché la valigia di Ilaria, quando viene consegnata ai genitori, è priva dei sigilli apposti prima dell’imbarco per Ciampino? Che fine hanno fatto gli oggetti sottratti?

Le salme di Ilaria e Miran vengono portate in Italia su un volo che arriva a Ciampino il 22 marzo 1994. Insieme al corpo della giornalista, ai genitori vengono consegnate la borsa e la valigia della figlia, che però sono prive dei sigilli apposti prima dell’imbarco. I coniugi Alpi scopriranno nei giorni successivi che dalla valigia sono stati sottratti vari oggetti, tra cui tre dei cinque block notes di Ilaria e la sua macchina fotografica. Inoltre, non c’è traccia delle videocassette con il servizio che Ilaria avrebbe dovuto inviare a Roma il giorno dell’omicidio.

L’inviato del Tg3 Giuseppe Bonavolontà, che in un servizio all’indomani dell’omicidio faceva riferimento ai referti medici, ammetterà davanti al magistrato di aver assistito all’apertura delle buste con i documenti sulla morte di Ilaria e all’apertura dei bagagli sigillati, ma senza spiegare che fine abbia fatto la documentazione o gli oggetti sottratti.

6. Perché e a che titolo l’ambasciatore-ministro Plaja ha avuto e trattenuto i due fogli protocollo di Ilaria macchiati di sangue per più di tre mesi?

L’ambasciatore-ministro Umberto Plaja, che era a bordo del volo per Ciampino insieme ai vertici Rai, ha trattenuto (senza averne l’autorizzazione) due fogli protocollo con alcuni numeri di telefono, trovati in possesso di Ilaria al momento della sua uccisione. I fogli, macchiati di sangue, saranno restituiti ai coniugi Alpi dal presidente della Rai Claudio Dematté a giugno 1994. In una lettera del ministro degli Esteri Martino, inviata ai coniugi Alpi a novembre, si parla di “motivi umanitari” e della volontà di lavare gli oggetti macchiati di sangue. Ma altri oggetti sono pervenuti alla famiglia con evidenti macchie di sangue. Nessuna spiegazione convincente è stata fornita sul motivo per cui quei fogli siano stati trattenuti per tre mesi.

7. Perché il corpo di Ilaria non viene sottoposto ad autopsia prima della sepoltura, come invece accade per Miran?

I funerali di stato per Ilaria Alpi si tengono il 23 marzo a Roma. Il pm Andrea De Gasperis non dispone l’autopsia del cadavere, ma un semplice esame esterno. A Trieste, invece, la salma di Miran viene sottoposta ad autopsia. L’esame autoptico sarebbe stato fondamentale per capire la dinamica dell’omicidio ed escludere la falsa pista dell’unica pallottola vagante che avrebbe colpito Ilaria e Miran, che sarà accreditata nelle settimane successive. La riesumazione del corpo di Ilaria e l’autopsia vengono disposte nel maggio 1996 dal magistrato Giuseppe Pititto.

8. Cosa è successo davvero nel sequestro della nave gestita dalla società italo-somala Shifco, sospettata di essere al centro di traffico clandestino di armi, su cui stava indagando Ilaria Alpi?

Ilaria Alpi sa che una nave gestita dalla società italo-somala Shifco, la “Faarax Oomar”, era stata sequestrata da pirati somali a Bosaso e che a bordo dell’imbarcazione c’erano probabilmente armi e/o rifiuti tossici. Per questo Ilaria e Miran vanno a Bosaso il 14 marzo. Lì intervistano il sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor. Ilaria chiede informazioni sulla nave e vorrebbe vederla. Nell’intervista, pervenuta in forma frammentaria e probabilmente manomessa, il sultano parla di navi e cita la Shifco (amministrata da Omar Said Mugne, un ingegnere italo-somalo). Ilaria e Miran percorrono inoltre la “strada dei pozzi”, da Bosaso a Garoe, costruita con i fondi della cooperazione, dove sembra che siano stati interrati rifiuti tossici.

9. C’era un agente del Sismi a Bosaso durante i giorni in cui Ilaria e Miran erano nella città costiera somala? Chi sono le “presenze anomale” nell’area di Bosaso, di cui si parla in un documento di gladio datato 14 marzo?

In un documento custodito probabilmente da uomini che hanno fatto parte di Gladio, l’organizzazione paramilitare appartenente alla rete Stay Behind, e partito dal comando carabinieri presso il Sios della Marina militare di La Spezia, si parla di “presenze anomale” nelle aree di Bosaso/Las Koreh.

Il documento è datato 14 marzo 1994, il giorno in cui Ilaria e Miran sono arrivati a Bosaso. Vi si legge che un uomo col nome in codice “Jupiter” deve lasciare l’area. Il nome in codice è riconducibile a Giuseppe Cammisa, braccio destro di Francesco Cardella, co-fondatore della Comunità Saman insieme a Mauro Rostagno. Viene anche ordinato lo spostamento di un altro uomo “Condor” (riferibile a Marco Mandolini, sottufficiale del Col Moschin) per un “possibile intervento” in un luogo indicato come “zona operativa Bravo” (forse Mogadiscio).

Il documento è stato rinvenuto nel 2011 e pubblicato in un’inchiesta di Andrea Palladino e Luciano Scalettari sul Fatto quotidiano. I giornalisti hanno anche verificato che Cammisa era effettivamente nella zona di Bosaso in quei giorni, come risulta da un fax inviato da Cammisa il 15 marzo 1994 da Gibuti alla sede di Milano della Saman, in cui annuncia che il giorno successivo si sposterà “a Bosaso e oltre”.

Ma cosa c’entra la comunità Saman? Ufficialmente, Cammisa è in Somalia per l’avvio di un progetto sanitario dell’associazione a Bosaso, ma di tale progetto non c’è traccia. Secondo la procura di Torre Annunziata esiste “un filone che collega le attività della comunità Saman a un traffico d’armi dalla Sicilia alla Somalia, presumibilmente gestito e organizzato all’interno di strutture un tempo di pertinenza dell’amministrazione militare”.

10. Perché il procuratore capo Salvatore Vecchione nel 1997 sottrae l’inchiesta al pm Giuseppe Pititto, dopo che Pititto era stato affiancato a De Gasperis l’anno precedente?

Il 20 marzo 1996 il procuratore capo di Roma Michele Coiro decide di affinacare ad Andrea De Gasperis il collega Giuseppe Pititto nell’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin. Nei mesi successivi Pititto dispone la riesumazione della salma di Ilaria e una superperizia balistica, che chiarirà che il colpo è stato sparato a bruciapelo. Si reca anche in Yemen dove interroga il sultano di Bosaso, l’uomo che Ilaria e Miran avevano intervistato prima della loro morte, e lo iscrive nel registro degli indagati per concorso in omicidio plurimo (accusa poi archiviata a settembre 1998). Il 15 luglio 1997 il nuovo procuratore capo di Roma, Salvatore Vecchione, toglie l’inchiesta dalle mani di Pititto e De Gasperis, avoca a sé il fascicolo e chiama a collaborare con lui il pm Franco Ionta. La sostituzione avviene due giorni prima dell’arrivo in Italia di alcuni testimoni importanti, tra cui l’autista e la guardia del corpo di Ilaria, organizzato da Pititto insieme alla Digos di Udine, venuta in contatto con una fonte somala che fornisce informazioni importanti sul caso.

11. Chi ha voluto incastrare Hashi Omar Hassan, spingendo i testimoni chiave del processo Gelle e Sid Ali Abdi ad accusarlo? Perché la permanenza a Roma di Gelle viene organizzata e seguita da qualcuno che lavora al ministero dell’Interno?

Poco dopo il passaggio di mano dell’inchiesta alla Procura di Roma, le piste di Pititto vengono abbandonate e fa la sua comparsa il sedicente testimone oculare Ahmed Ali Rage (detto “Gelle”), che indica all’ambasciatore italiano in Somalia, Giuseppe Cassini, Hashi Omar Hassan come responsabile. In realtà, Gelle non si trovava sul luogo del delitto, come ha ammesso nell’intervista realizzata nel 2015 dalla giornalista Chiara Cazzaniga per il programma Chi l’ha visto.

Gelle arriva in Italia a dicembre 1997. Era stato sistemato a lavorare in un’officina scelta dal Ministero dell’Interno e la polizia lo accompagnava al lavoro. Dopo Natale fa perdere le sue tracce e non viene più rintracciato fino a quando Cazzaniga lo raggiunge nel Regno Unito. Alla giornalista racconta di aver accettato di accusare Hashi su sollecitazione di figure istituzionali italiane, in cambio di soldi della possibilità di lasciare la Somalia e raggiungere l’Europa.

L’altro accusatore di Hashi è Sid Ali Abdi, l’autista di Ilaria Alpi, che viene trovato morto in circostanze sospette il 13 settembre 2002 a Mogadiscio pochi giorni dopo essere rientrato dall’Italia e aver promesso importanti rivelazioni.

12. Sulla base di quali informazioni Carmine Fiore, comandante del contingente italiano in Somalia, subito dopo l’omicidio di Ilaria e Miran parla dell’attacco di un “gruppo di fondamentalisti”? E com’è possibile che sia a conoscenza di un servizio di Ilaria che “sarebbe dovuto andare in onda questa sera”? Perché Fiore mente nella lettera ai coniugi Alpi?

Il generale Carmine Fiore il 19 maggio 1994 invia una lettera a casa dei coniugi Alpi, per dare la sua versione sulle gravi inadempienze del contingente italiano in Somalia, che non ha soccorso Ilaria e Miran dopo l’agguato. Nella lettera Fiore sostiene, tra le altre cose, che erano stati carabinieri a recuperare i corpi di Ilaria e Miran e trasportarli al Porto vecchio (mentre è stato l’imprenditore Giancarlo Marocchino a farlo) e che alcuni agenti erano presenti mentre i giornalisti Giovanni Porzio e Gabriella Simoni recuperavano presso l’hotel Sahafi i bagagli dei giornalisti uccisi. Ma questa versione è in contrasto con quella fornita da Simoni e Porzio. Quando Luciana Alpi definisce pubblicamente il generale “bugiardo”, lui la querela, ma i giudici danno ragione alla madre di Ilaria. Nella sentenza si parla di un “tentativo di accreditare agli occhi dei genitori della vittima una ricostruzione dei fatti clamorosamente in contrasto con la realtà”.

13. Qual è il ruolo di Giancarlo Marocchino, primo ad arrivare sul posto, nel caso Alpi-Hrovatin?

L’imprenditore Giancarlo Marocchino, originario di Borgosesia (Vercelli) ma attivo in Somalia, è il primo a correre sul luogo dell’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ed è sempre lui a portare i loro corpi al Porto vecchio. Nel 1993 Marocchino era stato accusato dal commando Usa di traffico d’armi ed espulso dalla Somalia, per poi farvi ritorno pochi mesi dopo. L’imprenditore, sospettato anche di traffico di rifiuti tossici, non è mai stato indagato per l’omicidio ed è stato consulente delle Commissione d’inchiesta Taormina, che indagava sul caso Alpi-Hrovatin. È lui a reperire e portare in Italia per la commissione il Toyota pick-up dove sarebbero stati uccisi i due inviati. L’automobile si rivela però non compatibile con quella dell’assassinio, in base alle analisi del Dna del sangue sui sedili, come accertato in una perizia della Procura di Roma nel 2008. Il nome di Marocchino ricorre fin da subito nelle informative dei servizi segreti sia civili sia militari. In alcune intercettazioni telefoniche desecretate a dicembre 2016, Marocchino nel 2005 assicurava al figlio: “Sono in una botte di ferro, perché di fianco a me c’ho i servizi, puoi capire”.

14. Perché Ilaria e Miran non avevano i loro oggetti personali con sé al momento del delitto? 

Al momento dell’omicidio Ilaria Alpi non aveva con sé il passaporto, che è stato trovato buttato sul letto in hotel insieme a quello di Miran, né nessun altro oggetto personale. Miran, inoltre, aveva addosso il portafoglio ma non aveva con sé la videocamera, al contrario di quanto affermato in alcune agenzie circolate nelle ore immediatamente successive all’omicidio. Come sottolinea Luigi Grimaldi,** è strano che i due giornalisti stessero oltrepassando la linea verde che divideva in due Mogadiscio (da una parte la zona controllata da Aidid e dall’altra la zona Ali Mahdi). Erano usciti in fretta e furia? Per quale motivo? Oppure erano stati costretti a farlo?

15. Perché gli oggetti di Ilaria vengono trovati nella camera 204 se lei aveva addosso la chiave della 202, mentre la chiave della camera di Miran non viene mai trovata?

Ilaria aveva con sé al momento dell’omicidio la chiave della stanza 202 dell’hotel Sahafi, dove alloggiava, mentre Miran dormiva nella stanza 203. Ma i testimoni che si sono recati a recuperare gli oggetti dei due giornalisti, Porzio e Simoni, ricordano di essere entrati nelle camere 203 e 204. Ciò è documentato anche da un operatore della televisione svizzera che ha ripreso quel momento. La disposizione degli oggetti di Ilaria, inoltre, è strana: le sue cose sono gettate ovunque alla rinfusa, da qui il sospetto che qualcuno abbia frugato tra i suoi oggetti e poi abbia voluto mettere in atto una messinscena.

16. Come fa lo Stato maggiore della Difesa a sapere che “niente di proprietà dei due giornalisti è stato sottratto”, come si legge in una sua nota, se ancora non è stato fatto nessun inventario?

Quasi due ore dopo l’agguato, lo Stato maggiore della Difesa fa sapere all’Ansa che “niente di proprietà dei due giornalisti è stato sottratto”. Ma come fanno a saperlo se gli oggetti di Ilaria e Miran non sono stati ancora recuperati in albergo e quindi, ad esempio, la telecamera di Miran non era ancora stata ritrovata?

17. Perché il Cisp di Mogadiscio era informato sugli spostamenti di Ilaria e Miran il 20 marzo?

Secondo l’autista e la guardia del corpo di Ilaria, il posto giusto per avere informazioni sugli spostamenti dei due inviati, nel giorno del loro rientro a Mogadiscio, è la sede di una Ong italiana attiva all’epoca in Somalia, il Cisp. È qui che vengono informati del volo di rientro da Bosaso. Inoltre, perché dopo l’omicidio dei due giornalisti la sicurezza dell’hotel Amana si reca al Cisp per sapere come comportarsi e contattare Giancarlo Marocchino? (alcune possibili risposte in questo articolo di Luigi Grimaldi)

18. Chi fa perdere a Ilaria e Miran il volo di rientro da Bosaso il 16 marzo?

Ilaria e Miran dovevano rientrare da Bosaso il 16 marzo, ma qualcuno o qualcosa fa perdere loro il volo delle Nazioni Unite, così sono costretti a prolungare la permanenza fino al 20 marzo. Lo stesso volo – quello del 16 marzo – è stato utilizzato da Giuseppe Cammisa ossia “Jupiter”, per rientrare a Mogadiscio. Trattenere i due giornalisti a Bosaso è servito presumibilmente ad avere il tempo necessario per organizzare la loro esecuzione.

19. Perché la frase relativa alle minacce di morte a Ilaria e Miran il 15 marzo è stata cancellata dall’informativa di Tedesco?

Da un’informativa dell’agente del Sismi Alfredo Tedesco inviata il 21 marzo sappiamo che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin erano stati minacciati di morte il 15 marzo, mentre si trovavano a Bosaso. Questa frase, tuttavia, è stata in seguito cancellata dall’informativa.

20. Perché non è stata approfondita la pista della Digos di Udine?

A maggio del 1994 la Digos di Udine entra in contatto con una fonte somala, forse vicina ai servizi segreti di Siad Barre, che sostiene che Ilaria Alpi sia stata uccisa perché aveva scoperto che la nave Shifco era coinvolta nel traffico d’armi e stava approfondendo il caso. Ne nasce un’informativa che viene inviata alla procura di Roma. Dopo un anno, la Digos viene delegata ad approfondire, e attiva una seconda fonte, soprannominata Gargallo, che riferisce che alcuni giorni prima del delitto alcune persone, tra cui il capo politico Ali Mahdi, Mugne, il sultano di Bosaso, Marocchino e il generale Gilao, si erano riuniti a casa di Ali Mahdi per decidere la sorte di Ilaria. A compiere l’agguato sarebbe stato un commando di 7 persone, e Gargallo indica due nomi degli esecutori materiali, entrambi arruolati nella polizia somala. Nonostante Gargallo sia ritenuto “altamente attendibile” e consenta di identificare l’autista e la guardia del corpo di Ilaria, questa pista si conclude in un nulla di fatto dopo che l’indagine viene tolta a Pititto e affidata a Ionta, che non rinnova la delega alle indagini alla Digos di Udine.

Fonti:
Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

*Luciana Alpi, Esecuzione con depistaggi di Stato. L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e le manovre per nascondere killer e mandanti, Kaos edizioni, aprile 2017.

**AA. VV., Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Depistaggi e verità nascoste a 25 anni dalla mortea cura di Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari, Round Robin editrice, marzo 2019.

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