CasaPound vince la causa contro Facebook. Il giudice ordina: “Riattivare subito la pagina cancellata”
Il Tribunale Civile di Roma dà ragione a CasaPound e ordina a Facebook l’immediata riattivazione della pagina rimossa lo scorso 9 settembre.
Questa la decisione dei giudici, chiamati a pronunciarsi sul ricorso presentato da CasaPound contro il social di Mark Zuckerberg.
Per il tribunale la cancellazione della pagina del movimento è illegittima. La giudice Stefania Garrisi nella sentenza parla di “accoglimento totale” del ricorso.
Ma non è tutto: il Tribunale di Roma ha anche obbligato Facebook a risarcire le spese legali a CasaPound, liquidate in 15mila euro. Facebook dovrà anche pagare una penale di 800 euro al giorno finché non riattiverà la pagina Facebook del movimento.
Dal 9 settembre, i profili ufficiali dell’organizzazione di estrema destra non sono raggiungibili su Facebook, così come quelli di numerosi responsabili nazionali, locali e provinciali, compresi quelli degli eletti in alcune città italiane.
Facebook aveva motivato così la sua decisione: “Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, così come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia. Gli account che abbiamo rimosso oggi violano questa policy e non potranno più essere presenti su Facebook o Instagram”.
Sentito da TPI, un responsabile di Facebook Italia aveva dichiarato: “Il principio che abbiamo utilizzato non è stato solo quello delle violazioni delle nostre policy, che comunque ci sono state e che sono state puntualmente segnalate ai titolari dei profili e delle pagine, ma in generale il fatto che i principi che loro difendono e le azioni che loro svolgono anche all’esterno della piattaforma sono di odio organizzato e di attacco contro alcune categorie: parliamo di odio contro persone per la loro religione, per la loro razza, per la loro sessualità. Parliamo, insomma, di organizzazioni che hanno un’ideologia che è contraria a termini e condizioni di Facebook. È una scelta che non riguarda solo l’Italia ma anche altri paesi dove si sono presentati casi simili”.
Il Tribunale civile di Roma, però, ha dato ragione a CasaPound.