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Revenge porn, i video erotici di una dottoressa sulle chat di polizia e carabinieri: “Chi doveva proteggermi mi ha umiliata”

Immagine di copertina

Storia di Amanda, vittima di revenge porn

“Hai visto il nuovo video che circola ovunque?”. Inizia così questa brutta storia che mi è arrivata nel modo in cui arrivano sempre le notizie legate all’intimità violata di una donna.

Solo che questa volta la vicenda è forse più preoccupante di tutte quelle in cui mi ero imbattuta fino ad oggi. Perché il revenge porn è diventato un reato pochi mesi fa ma qualcuno, soprattutto chi dovrebbe saperlo meglio degli altri, sembrerebbe averlo dimenticato.

C’è una vittima piuttosto consueta – una donna che si è fidata di un uomo – e un carnefice che questa volta avrebbe un volto inquietante. Il volto di chi ci dovrebbe proteggere.

Partiamo dall’inizio. Amanda (la chiameremo così) è una dottoressa di Brescia che collabora con due studi specialistici, uno nella sua città e uno in un’altra provincia del Nord.

Ha 40 anni e due figli piccoli. È una donna di una bellezza non comune, un profilo Instagram aperto solo per i suoi amici e la reputazione di una professionista seria. Tre anni fa ha una storia con un uomo che lavora nell’ambito della sicurezza, fa la guardia del corpo di un imprenditore russo. Lui le chiede dei video erotici perché è spesso fuori per lavoro, lei gliene invia qualcuno, in cui il suo volto è ben visibile.

Un’imprudenza, certo, ma quello che ogni donna dovrebbe essere libera di fare senza conseguenze come quelle che sto per raccontare. Lei si fida, che lui possa tradire quella complicità non le salta neppure in mente. La storia finisce un anno dopo, senza particolari strascichi. Un anno e mezzo fa Amanda viene a sapere che su Telegram girava un collage fatto con sue foto prese da Instagram e le foto di una pornostar, August Ames, che si suicidò per cyberbullismo. Una pornostar che ha una certa somiglianza con Amanda.

Su alcuni gruppi queste immagini erano associate al numero di telefono di Amanda. Lei andò alla polizia postale per segnalare la cosa ma le spiegarono che era impossibile risalire a chi avesse diffuso quel collage su Telegram e la cosa finì lì. L’estate scorsa Amanda litiga con un vigile. Lei sta tornando a casa, trova una via transennata con la polizia locale che blocca il traffico, chiede di passare con la macchina perché è ormai a pochi metri dalla sua abitazione, uno dei vigili gliela nega irritato, la invita a scendere dall’auto.

Lei a quel punto gli risponde male, lo chiama “nano” e la storia finisce con quello della polizia locale che la denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale. A novembre un amico vigile di Amanda le scrive divertito che quel collega con cui lei aveva litigato gira con delle foto di Amanda sul telefono e racconta in ufficio la storia della lite.

Amanda trova strano che quel vigile abbia delle sue foto perché la sua pagina Instagram è aperta solo agli amici, ma non dà peso alla cosa. Quello che succede dopo, per una strana coincidenza, è una storia, anzi, una storiaccia, in cui purtroppo molti uomini in divisa tornano al centro della vicenda.

Una settimana fa un poliziotto scrive ad Amanda che su alcune chat di whatsapp stanno girando dei suoi video. Quattro video che Amanda capisce subito essere quelli hard che mandò due anni prima alla guardia del corpo con cui ebbe una relazione. La chat in cui stanno girando i video si chiama “Scuola di polizia” ed è, ovviamente, una chat di poliziotti.

Salvatore, un poliziotto di Torino, condivide ad esempio i video di Amanda su questa chat con tanto di foto Linkedin del cartellino sanitario della dottoressa scrivendo: “Oggi festeggiamo con una nostra convenzionata!”. (per via delle convenzioni sanitarie che lo studio in cui lavora Amanda ha con le forze armate). Il poliziotto Salvatore sostiene di aver ricevuto a sua volta i video da una chat di carabinieri di Cosenza, ma pare siano girati anche su gruppi sardi. Amanda vede gli screen, nel giro di poco inizia a ricevere messaggi da sconosciuti sul telefono, sconosciuti che la insultano, scrivono volgarità o le fanno i complimenti.

Dall’Italia ma anche da vari paesi del mondo, perfino dalla Malesia, da Miami, dalla Thailandia, dalla Tunisia. Qualcuno all’interno dei gruppi si offre di darle una mano e inizia a inviarle screenshot da Telegram in cui è evidente che i quattro video vengono condivisi anche da utenti rintracciabili.

I gruppi Telegram hanno 50mila e 20mila iscritti e non ne rivelerò il nome, ma la diffusione è avvenuta soprattutto su un numero spaventoso di chat whatsapp. Le persone non si limitano a condividere solo i video, ma anche nome e cognome di Amanda, numero di cellulare, il suo cartellino sanitario, l’indirizzo di casa sua con indicazioni di google maps.

In un gruppo (il famoso archivio 2.0 con minorenni) il suo numero di telefono è perfino associato alle foto di una ragazzina di 12 anni. A Brescia il video viene condiviso su chat whatsapp di squadre di calcio locali, di rugby e così via. Lo vedono amici e conoscenti di Amanda, madri e i padri dei compagni di scuola dei suoi figli. Un amico carabiniere di Amanda lo riceve dal gruppo del fantacalcio, un suo ex storico da quello del rugby. Uno dei due studi in cui lavora sospende la collaborazione con lei, l’altro fa lo stesso ma poi ci ripensa.

Amanda va a denunciare tutto in polizia proprio con un poliziotto che le dà una mano, spiegando che purtroppo il video sembrerebbe circolato inizialmente proprio su alcune chat di poliziotti e carabinieri.

Poi con un avvocato consegna in questura gli screenshot che lo testimoniano. In questi giorni sono stati convocati dalla polizia postale e interrogati un poliziotto, poi l’ex di Amanda che aveva ricevuto i video da lei e un’ altra persona che aveva condiviso il video, ma è sicuramente solo l’inizio di una lunga indagine che vedrà coinvolte più persone, molte delle quali, a quanto pare, indossano la divisa.

Perché di osceno, in questa vicenda, non c’è un video. C’è il sospetto che chi doveva proteggere una donna, abbia contribuito a rovinarla.

“Io voglio giustizia e andrò fino in fondo, chi mi doveva proteggere non lo ha fatto e deve pagare”, dice Amanda che è una donna forte e determinata. Poi mi spiega che deve portare i figli al lago. Perché ci sono dei bambini da proteggere e per lei ora conta soprattutto questo. La polizia di stato, tramite l’ufficio stampa, fa sapere che “non ci risulta ci siano poliziotti indagati, se qualche poliziotto è stato convocato in questura sarà perché persona informata sui fatti”.

Alla mia replica “Non ci sono proprio indagati, visto che sono appena iniziate le indagini. Certo è che i video giravano su chat con vari poliziotti dentro… e nessun poliziotto ha denunciato la situazione”, mi viene risposto “Non sono sicuramente chat ufficiali, del resto penso che tutta Brescia abbia ricevuto questo video, da quello che mi dicono”. Già, tutta Brescia. E chi doveva fermare la catena, forse non l’ha fatto.

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