“L’ingiustizia dei nostri figli con disabilità, a scuola da soli senza compagni”: la denuncia a TPI
“Mia figlia è una bimba disabile di 6 anni. Ho chiesto la didattica in presenza perché lei ha bisogno di stare con i compagni, le servono il contatto, l’affetto. Ogni volta che vede i compagni in Dad mi dice che sente la loro mancanza, che vuole andare a scuola. Lo vedo, lo sento, che ha questa necessità”. Federica è la madre di Valentina (nome di fantasia, ndr), una bimba disabile che frequenta la prima elementare alla Scuola per l’infanzia statale IC Piersanti Mattarella di Roma.
Come altri genitori di bambini disabili, dopo l’ingresso del Lazio in zona rossa e il conseguente passaggio alla didattica a distanza anche per gli alunni della scuola primaria, la scorsa settimana Federica ha contattato l’istituto scolastico, per chiedere che fosse presa in considerazione la nota ministeriale 662 del 12 marzo 2021, che già nelle scorse settimane era stata criticata dalle associazioni per l’eccessiva discrezionalità che lascerebbe agli organi collegiali.
La nota prevede la possibilità, sulla base della valutazione della scuola, che gli alunni con disabilità possano seguire la didattica in presenza “in situazione di effettiva inclusione”, cioè con un gruppo di compagni della propria classe, e non da soli con l’insegnante di sostegno.
La nota fa riferimento all’articolo 43 del Dpcm 2 marzo 2021, il quale dispone che: “Resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso dei laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali“.
A TPI Federica racconta che la scuola non ha risposto alle sue richieste via mail. In compenso, sulla pagina Facebook della scuola (attualmente non più online) è comparso un post in cui l’istituto sottolineava che “organizzare la turnazione di piccoli gruppi di alunni comporterebbe un aumento del rischio“, evidenziava la presenza di docenti e classi in quarantena, e la necessità di “contemperare i bisogni dei nostri alunni più fragili con il diritto alla salute“.
Anche Patricia, madre di un bimbo di 3 anni con diagnosi di spettro autistico, ha inviato la stessa richiesta alla scuola. “Mio figlio dovrebbe andare in classe da solo con l’insegnante di sostegno. L’inclusione dovrebbe essere realizzata tramite la connessione col tablet col resto della classe”, spiega a TPI.
È vero, l’istituto non è obbligato dal ministero a garantire questa modalità di frequenza, ma la nota ministeriale chiede in proposito una “valutazione” per garantire l’effettiva inclusione. Valutazione che la scuola, come si legge nel post, garantisce di aver fatto in modo approfondito. I genitori, tuttavia, restano dubbiosi. “La scuola ha gli spazi per potersi organizzare, è un istituto di cinque plessi”, dice Patricia. “Non so se effettivamente siano state prese in considerazione le modalità di inclusione”.
Altre scuole, anche in quartieri vicini della Capitale, stanno già garantendo agli alunni con disabilità la frequenza con un gruppo di compagni, che si alternano in presenza. “Mi sembra assurdo che non si riesca a garantire questa possibilità”, dice Federica. “Perché non può essere fatta la stessa cosa?”. Le scuole, d’altra parte, stanno affrontando con la pandemia una sfida difficilissima e senza precedenti, che richiede uno sforzo straordinario a dirigenti e insegnanti. Una circostanza innegabile.
Nel caso specifico, ad accendere ancora di più la polemica è stato un secondo post su Facebook della scuola, in risposta alle richieste dei genitori, che ad alcuni è sembrato “beffardo e denigratorio”. Nel post, firmato “Comunità scolastica “Plesso Randaccio” IC Piersanti Mattarella”, erano anche indicati pubblicamente con nome e cognome i genitori dei bambini disabili.
Tra le altre cose, vi si legge: “Vi chiediamo scusa se per questo motivo non possiamo più fornire un supporto da baby-sitter ma solo un’azione educativa finalizzata agli apprendimenti e se la nostra attenzione è rivolta al benessere dei vostri figli e alla crescita di tutti quanti loro, senza distinzione alcuna: scusate se è questo il nostro mandato di maestre e maestri”.
Sia Patricia sia Federica per il momento hanno deciso di non mandare i loro figli con disabilità a scuola, dal momento che non starebbero in contatto con i compagni, anche se questo ha comportato difficoltà per l’organizzazione familiare. “Mio marito resta a casa dal lavoro, perché ho un altro bambino in Dad”, dice Patricia. “E il piccolo di 3 anni non può mai essere lasciato solo, perché ha anche dei problemi motori, si arrampica, cade”.
“Noi non ci saremmo mossi fino al 6 aprile, ma se le scuole non riapriranno la situazione sarà molto dura da affrontare“, aggiunge. “Per un bambino che ha una disabilità anche relazionale, non stare con i suoi pari provoca dei danni, delle regressioni. So quanto sforzo sta costando tutto questo agli insegnanti, perché anche i miei genitori facevano questo mestiere. Ma per mio figlio è fondamentale relazionarsi con gli altri bambini”.
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