Imporre un dress code alle studentesse non è reato: archiviato il caso Bellomo
Tacchi a spillo, gonne corte, rossetto e fedeltà al direttore: secondo il gip di Milano, le clausole delle borse di studio delle studentesse aspiranti magistrati iscritte al corso di Francesco Bellomo non hanno rilevanza penale
Imporre un dress code alle studentesse non è reato
Tacchi vertiginosi obbligatori, rossetto rosso e minigonna per andare a lezione: il dress code che Francesco Bellomo imponeva alle studentesse aspiranti magistrati, secondo il giudice è “poco consono ad un corso per la preparazione dell’esame di magistratura”, ma non è reato e il caso è stato archiviato.
L’ex Consigliere di Stato Francesco Bellomo era accusato di violenza privata e stalking nei confronti di quattro studentesse che avevano partecipato ai corsi di formazione da lui organizzati in preparazione all’esame di stato.
Il gip di Milano Guido Salvini ha archiviato l’indagine dal momento che “nessun comportamento volto a coartare la libertà morale delle studentesse può infatti essere ravvisato nella sottoposizione di contratti di collaborazione la cui sottoscrizione, pur nella sua ‘singolarità”.
Secondo il giudice, la decisione “era rimessa alla libera volontà delle aspiranti, che in diversi casi si sono rifiutate di firmare per continuare a frequentare le lezioni nella veste di studentesse ordinarie”.
Bellomo è il terzo giudice destituito in cento anni di storia della magistratura. Lo scandalo si è scatenato quando le studentesse della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata “Diritto e Scienza” di cui Bellomo era docente e direttore scientifico hanno denunciato la presenza di clausole all’interno dei loro contratti che imponevano loro di indossare tacchi alti e gonne corte per frequentare il corso. Ma Bellomo si è difeso dicendo: “Non li ritengo inappropriati e in ogni caso, chi non li condivideva poteva comunque diventare borsista”. Bellomo rimane però indagato a Bari con le accuse di maltrattamenti, estorsione aggravata, minacce e calunnia avanzate dalle studentesse della sede locale della scuola.
Il contratto conteneva disposizioni anche sul trucco che, come si legge sull’ordinanza, doveva essere “calcato o intermedio, giudice preferibilmente un rossetto acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di colore chiaro o medio (no rosso e no nero) oppure french”. Ad alcune borsiste, inoltre, era imposto “il divieto di contrarre matrimonio”, ma anche la “fedeltà nei confronti del direttore scientifico”.
Il giudice Salvini ha archiviato il caso stabilendo che: “molte delle richieste rivolte alle borsiste appaiano inconferenti con quelli che sono i normali caratteri di un rapporto di collaborazione accademica e siano state sovente avanzate con insistenza attraverso telefonate in tarda serata e invio di e-mail, non può ritenersi che le stesse valgano ad integrare una condotta abituale di molestia e minaccia”.