Siria, blitz di attivisti alla fabbrica di armi a Roma: “Cannone italo-tedesco pronto a partire per la Turchia”
Organizzato dagli attivisti di Potere al popolo. L'azienda Rheinmetall Spa, controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, starebbe completando un ordine di 12 cannoni speciali Oerlikon per l'esercito turco: Qualche giorno fa il ministro Di Maio ha firmato lo stop all'export di armi verso la Turchia
Siria, cannone italo-tedesco verso la Turchia: blitz fabbrica di armi Roma
Al grido di “Blocchiamo le armi alla Turchia” un gruppo di attivisti di Potere al Popolo ha organizzato un blitz alla fabbrica Rheinmetall sulla Tiburtina, a Roma. Stando alle ultime notizie, dalla fabbrica, infatti, starebbe per partire un cannone speciale diretto in Turchia. Il paese del presidente Receyp Tayp Erdogan è impegnato in questi giorni in una offensiva in Siria contro la popolazione dei curdi. “La guerra inizia da qui, da casa nostra”, hanno scritto gli attivisti in un post su Facebook, accompagnando le immagini del blitz di oggi, 18 ottobre 2019.
La Rheinmetall spa, controllata italiana del colosso tedesco degli armamenti Rehinmetall Defence, avrebbe preparato un cannone automatico Oerlikon da 25 mm, capace di sparare 600 colpi al minuto, installabile su navi da guerra e carri armati.
Nonostante lo stop del governo italiano alla vendita di armi alla Turchia, il cannone sarebbe diretto ad Ankara. Lo stop all’export di armi italiane verso la Turchia, infatti, non è retroattivo, quindi, tutti gli ordini precedenti possono essere evasi. Da qui, l’idea del blitz in via Affile a Roma.
A quanto risulta al quotidiano La Repubblica, la Rheinmetall Italia, sulla base di un precedente contratto con la Aselsan Elektronic, fornitrice delle forze armate turche, avrebbe già consegnato otto cannoni Oerlikon (di 12 totali ordinati). Uno nel 2017, cinque nel 2018, due nel marzo scorso.
L’ultimo sarebbe già pronto nella sede romana. Gli attivisti di Potere al popolo dopo aver saputo che “il pacco”, di più di due metri di lunghezza, poteva essere spostato già oggi, hanno deciso di agire. Nonostante il rischio di imbattersi nella scorta armata dell’armamento.
Lo stop alla vendita di armi alla Turchia
“Abbiamo lanciato della vernice rossa per rappresentare il sangue che gli Stati europei stanno contribuendo a versare in Rojava, i territori curdi della Siria”, scrivono gli organizzatori del blitz sulla pagina Facebook.
“Negli ultimi anni – proseguono – tante aziende italiane hanno venduto armi alla Turchia, per un totale di 500 milioni di euro negli ultimi 4 anni. Incuranti delle persecuzioni politiche e delle violenze sferrate da Erdogan agli oppositori politici e alle comunità curde della Turchia e della Siria. E incuranti del fatto che l’Isis è stata finanziata ed armata dallo stesso Stato turco”.
“Ora – proseguono – di fronte alla guerra della Turchia in Rojava non è più il momento di mettere la testa sotto la sabbia, l’Italia deve proibire da subito l’invio di armi ad un paese colpevole di un’invasione, e mettere in campo ogni iniziativa possibile per la fine della guerra ed il ritiro dell’esercito turco”.
Quando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato lo stop alla vendita di armi alla Turchia, anche le organizzazioni della Rete Disarmo hanno denunciato che “un’indagine istruttoria sulle vecchie forniture non significa di fatto bloccare nell’immediato quei 426 milioni di euro di armi ancora da consegnare”.
“Una decisione di blocco totale e immediato, senza quindi dover mettere in campo istruttorie e verifiche sul passato, si sarebbe già potuta e dovuta prendere fin da ora. Anche nel rispetto del dettato Costituzionale (art. 11). E della legge 185/1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti e delle norme internazionali (Posizione Comune UE e Trattato ATT) sottoscritte dall’Italia”, concludono le organizzazioni.
Tra l’altro, la Rehinmetall Defence è la casa madre tedesca della filiale italiana RWM, con sede a Cagliari in Sardegna, che vendeva bombe all’Arabia Saudita per bombardare civili nello Yemen. Sul tema, TPI ha pubblicato la video inchiesta di Madi Ferrucci, Roberto Persia e Flavia Grossi.