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Carcere di Viterbo, il Comitato anti-tortura del Consiglio d’Europa conferma la denuncia di TPI: “Maltrattamenti sui detenuti da parte di una squadretta di agenti”

Immagine di copertina
Credit: Pixabay

Nel carcere di Viterbo esisterebbe uno “schema di maltrattamenti inflitti deliberatamente” ai detenuti. È quanto denuncia il Cpt, comitato anti tortura del Consiglio d’Europa, nel rapporto sulla visita condotta in Italia lo scorso marzo per valutare le misure d’isolamento imposte ai carcerati, che ha coinvolto anche i penitenziari di Milano Opera, Biella e Saluzzo.

TPI aveva denunciato i presunti pestaggi da parte di un gruppo di agenti di polizia penitenziaria nel carcere di Viterbo pubblicando in esclusiva le lettere di alcuni detenuti inviate al Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia.ù

Fra i maltrattamenti denunciati e raccolti dal Cpt, c’è quello di una ispettrice di polizia che brucia i piedi a un detenuto soggetto al 41bis per verificare se finge uno stato catatonico. Poi, quello di un detenuto preso a pugni da un gruppo di agenti verosimilmente per fargli dire com’è riuscito a far entrare nel carcere un cellulare trovato nella sua cella. C’è chi viene colpito alla testa con chiavi di metallo, chi preso a calci e pugni, chi buttato giù dalle scale. Tutto, in luoghi non coperti da telecamere a circuito chiuso.

Nelle cartelle cliniche dei detenuti che hanno denunciato ci sono descrizioni di lesioni corporali considerate compatibili con le accuse di maltrattamento. In un rapporto ad hoc di 53 pagine su 4 carceri, il Comitato anti-tortura scrive che a Viterbo “alcuni detenuti, intervistati separatamente, hanno identificato agenti e ispettori come autori di numerosi episodi di presunti maltrattamenti e hanno parlato dell’esistenza di un gruppo informale d’intervento punitivo della polizia penitenziaria o ‘squadretta’”.

Singolare il fatto che i membri del Cpt, a Viterbo, diversamente dagli altri istituti penitenziari visitati, non abbiano potuto intervistare privatamente i detenuti e parlare delle loro condizioni perché il personale del Mammagialla ha negato ai membri della delegazione il diritto di farlo. I colloqui sono stati interrotti diverse volte dal personale di custodia e i documenti richiesti dalla delegazione non sono stati forniti in tempo.

“Tre mesi fa ho chiesto formalmente al ministro Bonafede un incontro in cui poter riferire quanto avevo visto e ascoltato, senza tuttavia ricevere alcuna risposta”, commenta Alessandro Capriccioli, consigliere regionale del Lazio di +Europa Radicali. “Dopo il rapporto del Cpt l’esigenza di fare piena luce su quanto accade al Mammagialla è divenuta ormai improcrastinabile: a tutela dei diritti delle persone che vi sono detenute, ma anche dei tantissimi agenti di polizia penitenziaria che operano in modo corretto, che da una situazione di silenzio e opacità non possono che essere danneggiati”.

Il ministro della Giustizia Bonafede

Lo staff del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, contattato da TPI, fa sapere che al momento il titolare del dicastero “non rilascia dichiarazioni, almeno non prima di aver studiato e approfondito il report del comitato anti tortura del Consiglio d’Europa”.

La risposta del governo italiano

Sul sito del Cpt, insieme al report, ci sono però 32 pagine di risposta del governo italiano. Ne riportiamo un estratto: “La nostra amministrazione si impegna quotidianamente a garantire la qualità dei servizi forniti alla popolazione carceraria per la protezione dei propri diritti, nonché a fornire a ciascun detenuto le opportunità di riabilitazione previste dall’articolo 27 della nostra Costituzione. Per le ragioni sopra esposte, ci rammarichiamo di sapere, dai commenti degli illustri membri del Comitato, che avevano la sensazione che esistesse un ‘modus operandi’ da parte del personale penitenziario incline all’aggressione contro i detenuti. È quindi molto importante che ogni azione violenta registrata nelle nostre carceri preveda una reazione immediata e puntuale volta a un’analisi approfondita dell’incidente. Questo Dipartimento crede fermamente che nessuna forma di immunità possa essere concessa a nessuno”.

La Procura di Viterbo

Ci sono 4 fascicoli di indagine a carico della procura di Viterbo su suicidi sospetti e presunti pestaggi e maltrattamenti ai detenuti da parte di agenti di polizia penitenziaria. Su questi casi, vedi l’inchiesta realizzata per Popolo Sovrano, Rai2.

Non solo il carcere di Viterbo

L’organo di Strasburgo ha “ricevuto denunce su un uso eccessivo della forza e maltrattamenti fisici” anche nelle carceri di Biella, Milano Opera e Saluzzo, raccomanda di abolire la misura d’isolamento diurno per i detenuti condannati a reati che prevedono la pena dell’ergastolo e invita, infine, lancia un monito: rivedere il regime detentivo speciale detto “41 bis” e la sorveglianza dinamica, ovvero la possibilità per i detenuti di poter uscire dalle proprie celle durante il giorno.

Antigone

“Sarebbe anche importante che arrivasse il segnale esplicito da parte del governo intorno all’assoluto e categorico divieto di uso arbitrario della forza”, commenta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. “Nel rapporto si legge come, tra gennaio 2017 e giugno 2019, il numero di agenti sottoposti a procedimento disciplinare per fatti di maltrattamenti sia pari a 11 unità. 52 sono invece coloro che sono sottoposti a procedimento penale. La maggior parte di questi fatti è ancora pendente dinanzi alla magistratura”.

Il Garante delle persone detenute e private della libertà personale

“È un punto positivo è innanzitutto che loro, come autorità europea, e noi come autorità nazionale, utilizziamo gli stessi standard nel valutare la situazione”, afferma il Garante delle persone detenute e private della libertà personale, Mauro Palma. “ Rispetto alla violenza sui detenuti il Comitato pone due obblighi: reagire e prevenire. Reagire significa che le indagini devono essere celeri e svolte in maniera indipendente. Spesso l’organo di polizia giudiziaria che indaga è dello stesso tipo di chi avrebbe commesso il reato. Questo non va bene nella loro impostazione. E sul piano della prevenzione c’è molto da fare. Soprattutto gli organi di controllo non devono essere fatti percepire come un intralcio ma un aiuto. Noi non siamo una controparte, ma una parte del sistema, seppure critica”.

“Non so se si tratta dei casi che io stesso ho segnalato alla Procura di Viterbo”, dice Stefano Anastasia, Garante delle persone detenute e private della libertà personale del Lazio. “Quel che è chiaro è che emerge un uso della violenza come strumento disciplinare e punitivo e la carenza di un provvedimento chiaro dell’amministrazione penitenziaria contro gli abusi. Importante, a mio avviso – continua Anastasia – il richiamo del Cpt agli uffici giudiziari e alle Procure sullo svolgimento delle indagini che devono essere fatte ascoltando anche i detenuti, a cui non viene data credibilità in quanto detenuti”.

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