Bnl scarica i disabili: così la banca di Telethon si disfa di 200 lavoratori fragili
L’istituto partner della fondazione benefica sta per cedere 550 dipendenti ad Accenture. Ma 200 di loro sono lavoratori fragili. E ora temono di perdere le garanzie acquisite: “Noi trattati come rami secchi”
Era un mattino d’inverno del 1990 quando Susanna Agnelli riunì attorno a un tavolo a Roma due onlus, i vertici della Rai e un manipolo di aziende sponsor. Quel giorno nacque la versione italiana di Telethon, il format della beneficenza reso popolare negli anni Sessanta in America dall’attore comico Jerry Lewis. L’idea era quella di promuovere una raccolta fondi facendo leva sugli ascolti di un varietà televisivo. Da allora la Fondazione Telethon – che dopo la morte di Susanna Agnelli è passata sotto la guida di Luca Cordero di Montezemolo – ha messo insieme oltre mezzo miliardo di euro, somma che è andata a finanziare 2.700 progetti di ricerca nella lotta contro le malattie genetiche rare. Solo nel 2021 sono stati raccolti più di 54 milioni.
Ogni euro donato a Telethon atterra su un conto corrente custodito in Bnl, la banca ufficiale della fondazione. Bnl va molto orgogliosa di questa partnership, tanto che ogni anno contribuisce attivamente alla raccolta fondi, ad esempio organizzando gare podistiche a scopo benefico. Ma ora l’impegno sociale della banca rischia di essere offuscato dalle ultime operazioni di esternalizzazione portate avanti dall’amministratrice delegata Elena Goitini. La manager ha deciso di disfarsi di alcune attività del back office – e dei 547 lavoratori che le svolgono – affidandole a una società esterna: la Ast, controllata al 100% da Accenture, multinazionale irlandese della consulenza finanziaria. Il problema è che l’operazione è stata conclusa senza un accordo con i sindacati, perché gli impiegati “ceduti” non vogliono proprio saperne di cambiare datore di lavoro. E – nota ancor più dolente – 210 di loro rientrano in categorie svantaggiate: disabili, malati oncologici, caregiver certificati con la legge 104. Lavoratori – età media 55 anni – che ora temono per la stabilità del loro posto. Non certo una bella pubblicità per la banca di Telethon, che nel suo bilancio di sostenibilità afferma di promuovere «la diversità e l’inclusione».
«Abbiamo motivo di credere che questa operazione abbia nei fatti l’obiettivo di tagliare gli “scarti”, i “rami secchi”, ossia persone la cui carriera lavorativa è stata accompagnata dalla malattia e dalla vulnerabilità psicofisica», attacca Giovanna Maria Ragusa, 52 anni, invalida al 50%, combattiva referente del Gruppo dipendenti fragili e caregiver Bnl, costituitosi proprio per tentare di fermare il piano di dismissione. «Io, ad esempio – prosegue Ragusa – sono stata trasferita in uno degli uffici oggetto di cessione a maggio 2021, quando i contatti fra la banca e Accenture erano già stati avviati».
Bnl – ex istituto pubblico privatizzato negli anni Novanta, controllato dal 2006 dai francesi di Bnp Paribas – respinge con forza la ricostruzione del comitato, sottolineando come l’operazione si inserisca in un più ampio piano di esternalizzazioni che ha già coinvolto altri 360 dipendenti: 110 del ramo finanza, ceduti ai transalpini di Axepta, e 250 del settore informatico, passati a CapGemini, altra società d’Oltralpe. Alla base – spiegano dalla banca – non ci sarebbe alcuna volontà di disfarsi di una quota di lavoratori ma solo una scelta industriale, volta a migliorare il servizio alla clientela. Un ragionamento espresso efficacemente in un’intervista di qualche mese fa al Corriere della Sera dell’amministratrice delegata Goitini, 53 anni, laurea in Bocconi, alla guida di Bnl da un anno dopo una lunga esperienza in Unicredit: «Per stare al passo della tecnologia servono competenze specialistiche. Per questo la formula delle alleanze è centrale. La banca resta proprietaria degli asset, ma si affianca a chi questo mondo lo vive da sempre ed è in grado di essere continuamente aggiornato». Ma c’è anche un’altra intervista di Goitini che ha fatto infuriare i bancari: «Sono cresciuta sviluppando l’antifragilità. Essere antifragili significa amare la casualità e l’incertezza, il che vuole dire anche amare gli errori che mi consentono d’imparare», ha dichiarato l’anno scorso la manager al Sole 24 Ore. Un elogio della «antifragilità» e della «incertezza» che i lavoratori ritengono sia stato applicato anche sulla loro pelle.
Dalla banca di Telethon rimarcano peraltro che gli impiegati coinvolti dall’esternalizzazione non saranno licenziati, ma solo trasferiti a un’altra azienda, mantenendo invariati gli estremi contrattuali dei loro rapporti di lavoro.
Gli impiegati, però, non si fidano. Ast, la controllata di Accenture che da giugno acquisterà gli addetti del back office di Bnl, è la stessa società a cui nel 2019 erano stati ceduti un’ottantina di dipendenti di Ubi Banca, rientrati poi alla base quando Ubi è stata rilevata da Intesa Sanpaolo. I lavoratori in uscita da Bnl temono di passare da un istituto solido quale è la loro banca a una realtà dalle prospettive incerte. Fondata nel 2019, sede a Milano, Ast ha registrato nel 2021 un rosso di un milione di euro a fronte di ricavi per 11 milioni e di un capitale sociale di appena 100mila euro. Mirco Panizzardi, dipendente Bnl prossimo al trasferimento, è preoccupato: «Come rischio di solvibilità – dice – non c’è paragone fra Ast e Bnl». Il sospetto degli impiegati è che, oltre alla necessità di adeguare i servizi della banca alle nuove tecnologie, l’esternalizzazione risponda anche alla volontà di alleggerire i costi del personale (che incidono complessivamente per circa 800 milioni di euro sul bilancio della banca, a fronte di 376 milioni di utile nel 2021). Anche perché la missione affidata a Goitini dalla capogruppo Bnp Paribas è di fare di Bnl il terzo istituto italiano per redditività.
Nonostante mesi di trattative, l’azienda non ha trovato un accordo con i sindacati. «Abbiamo insistito per trovare soluzioni che, pur in presenza della cessione delle attività, evitassero la cessione del personale», riferisce Tommaso Vigliotti, segretario di Unisin, la sigla più rappresentativa in Bnl. I sindacati avevano proposto di utilizzare la formula del distacco: la banca avrebbe ceduto le attività, ma i lavoratori sarebbero rimasti in capo all’istituto. «Ma l’azienda non ha voluto», spiega Vigliotti. In assenza di un accordo sindacale, all’operazione si applicheranno le regole base dell’articolo 2112 del Codice Civile, che disciplina i casi di “trasferimento d’azienda”. Ma la battaglia è destinata ad arrivare in tribunale. Secondo l’avvocato fiorentino Fabio Rusconi, che assiste un centinaio di dipendenti, mancherebbe uno dei requisiti richiesti dalla legge per procedere all’esternalizzazione: ossia la «autonomia funzionale» dei rami d’azienda ceduti.
Del dossier si è interessato anche il Governo. Prima con la ministra per le Disabilità, la leghista Erika Stefani, che a fine aprile ha ricevuto una delegazione dei lavoratori fragili in uscita. Poi direttamente con Palazzo Chigi, che ha dato il via libera all’operazione solo dopo aver chiesto di integrare la documentazione relativa al golden power. I 547 addetti passeranno formalmente sotto l’effige di Ast dal primo giugno. Ma c’è ancora una speranza: negli ultimi giorni il dialogo fra la banca e i sindacati è ripreso – il 20 maggio sono stati firmati tre accordi su bonus economici e formazione – e secondo una fonte vicina al dossier è possibile che sull’esternalizzazione si arrivi a un’intesa postuma.
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