Anticorpi monoclonali, via libera dell’Aifa: cosa sono e come funzionano
L'Aifa ha autorizzato ieri l'uso di due anticorpi monoclonali per l'impiego come cura nei malati Covid ad alto rischio che si trovano in una fase precoce della malattia
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha autorizzato ieri l’uso di due anticorpi monoclonali, messi a punto dalle americane Eli Lilly e Regeneron, per l’impiego come cura nei malati Covid ad alto rischio che si trovano in una fase precoce della malattia. Si tratta di una tipologia di farmaci utilizzati negli scorsi mesi negli Usa, ad esempio per curare l’ex presidente Donald Trump quando ha contratto il Covid. Ma cosa sono gli anticorpi monoclonali? Come funzionano e quando possono essere utilizzati? Ecco 10 punti da conoscere.
1. Cosa sono gli anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali sono anticorpi sintetici, prodotti in laboratorio, sulla base di quelli più efficaci prodotti naturalmente dai pazienti già immunizzati. Derivano infatti dal plasma dei guariti dal Covid-19. Il loro utilizzo ha rivoluzionato le terapie per malattie degenerative, autoimmuni, neoplastiche e infettive molto gravi e letali.
2. Come vengono creati gli anticorpi monoclonali
Gli anticorpi monoclonali vengono prodotti a partire da un solo tipo di cellula immunitaria, replicata grazie a tecniche di laboratorio consolidate. Come ha spiegato a Repubblica Guido Rasi, ex direttore dell’Ema e microbiologo all’università di Tor Vergata a Roma, alle cellule create in laboratorio viene “insegnato” a produrre gli anticorpi migliori per combattere la malattia. Rispetto agli anticorpi naturali, infatti, i monoclonali vengono costruiti per dirigersi selettivamente contro un determinato antigene.
3. Come funzionano contro il Covid
Come per i vaccini, anche gli anticorpi monoclonali agiscono contro il Covid tramite la proteina spike, che il virus utilizza come “chiave” per entrare nelle cellule e infettarle. Gli anticorpi si legano alla proteina bloccando l’accesso del virus, come se la persona fosse già immunizzata o vaccinata. L’obiettivo è anticipare lo sviluppo della malattia.
Dato questo tipo di funzionamento, gli anticorpi monoclonali potrebbero essere utilizzati anche per prevenire la malattia, ma l’effetto della terapia ha una durata limitata a qualche mese (che sarà accertata dagli studi) e, dal momento che i vaccini sono già disponibili, non vale la pena usarli a questo scopo. Anche perché la produzione dei monoclonali ha costi più alti.
4. A quali malati possono essere somministrati
L’Aifa ha approvato l’uso degli anticorpi monoclonali in Italia con alcune condizioni, come previsto dalla legge 648/1996, che prevede l’approvazione di medicinali in corso di sperimentazione clinica o utilizzati in altri Paesi quando non esiste un’alternativa terapeutiva valida. La Commissione tecnico scientifica ha previsto che i farmaci sono destinati a pazienti in fase precoce con alto rischio di evoluzione, come avviene già in Canada e negli Usa.
Gli anticorpi monoclonali possono essere somministrati solo nei primissimi giorni della malattia, entro 72 ore e comunque non oltre 10 giorni dal riscontro dell’infezione. Il loro utilizzo è indicato per pazienti che sono ad alto rischio di sviluppare una forma grave della malattia, a causa dell’età, delle condizioni del sistema immunitario o di patologie pregresse.
5. In che modo sono somministrati
Gli anticorpi monoclonali non dovrebbero essere usati in ospedale ma in pazienti non ospedalizzati, che si trovano in isolamento domiciliare, perché hanno una forma lieve o moderata della malattia. Tuttavia, in assenza di un ok dell’Ema partirà solo la sperimentazione ospedaliera, come spiega Rasi. La somministrazione avviene tramite una sola dose, in infusione venosa, da parte di personale specializzato. L’infusione dura circa un’ora, con un tempo di osservazione di 15-30 minuti.
6. Quali risultati hanno avuto gli studi sugli anticorpi monoclonali
Alcuni di questi farmaci, negli studi sperimentali, hanno dimostrato di poter ridurre il rischio ospedaliero anche del 70 per cento, se somministrati nella fase iniziale della malattia.
7. Quali altri Paesi hanno approvato l’uso degli anticorpi monoclonali
L’agenzia del farmaco americana (Fda) e quella canadese hanno autorizzato l’uso emergenziale degli anticorpi monoclonali a novembre. Negli Usa, ne sono state distribuite circa 600mila dosi. Anche in Germania, Israele e Ungheria sono stati adottati provvedimenti simili. L’agenzia dei medicinali dell’Ue (Ema) non ha ancora rilasciato l’autorizzazione, ma ha cominciato a esaminare i risultati preliminari degli studi.
8. Quali sono i farmaci in commercio?
In Italia l’Aifa ha approvato due tipi di monoclonali: casirivimab/imdevimab, il mix di anticorpi Regeneron (quello dato all’ex presidente degli Stati Uniti Trump) e bamlanivimab, il farmaco di Eli Lilly, che viene prodotto presso la Bsp Pharmaceuticals e, secondo i risultati ottenuti finora, sarebbe in grado di ridurre la mortalità del 70 per cento.
Altri tipi di anticorpi sono ancora in fase di studio. Tra questi ci sono quelli messi a punto dall’italiano Rino Rappuoli, Fondazione Toscana Life Sciences, che dovrebbero essere disponibili ad aprile-maggio. I costi si aggirano tra mille e 2 mila euro a dose e l’Italia ha previsto un fondo per garantirli gratis ai pazienti.
9. Anticorpi monoclonali e nuove varianti
Secondo una ricerca del Cancer Research Center di Seattle, gli anticorpi monoclonali Regeneron, Eli Lilly e GlaxoSmithKline non sarebbero in grado di contrastare in modo efficace le mutazioni del virus. La buona notizia è che, di fronte alle nuove varianti, sarebbe comunque possibile sviluppare nuovi anticorpi, che siano “aggiornati” per stare al passo.
10. I ritardi dell’Italia e le accuse di Guido Silvetri
Il virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta, negli Usa, a proposito dell’approvazione di Aifa sugli anticorpi monoclonali, ha parlato di “una vittoria” per il Paese, aggiungendo che si tratta “anche una terribile sconfitta per la credibilità di molte persone”.
Una sconfitta “prima di tutto di quelli che nell’ottobre scorso si sono opposti in modo durissimo a questa autorizzazione, così facendo perdere tempo prezioso a tutti”, ha scritto Silvestri su Facebook. Tramite il professor Silvestri, il Chief Scientific Officer di Lilly Dan Skovronsky aveva offerto gratuitamente all’Italia decine di migliaia di dosi di prodotto per uno studio clinico. Ma l’ipotesi era stata scartata. “Bisogna spiegare al Paese”, prosegue Silvestri, “per quali motivi si approva a inizio febbraio una cosa che fu fatta fallire ad ottobre”.
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