Amanda Knox condannata a tre anni per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba: “Ero sotto shock”
Amanda Knox condannata per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba
La Corte d’Assise d’Appello di Firenze ha condannato Amanda Knox a tre anni di reclusione per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba, nell’ambito del caso dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto a Perugia il 1º novembre 2007. Amanda è stata anche interdetta dai pubblici uffici per cinque anni. La sentenza è stata pronunciata oggi, 5 giugno, dalla presidente del collegio giudicante, Anna Maria Sacco, alla presenza dell’imputata, arrivata dagli Stati Uniti con il marito Christopher Robinson. Lumumba, parte offesa nel processo, era assente. Anche se la sentenza diventasse definitiva dopo un eventuale passaggio in Cassazione, la cittadina americana di 36 anni non andrebbe in carcere, avendo già scontato quasi quattro anni di detenzione preventiva prima di essere assolta in appello insieme a Raffaele Sollecito per l’omicidio di Kercher. Per quell’omicidio, l’unico condannato a 16 anni in rito abbreviato è stato Rudy Guede.
Diciassette anni dopo il delitto di Perugia, Amanda Knox, oggi 37enne, è tornata in Italia. Alle 8:30, è entrata nel tribunale di Firenze. Indossava una camicia rosa, una gonna celeste e scarpe gialle, con gli occhiali da sole sulla testa. Ha attraversato una folla di giornalisti, tenendo per mano il marito, in silenzio, fino a raggiungere l’aula 32 per ascoltare le ultime repliche del processo e, infine, il verdetto. Nei giorni scorsi, Knox aveva annunciato il suo ritorno in Italia su X: “Entrerò nella stessa aula del tribunale dove sono stata ricondannata per un crimine che non ho commesso, questa volta per difendermi ancora una volta”.
Sulla morte di Kercher, la Knox è stata definitivamente dichiarata innocente dopo una lunga fase processuale. Tuttavia, l’accusa di calunnia verso Lumumba rimane in piedi, dopo che la Cassazione aveva annullato una precedente condanna a tre anni, rinviando il procedimento alla Corte d’Assise.
In aula, Knox ha rilasciato una lunga dichiarazione spontanea, ricostruendo quanto accaduto durante l’interrogatorio e dichiarandosi innocente: “Molte persone pensano che la parte peggiore della mia vita sia stata quando venni condannata a 26 anni per un delitto che non avevo commesso. Ma la notte peggiore della mia vita è stata il 5 novembre 2007. Avevo appena scoperto che la villetta in cui vivevo si era trasformata in una orribile scena del crimine. Ero sotto shock, esausta, senza casa e a migliaia di chilometri dalla mia famiglia. La polizia mi ha interrogato per ore in una lingua che conoscevo a malapena. Non accettavano la mia risposta, ossia che ero a casa di Raffaele e non sapevo chi aveva ucciso Meredith. Poi la polizia ha scoperto quel messaggio “see you later”. Fu tradotto come “ci vediamo più tardi” e la polizia pensò che avessi fissato un appuntamento con Patrick e che stavo mentendo. Si rifiutarono di credermi.
Mi hanno più volte accusata di essere una bugiarda. Quando un agente mi disse che non ero con Raffaele, fui destabilizzata. Non capivo perché venivo trattata in quel modo. La polizia mi disse che dovevo aver assistito, minacciandomi di trent’anni di prigione se non avessi ricordato ogni dettaglio. Ricevetti colpi sulla testa e mi urlavano ‘ricorda, ricorda’. Ho messo insieme un miscuglio di ricordi di giorni diversi. Sono stata costretta a sottomettermi. C’è stata una violazione dei miei diritti. Ero stordita. Cercai di far capire alla polizia che quello che avevo detto era confuso, ma loro volevano chiudere presto il caso.
Allora scrissi il memoriale. Volevo che la polizia sapesse che stavo facendo del mio meglio per collaborare. La polizia mi aveva spinto a evocare quelle immagini. Non volevo testimoniare contro Patrick. Non potevo sapere chi fosse l’assassino. Patrick si prese cura di me quando ero in città da poche settimane. Mi consolò. Mi dispiace di non essere stata abbastanza forte da resistere alla pressione della polizia. Scrissi quel documento per ritrattare delle dichiarazioni fatte sotto pressione. Volevo allontanare ogni sospetto da Patrick”, conclude Knox prima di alzarsi. “Mi dichiaro innocente”.
La Procura Generale di Firenze ha ottenuto la conferma della stessa condanna. Una pena che Amanda Knox ha già scontato, considerando i quattro anni trascorsi in carcere prima di essere assolta in Appello. Ad assisterla ci sono i suoi due legali, Carlo Dalla Vedova e Luca Luparia Donati. Sul lato sinistro dell’aula siede il Procuratore Generale, Ettore Squillace Greco, che nell’udienza di aprile aveva ripercorso alcune delle dichiarazioni fatte da Amanda dopo l’omicidio.
Davanti agli investigatori, il 6 novembre 2007, Amanda fece più volte il nome di Patrick Lumumba, suo datore di lavoro in un pub. Lumumba rimase in carcere per due settimane prima di essere scagionato, poiché non c’erano sue tracce nella casa del delitto, e un professore svizzero confermò che era al lavoro nel suo pub al momento del delitto. L’accusa sostiene che Amanda abbia calunniato Lumumba consapevolmente per sviare le indagini, una posizione sostenuta dal legale di Lumumba, Carlo Pacelli, che ad aprile in aula aveva detto: “Amanda è una bugiarda. Sentiva la pressione perché non voleva essere coinvolta nell’omicidio e ha accusato un innocente. Lei crea dubbi ad arte”.
Gli avvocati di Knox hanno sempre chiesto l’assoluzione, sottolineando le condizioni in cui la loro assistita, all’epoca ventenne, fece quelle dichiarazioni durante l’interrogatorio di polizia. “Venne messa sotto torchio. Le dissero che sarebbe andata in prigione. Fu indotta a dire quello che interessava. Anche l’Europa ha parlato del gravissimo errore giudiziario che è stato fatto nei suoi confronti”.
Quello di oggi è il settimo grado di giudizio. Inizialmente, Knox e Raffaele Sollecito furono condannati in primo grado a Perugia, poi assolti in appello e scarcerati. Ma la Cassazione annullò la sentenza e ci fu un nuovo processo a Firenze, terminato con la condanna. Questo verdetto fu annullato senza rinvio dalla Suprema Corte, che rese definitiva l’assoluzione. Raffaele Sollecito ha recentemente detto: “Forse si potrà definitivamente chiudere il cerchio su questa dolorosa e drammatica vicenda”.