Arte, PoliMi e Ca’ Foscari spiegano il ‘giallo’ del colore usato da Mirò sbiadito
Nella foto pubblicata in questo articolo, che lo ritrae nel 1978 seduto nel suo Taller Sert, il celebre pittore surrealista catalano Juan Miró è circondato dai suoi quadri. Sullo sfondo, spicca il giallo vivo e intenso di ‘Femme dans le rue’, dipinto nel 1973. Cinquant’anni dopo, quel giallo a base di cadmio appare sbiadito e degradato. Lo stesso fenomeno ha riguardato altri 25 dipinti conservati dalla Fundació Miró Mallorca.
Il giallo degradato dei dipinti di Mirò è fatto di giallo di cadmio, un pigmento moderno, composto di solfuro di cadmio ed introdotto alla fine del XIX secolo. Il pigmento fu utilizzato da artisti come Vincent Van Gogh, Pablo Picasso ed Henri Matisse, che ne apprezzavano la brillantezza e la pienezza della tonalità di colore. Negli ultimi anni si è compreso tuttavia come questo pigmento non sia sempre stabile portando ad un degrado della pittura, come è stato evidenziato in importanti opere d’arte tra cui ‘L’Urlo’ di Edward Munch.
La ricerca condotta finora ha permesso di comprendere quale sia il processo di degrado, ma non ha chiarito completamente quali siano i fattori che stimolino tale degrado. Per scoprirne le ragioni, i conservatori si sono rivolti alla restauratrice Mar Gomez Lobon, la quale riunisce un team internazionale che comprende le scienziate italiane Daniela Comelli e Marta Ghirardello del Politecnico di Milano e Francesca Caterina Izzo dell’Università Ca’ Foscari Venezia. Le ricercatrici e i loro colleghi hanno analizzato nove campioni prelevati da dipinti, tubetti di pittura, tavolozze dell’artista, utilizzando diverse tecniche analitiche.
La composizione chimica delle pitture e la struttura cristallina dei pigmenti sono gli indizi che portano il team di ricerca a sostenere che i colori degradati a base di giallo di cadmio provengano da tubetti di pittura prodotti dal marchio francese Lucien Lefebvre-Foinet. “La bassa cristallinità del pigmento lo espone ad un’alta reattività foto-chimica. Questa è tra le principali cause della vulnerabilità della pittura e va ricondotta al metodo con cui veniva sintetizzato il pigmento, metodo che tuttavia non è noto e di cui non sono state al momento ritrovate fonti storiche”, spiega Daniela Comelli, del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano.
Infine, le condizioni ambientali di conservazione hanno fortemente contribuito alla trasformazione chimico-fisica del materiale. Campioni dalla stessa composizione chimica mostrano differenti livelli di degrado: il colore meglio conservato viene da una tavolozza rimasta chiusa in un cassetto per 32 anni, al riparo dalla luce e sbalzi di umidità.