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Grillo trasforma il presunto stupro di una donna in una commedia da teatro. E il figlio lo mima

Immagine di copertina
Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Beppe Grillo guida la strategia difensiva per il figlio Ciro, accusato di stupro insieme a tre amici, con la gag del “non-sono-io” recentemente interpretata dagli indagati. La ragazza intanto è stata investita da una vera e propria bomba mediatica.

Il gioco delle maschere intorno alla ragazza ferita: c’è un dettaglio apparentemente marginale, e in realtà incredibile nelle due principali testimonianze che abbiamo visto scorrere a Non è l’Arena sul caso di Ciro Grillo. Immagini che sono una perfetta fotografia sintetica di questa orribile vicenda, uno stupro denunciato e negato.

Nella prima c’è una donna, Parvin Tadyk (madre di Ciro Grillo) che addirittura nega al cronista che la interroga di essere se stessa: “Non sono io”. E che per un lungo periodo in cui il suo dialogo è registrato dalla telecamera rifiuta sdegnata ogni domanda sul processo che incombe su suo figlio e sui suoi tre amici, gli stessi su cui grava l’accusa di stupro.

“Non sono io, le assomiglio”, un copione da teatro dell’assurdo che potrebbe avere persino un senso – il dolore, il riserbo, il diritto-garanzia della difesa esercitato fino allo stremo – se non venisse dalla stessa donna che sui social, invece, si è buttata nella mischia. Ha preso parte, ha lottato, ha puntato il suo dito di accusatrice contro la ragazza. Una donna che ha attaccato un’altra donna con queste pesantissime righe: “C’è un video che testimonia l’innocenza dei ragazzi, dove si vede che lei è consenziente: la data della denuncia è solo un particolare”.

Consenziente. Sono tutte “consenzienti”, secondo la difesa, le ragazze che denunciano uno stupro. Tante ragazze, tante storie diverse, ma sempre questa identica argomentazione: ci stavano e poi hanno inventato la violenza. Consenzienti, dunque, le ragazze di “Terrazza Sentimento”, consenzienti anche quando viene somministrata loro la droga dello stupro, consenzienti le due turiste stuprate dai carabinieri a Firenze, consenziente la ragazza stuprata a Cagliari al Poetto, consenziente, ancorché ubriaca perfino l’educatrice di un centro per minori in provincia di Ravenna, rinchiusa in una stanza e violentata per una notte (e poi inseguita da tre video diffusi dai suoi molestatori). Consenziente anche Martina Rossi, morta in Spagna, secondo il sospetto dai magistrati, mentre cercava di fuggire ad un tentativo di stupro.

Il consenso (che non c’è) e il rituale del video (che c’è sempre più spesso): che poi è il nuovo modo di esibire la preda nel tempo dei social. Per spiegare al mondo che quella donna, quella ragazza, sono una tua conquista di maschio seduttore. Si mima l’immaginario del porno, perché non si conosce la lingua dei sentimenti.

Così in quelle righe, la signora Parvin correggeva il tiro della famosa video lettera di suo marito Beppe Grillo: e in teoria – ovviamente – ha tutto il diritto di difendere suo figlio, se crede. Ma è già un fatto opinabile se si esercita questa facoltà per difendere la scelta (orribile in ogni caso) di girare un video durante un festino (e addirittura di diffonderlo). Figuriamoci se poi una madre prende una posizione così difficile e inappellabile contro una ragazza (che fra l’altro non può difendersi), e lo fa tra un commento e l’altro a mezzo social: dopo aver varcato questa soglia diventa incongruo negarsi o denegarsi.

Dopo si perde il diritto di dire: io di questa storia non voglio parlare, non disturbatemi. Perché di questa storia (e di questa ragazza) si discute da quando Grillo ha scelto, a freddo, di attaccarla. E invece la signora Parvin dice di se stessa: “Si sta sbagliando, non sono io, non so di chi parla”. Salvo poi, alla fine dell’intervista, dire all’inviato, passando ad un tu corrivo: “Tanto lo sai che non parlo”.

Non è finita. Il fatto davvero curioso è che nella stessa puntata Massimo Giletti mostrava con sconcerto un’altra intervista in strada, ad un altro dei ragazzi indagati, Edoardo Capitta e specificava: “Dobbiamo avvisarvi: ‘se è lui’, perché come vedrete è accaduto qualcosa di strano”. Ed infatti la scena dell’intervista è questa: anche il ragazzo che l’inviata di Giletti identifica come Capitta si nega e anche lui nega di essere se stesso: “Non sono io. Non deve chiedere a me. Abitiamo nello stesso palazzo, uno al primo e uno al quarto piano. Io non so nulla di questa storia. Se volete un parere – dice il ragazzo con tono paradossale – dovete chiedere a lui”.

E sarebbe forse persino confortante pensare che si trattasse di una vera denegazione, di una resipiscenza, del bisogno di fuggire da se stesso, dalla propria terribile responsabilità. In questo lungo dialogo con la giornalista, in cui il ragazzo tiene il volto completamente coperto da cappuccio, occhiali e mascherina per non farsi riconoscere, mentre armeggia nervosamente con delle calcomanie per il tuning della sua macchina, aprendo e chiudendo il baule dell’auto, aprendo e chiudendo lo sportello di una Fiat 500, il giovane per un attimo si lascia sfuggire un “sì” (alle domande ripetute sulla propria identità) ma poi torna a negare sul filo del paradosso. Sarebbe bello che non fosse lui, e che fosse dunque qualcuno che (inspiegabilmente) si finge lui, pur negandosi. O sarebbe bello se fosse il rimorso a farlo agire in questo modo.

E invece non è così: Parvin Tadjk, Capitta e Ciro Grillo (anche lui inseguito con conseguente scena muta) non negano se stessi per istinto, ma seguono un’attenta strategia mediatica e difensiva. E fra l’altro, con la gag del “non-sono-io” mimano a loro volta un modello più celebre: Beppe Grillo. Non è disagio. Non è riserbo. È un format teatrale.

È lo stesso gioco di Grillo quando si faceva inseguire dai cronisti con la sua tuta con occhiali effetto Mosca e lampo fino al viso sulla spiaggia di Bibbona, lo stesso di Beppe con una maschera di plastica da maiale, a Roma, davanti ai giornalisti (capito il fine messaggio?), lo stesso di lui con una maschera da tigre, o con il trucco da clown. Così questo diventa un dettaglio rivelatore di molto altro.

È Grillo che ha preso in mano la linea difensiva del gruppo nell’imminenza del rinvio a giudizio con una mossa disperata, forse – la scelta di attaccare la ragazza – ma anche terribilmente spietata e lucida. Una scelta che arriva, dopo il lungo silenzio, con l’idea di fare terra bruciata e di campionare i capisaldi di una nuova linea difensiva minimale e ustoria in cui nulla è lasciato al caso: “i ragazzi con il Pisello di fuori”, “La ragazza ha denunciato dopo otto giorni”, “il giorno dopo è andata a lezione di kitesurf”.

Un video apparentemente spontaneo, lo sfogo forse eccessivo ma comprensibile di un padre, si è detto (con molta superficialità). Ma come vediamo di spontaneo in quel video (come nella linea di tenuta degli indagati e degli interessati) non c’é proprio nulla. Tant’è vero che nel famoso dialogo con Fabrizio Corona, uno dei tre, Lauria, dice: “Io quando l’avevo visto non ero d’accordo”. Dunque il video era stato visto prima, discusso, valutato dal pool dei difensori e dai ragazzi.

È un diritto di difesa anche quello, si potrebbe obiettare. E lo è, a patto che nessuno dimentichi il fatto che la ragazza è stata trascinata nella polvere, screditata, indagata (addirittura da un perito che ha dovuto rimangiarsi i suoi primi proclami inquisitivi) sottoposta a indagine e dubbio ma – soprattutto – investita da una vera e propria bomba mediatica.

Questa ragazza, additata al pubblico ludibrio, ridicolizzata, esibita come un trofeo sui social e sulle chat, sta subendo (di fatto) un secondo stupro, per effetto di questa gogna pubblica: ha mandato un messaggio all’istruttore dicendo che ci è caduta? Ha preso le sigarette quella notte? Le era già accaduto?

Non chiede soldi, come spiega la famiglia, non vuole un euro di risarcimento, come ha raccontato Gianluigi Nuzzi su La Stampa. Ma tuttavia lei oggi non può permettersi il lusso giocoso di dire “Non sono io”, perché tutti nel suo mondo sanno che è lei. Questa ragazza non può fermare i video e le foto che girano su di lei quella notte. Questa ragazza non può mettersi un cappuccio, una maschera da tigre o da maiale, non può dire “Non sono io”, come un attore che recita una parte, nel confine sottile tra la commedia e il dramma.

Leggi anche: Il video di Grillo andrebbe mostrato nelle scuole ogni volta che si deve spiegare come non si parla di stupro
(di Selvaggia Lucarelli) // E anche Beppe Grillo scoprì cos’è il giustizialismo (di Giulio Cavalli) // Il dolo di Grillo tra pregiudizi e luoghi comuni (di Lara Tomasetta)

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