“Angela Celentano è in Turchia”: la gip chiede di indagare ancora
“Angela Celentano è in Turchia”, la gip chiede di indagare ancora
Comincia così, in un giorno di sole sul Monte Faito, uno dei misteri italiani più fitti degli ultimi decenni. Si tratta della scomparsa di Angela Celentano. Era il 10 agosto 1996, la piccola aveva tre anni ed era andata a una gita organizzata dalla Comunità evangelica pentacostale frequentata dai suoi genitori. Era lì con loro, Catello e Maria, e con le sue due sorelle Rossana e Naomi.
Da allora è stato un susseguirsi di finte piste, dna, appelli, indagini e segnalazioni senza risultato. Ora c’è un nuovo colpo di scena. La giudice delle indagini preliminari di Napoli, Federica Colucci, si è rifiutata di chiudere l’ultimo filone d’inchiesta ancora aperto per il quale la Procura aveva chiesto l’archiviazione. Erano scampoli di un’indagine sulla cosiddetta “pista turca” avviata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea nel 2009 a seguito dell’iniziativa privata di una signora che si chiama Vincenza Trentinella. Lo scrive il Corriere della Sera.
La signora Trentinella, perfetta sconosciuta per la famiglia Celentano, ha sempre detto di aver raccolto le confidente di do Augusto, il quale a sua volta le aveva raccolte in confessionale da una donna. Dopo il decesso del prelato, Vincenza decide di andare in Turchia e scopre che quelle confidenze sono vere: Angela sarebbe stata rapita e vivrebbe “su un piccolissimo isolotto turco che si chiama Buyukada, con un uomo che crede sia suo padre, che io ho incontrato in uno studio veterinario e che ha una cicatrice sul collo”. Tutto questo messo a verbale, assieme alla fotografia della presunta Angela e a molto altro.
Il rifiuto della gip
La giudice Colucci si rifiuta per questo di chiudere l’ultimo filone aperto dell’inchiesta, perché, spiega “permangono elementi di dubbio” e “in sede di rogatoria emerge una discrasia che resta priva di logica spiegazione”.
I “dubbi”e la “discrasia” riguardano in particolare il presunto finto padre di Angela, identificato dalla signora Trentinella con il nome di Fafhi Bey. L’uomo le aveva scritto un numero di telefono su un bigliettino da visita, presumibilmente il suo. Lei riuscì nell’intento fingendosi una turista che voleva prendere con sé un gattino.
Ma quando la magistratura italiana chiede ai colleghi turchi di interrogarlo e manda i suoi investigatori per la rogatoria, succede che viene interrogato l’uomo che usa quell’utenza, Fahri Dal, il veterinario che evidentemente conosce Bey e gli lascia utilizzare lo studio.
Fahri Dal non ha nessuna cicatrice, ovviamente, e non ha mai conosciuto la signora di quel gattino. Ma nell’annotazione di fine rogatoria c’è scritto che quell’uomo è Fahfi Bey. E c’è anche un nuovo numero telefonico che secondo il Servizio di Cooperazione internazionale di polizia è un’utenza aperta a nome Fahfi Bey. “Vuol dire che un soggetto con questo nome esiste”, deduce la giudice. “E questa circostanza dev’essere approfondita” perché “non è spiegabile con un “refuso”” (di refuso si parla nella richiesta di archiviazione). In sostanza: è stato interrogato l’uomo sbagliato. Conclude Il Corriere.