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Home » Cronaca

La mancata Zona Rossa ad Alzano e Nembro: ricostruzione completa dell’inchiesta

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Tutto quello che c'è da sapere sull'inchiesta condotta da TPI sui due comuni della Val Seriana da cui si è in gran parte originato il contagio che ha trasformato Bergamo nel lazzaretto d'Italia

Coronavirus Alzano e Nembro, mancata zona rossa: cosa è successo | L’inchiesta di TPI

CORONAVIRUS ALZANO NEMBRO – Tutto inizia quel 23 febbraio, quando al pronto soccorso dell’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo vengono accertati due casi di Coronavirus: l’ospedale chiude frettolosamente, ma inspiegabilmente riapre tre ore dopo. Non viene tuttavia sanificato. E’ l’inizio di una lunga discesa in un baratro che vede protagonista anche un altro piccolo comune in provincia di Bergamo, quello di Nembro. In pochi giorni, ad Alzano e Nembro vengono registrate decine di casi di Covid-19. I due comuni avrebbero dovuto essere dichiarati zona rossa come Codogno e invece, in un mix di sottovalutazioni e negligenza, sono rimasti aperti. La mancata chiusura di Alzano e Nembro, resa nota grazie all’inchiesta di Francesca Nava su TPI, ha alimentato – con ogni probabilità – il focolaio che ha messo in ginocchio la Lombardia, trasformando Bergamo nel lazzaretto d’Italia.

Sono due dunque le date da cerchiare in rosso sul calendario: il 23 febbraio, giorno in cui nel pronto soccorso di Alzano Lombardo vengono accertati i primi due casi di Covid-19 che impongono una chiusura immediata del reparto (riaperto però misteriosamente qualche ora dopo senza che i locali fossero stati prima sanificati) e il 2 marzo, data in cui l’Istituto superiore di sanità invia una nota riservata al governo – che TPI ha visionato in esclusiva – in cui chiede l’isolamento immediato e la chiusura di Alzano e Nembro (Bergamo), oltre a Orzinuovi (Brescia). L’Iss, quindi, chiedeva la creazione di una zona rossa nella Val Seriana, a causa dell’alta incidenza di casi, come avvenuto qualche giorno prima a Codogno.

Da lì, parte il classico rimbalzo di responsabilità. Né il Governo, né la Regione danno ascolto all’Iss, che reitera invano la sua richiesta il 5 marzo. Il giorno successivo l’assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, conferma implicitamente di aver ricevuto la nota e rimandando al Governo ogni decisione. A tutto ciò si uniscono anche gli interessi economici della zona, come confermato da Marco Bonometti (presidente di Confindustria Lombardia) a TPI. Mentre il professor Giovanni Rezza conferma ai nostri microfoni: “Sono stato io a inviare la nota dell’Iss su Alzano e Codogno. Ma poi è stato valutato di alzare il livello di allerta a tutta la regione. Tra Stato e Regione non c’è mai perfetto accordo, ma non so chi non ha voluto la Zona Rossa”.

Il premier Conte, a TPI, spiega invece che se avesse voluto, la Regione Lombardia avrebbe avuto la facoltà di disporre autonomamente una zona rossa ad Alzano e Nembro. La Regione risponde dicendo di aver fatto richiesta il 3 marzo, ma di non essere stata ascoltata. Solo l’8 marzo, comunque, arriva la decisione dell’esecutivo di imporre il lockdown all’intera Lombardia e altre 14 province. Troppo tardi: i contagi in Lombardia sono già alle stelle. E non c’è ancora una risposta alla domanda: perché Alzano e Nembro non sono state chiuse per tempo?

Nel frattempo, nella terza parte della sua inchiesta Francesca Nava raccoglie importantissime testimonianze che aiutano a ricostruire cosa ha portato alla chiusura e all’immediata riapertura del Pronto soccorso dell’ospedale di Alzano. Un dipendente dell’ospedale, infatti, conferma in una video-testimonianza esclusiva che, con ordini dall’alto, è stato imposto di lasciare aperta la struttura sanitaria, che la sanificazione non è mai avvenuta e che i pazienti Covid-19 venivano respinti e non accolti in altre strutture e lasciati nell’oblio più totale. Un’infermiera del Pronto soccorso conferma che, per diverso tempo, i positivi al Coronavirus sono rimasti nel reparto insieme a tutti gli altri pazienti, facendo aumentare a dismisura il rischio contagi. E una lettera del direttore sanitario di Alzano, Giuseppe Marzulli, conferma che dall’ospedale è arrivata la richiesta di chiudere il Pronto soccorso. E che, di conseguenza, il fatto che ciò non sia avvenuto dipenda dalla decisione della direzione generale di Seriate. “Presso il Pronto Soccorso – si legge nella lettera – stazionano tre pazienti senza che vengano accolti né dall’ospedale di Seriate né da altre strutture aziendali. È evidente che in queste condizioni il Pronto Soccorso di Alzano Lombardo non può rimanere aperto”. E invece così è avvenuto.

Dopo tutto quello che è successo a partire dal 23 febbraio all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo e che TPI ha raccontato, l’8 aprile è arrivata la notizia secondo cui la Procura di Bergamo ha aperto un’inchiesta per epidemia colposa sulla gestione dell’emergenza Coronavirus all’interno del nosocomio. Nel corso delle indagini, sono stati sentiti come testimoni pure il governatore Fontana e l’assessore Gallera. Quest’ultimo, davanti ai pm, ha dichiarato: “Non sapevo che potevamo essere noi a chiudere”.

Per cercare di capire tutto meglio, ricapitoliamo punto per punto tutta l’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro.

Dove si trovano Alzano Lombardo e Nembro?

I comuni di Alzano Lombardo e Nembro si trovano lungo la valle del fiume Serio, che dalle Alpi Orobie scende verso la città di Bergamo. Alzano conta 13.639 abitanti, mentre Nembro 11.522. La Val Seriana viene considerata il cuore produttivo della provincia di Bergamo: al suo interno si trovano circa 400 imprese, che contano un totale di oltre 4mila dipendenti, con un importantissimo indotto sull’export italiano. Un ruolo, questo, che ha un peso importante nella mancata chiusura dei due comuni a causa della pandemia di Coronavirus.

Quanti sono i contagi da Coronavirus e i morti ad Alzano Lombardo e a Nembro?

Non è facile avere dati certi sul numero di contagi e morti per Coronavirus nei singoli comuni di Alzano Lombardo e Nembro. Il 26 marzo scorso, però, il sindaco di Alzano – Camillo Bertocchi – ha detto che i morti in città dalla fine di febbraio sono stati 100, contro i 10 dello stesso periodo dell’anno precedente. A Nembro, nello stesso periodo, i morti sono stati 120 contro 14. Secondo altre fonti, oggi ad Alzano Lombardo ci sono 177 contagi, mentre a Nembro sono 207. In tutta la provincia di Bergamo i morti sono 2.378.

I dati Istat aggiornati al 21 marzo scorso (che considerano tutti i decessi, non solo quelli per Coronavirus) restituiscono invece un quadro più completo. A Nembro, nei primi 21 giorni di marzo, si è registrato il 1000 per cento in più di morti rispetto al 2019. Nella vicina Alzano Lombardo si è arrivati a +937,5 per cento. Dal 1 gennaio a fine marzo, nel comune di Nembro risultano per esempio solo 31 morti per Coronavirus, ma 158 morti totali. Una differenza troppo grande per non pensare che in mezzo non siano altre vittime del Covid-19.

In tutta la Lombardia, secondo i dati dell’ultimo bollettino disponibile al momento in cui si scrive (5 aprile 2020), il totale dei contagi è di di 50.455 persone (28.124 attualmente positivi, 13.426 guariti e 8.905 morti).

Cosa è successo ad Alzano il 23 febbraio

Domenica 23 febbraio, nel pomeriggio, due giorni dopo lo scoppio del primo focolaio di Codogno, vengono accertati due casi positivi di Covid-19 all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo. Almeno uno dei due pazienti passa dal pronto soccorso, luogo come sempre affollato. L’ospedale viene immediatamente “chiuso”, per poi riaprire – inspiegabilmente – alcune ore dopo, senza che ci sia stato “nessun intervento di sanificazione e senza la costituzione nel pronto soccorso di triage differenziati né di percorsi alternativi”, come denunciano due operatori sanitari che chiedono l’anonimato.

Tutte le persone passate per il pronto soccorso il 23 febbraio, nonostante due casi di Coronavirus all’interno della struttura, hanno potuto lasciare l’ospedale senza alcun controllo, tornando dalle proprie famiglie e riprendendo la loro solita vita, fatta di potenzialmente infiniti contatti con altri cittadini. Per fortuna, viene da dire, almeno le scuole sono chiuse in tutta la Lombardia da alcuni giorni. Nei giorni successivi, prevedibilmente, aumentano a dismisura i contagi di Coronavirus tra i vari operatori sanitari dell’ospedale di Alzano Lombardo, sia medici che infermieri, persino il primario. I dati pubblicati dall’Istat, sulla differenza di decessi nella zona tra 2019 e 2020, sono impressionanti.

Ma la gravità della situazione emerge chiaramente una settimana dopo, quando si inizia a vedere un aumento esponenziale dei contagi, soprattutto nel vicino comune di Nembro e sono in molti nella valle a chiedere una zona rossa come quella di Codogno. Compreso il sindaco di Alzano, Bertocchi, interpellato da TPI. Ma fino all’8 marzo, data di chiusura dell’Italia intera con il Dpcm, non arriva alcun provvedimento ad hoc per Alzano e Nembro, che in quel momento contavano un numero di morti sette volte più alto della media nazionale. Con lo spettro degli interessi economici della Val Seriana messi al primo posto, come sottolineato prima dell’emergenza dallo stesso Bertocchi: “Chiudere sarebbe un danno incalcolabile per il nostro territorio”.

La richiesta dell’Iss di istituire una zona rossa ad Alzano e Nembro a causa del Coronavirus

Arriviamo così alla data di lunedì 2 marzogiorno in cui una nota riservata dell’Istituto Superiore di Sanità – che noi di TPI abbiamo potuto visionare – evidenzia “l’incidenza di contagi da Covid-19 nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro, e anche in quello bresciano di Orzinuovi, raccomandandone l’isolamento immediato e la chiusura, con la creazione di una zona rossa come quella di Codogno”. Non è mai successo niente di tutto ciò, mentre le denunce a mezzo stampa di decine di cittadini che avevano perso i loro cari a causa del Coronavirus si susseguivano una dopo l’altra.

Alla nota tecnica dell’Iss non è mai arrivata nessuna risposta, al punto che in data 5 marzo l’Istituto superiore di sanità ne mandava una seconda copia – arricchita – nel tentativo di far chiudere le città di Alzano Lombardo e Nembro, istituendo una zona rossa. In un primo momento, non è stato possibile scoprire se la nota fosse stata visionata dal Comitato tecnico scientifico, che è l’organo che dà indicazioni decisive al Governo affinché vengano prese decisioni in questa fase di emergenza. Solo il 26 marzo TPI ha avuto conferma che il Comitato tecnico scientifico ha letto e valutato la nota dell’Iss: a certificarlo è stata la Protezione civile, durante la consueta conferenza-bollettino delle ore 18. “Non abbiamo ignorato – è stata la risposta – ma non si poteva chiudere tutto. Abbiamo dato priorità agli 11 comuni del lodigiano e a Codogno. Poi è stato stabilito il lockdown nazionale”.

Il decreto del 23 febbraio ignorato da tutti

Un altro elemento da non sottovalutare è il fatto che il 23 febbraio, lo stesso giorno dei primi contagi di Coronavirus ad Alzano e dopo che l’Oms aveva dichiarato il virus una epidemia, il Governo aveva emanato un decreto legge contenente “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica”. L’articolo 1 del decreto, pubblicato in Gazzetta ufficiale, recita infatti: “Allo scopo di evitare il diffondersi del Coronavirus, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus, le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Tra le misure previste dal comma 2, c’è anche il divieto di accesso e allontanamento dal comune. In altre parole: la zona rossa. Quella che non è mai stata istituita (dal Governo o dalla Regione, visto che entrambi ne avevano la facoltà) ad Alzano e Nembro.

Il disastro di Bergamo: migliaia di contagiati

Nel frattempo la situazione nella vicina Bergamo diventa tragica. A oggi (6 aprile 2020), il totale dei contagi sfiora le 10mila persone. E in un’intervista a TPI, il sindaco Giorgio Gori assicura che i numeri reali dei morti sono almeno due o tre volte quelli ufficiali. E grazie a un video-reportage pubblicato su TPI da Selvaggia Lucarelli è facile capirne le motivazioni. Il 7 marzo, a poche ore dal decreto del governo che avrebbe reso zona rossa tutta la Lombardia, a Bergamo Alta (10 minuti di macchina dal focolaio di Coronavirus originatosi ad Alzano e Nembro) sembrava un giorno qualunque: negozi aperti, bar e ristoranti con gente che pranzava all’aperto, persone sedute sui gradini. Una Bergamo che non voleva fermarsi, distratta, forse inconsapevole. Mentre pochi giorni prima, sempre Selvaggia Lucarelli su TPI, aveva svelato le tragiche condizioni in cui venivano curati i pazienti positivi al Coronavirus al Policlinico San Marco di Zingonia, vicino a Bergamo, ormai al collasso.

 

Gallera (Regione Lombardia) rimanda al Governo sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro per Coronavirus

Nel frattempo, la situazione ad Alzano Lombardo e Nembro continua a essere tragica. Mentre è quasi tragicomico il rimbalzo di responsabilità che avviene tra Regione e Governo. Il 6 marzo l’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Giulio Gallera, in conferenza stampa conferma implicitamente di aver ricevuto la nota dell’Iss, scaricando la eventuale e futura responsabilità della mancata chiusura sul governo. “Tre giorni fa – afferma Gallera – l’Istituto superiore di sanità ha formulato una richiesta precisa al governo sull’istituzione di una zona rossa nei comuni di Nembro e Alzano Lombardo (…) Queste sono misure che hanno un senso se c’è una grande tempestività. È vero anche che il numero dei casi in questi comuni continua a crescere in maniera importante. Io più che prendere atto che tre giorni fa c’era stata, anche sulla base dei dati che noi avevamo fornito, una valutazione dell’Iss e poi prendere atto che invece dopo 3 siamo ancora qui, traete voi le conseguenze…”.

Ospite di Agorà su Rai 3, invece, il 7 aprile lo stesso Gallera ammette: “Il 22 febbraio ad Alzano iniziano a farsi i primi tamponi su situazioni anomale, in ospedale da qualche giorno, ma che non avevano le caratteristiche che facevano pensare al Coronavirus. Da lì, inizia la sanificazione dell’ospedale e il tracciamento dei contatti diretti. In quei giorni abbiamo fatto una quantità enorme di tamponi”. Nella stessa puntata, arriva una seconda ammissione: “Ho approfondito la questione – ha detto Gallera – e ho scoperto che effettivamente c’è una legge che consente” alla Regione Lombardia di istituire una Zona Rossa nei comuni particolarmente colpiti dal Coronavirus. La legge in questione è la numero 833 del 1978, il Testo Unico che regola e attribuisce le competenze legislative a Stato e Regioni in materia Sanitaria. L’articolo è il 32.

La risposta di Conte alla Regione Lombardia: la nota inviata dal premier a TPI

Il premier Conte nella giornata del 6 aprile 2020 ha inviato una nota formale a TPI per chiarire la posizione del governo sulla mancata chiusura per Coronavirus di Alzano Lombardo e Nembro. “Non vi è argomento – ha spiegato il presidente del Consiglio – da parte della Regione Lombardia per muovere contestazioni al Governo nazionale o ad altre Autorità locali. Se la Regione Lombardia ritiene che la creazione di nuove zone rosse andava disposta prima, con riguardo all’intero territorio regionale o a singoli comuni, avrebbe potuto tranquillamente creare zone rosse, in piena autonomia”, visto che “le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti”. “A conferma di questo assunto – ha aggiunto Conte a TPI –  si rileva che la Regione Lombardia ha adottato – nel corso di queste settimane – varie ordinanze recanti misure ulteriormente restrittive, le ultime delle quali il 21, il 22 e il 23 marzo 2020″.

Riguardo alla nota dell’Iss, ignorata da Governo e Regione, Conte invece ha dichiarato a TPI che “il 6 marzo (il giorno successivo al secondo invio da parte dell’Istituto superiore di sanità della richiesta formale di chiusere Alzano e Nembro, ndr) maturava l’orientamento di superare la distinzione tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa, basata sul principio della massima precauzione, che prevedesse la distinzione del territorio nazionale in due sole aree: la Lombardia e province focolaio di altre regioni e il resto d’Italia”. Un provvedimento, quest’ultimo, adottato con il Dpcm dell’8 marzo.

Nel corso della conferenza stampa da Palazzo Chigi del 6 aprile 2020, il premier Conte ha poi risposto a una nostra domanda sulla mancata chiusura di Alzano e Nembro: “Se abbiamo sbagliato o fatto bene? Riteniamo di aver agito in scienza e coscienza, ce ne assumiamo tutta la responsabilità. Con la zona rossa estesa a tutta la Lombardia riteniamo di aver assunto una decisione più rigorosa. Ci sarà poi il tempo per giudicare e io non mi sottrarrò. Ora è il momento della concentrazione e del coraggio per uscire dall’emergenza tutti insieme”. Infine, ha concluso dicendo che non è sua intenzione fare polemica con Fontana: “Questo è il momento di collaborare tutti insieme”.

La replica di Fontana a Conte: “Colpe di entrambi: Governo e Regione Lombardia”

A stretto giro è arrivata anche la replica al premier Conte da parte del governatore lombardo Fontana: “Io non ritengo – ha scritto il presidente della Regione Lombardia in una nota ufficiale – che ci siano delle colpe in questa situazione. Ammesso che ci sia una colpa, eventualmente è di entrambi. Forse su Alzano si sarebbe potuto fare qualcosa di più rigoroso, ma dopo che era stata istituita una zona rossa (in tutta la Regione) noi non avevamo neanche da un punto di vista giuridico la possibilità di intervenire”.

Infine, con una seconda nota diramata nella serata del 6 aprile, la Regione Lombardia ha precisato di aver effettivamente chiesto al Governo la chiusura dei due comuni in data 3 marzo. “A fronte della mappatura della diffusione del contagio – si legge – Regione Lombardia il 3 marzo ha reiterato, fra le altre, la richiesta di istituire una zona rossa per Nembro e Alzano, attraverso il Comitato Tecnico Scientifico di supporto a Palazzo Chigi che condivideva tale valutazione, inoltrandola al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Salute. L’8 marzo il Governo ha deciso con proprio Dpcm – quello che ha generato il drammatico esodo notturno dalla Lombardia – di istituire la zona rossa in tutta la regione, superando ogni decisione relativa a Nembro e Alzano e cancellando quella di Codogno”.

Il presidente di Confindustria Lombardia a TPI: “Non si poteva fermare la produzione”

In un’intervista a Francesca Nava su TPI, il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti conferma che c’è stato un confronto tra l’associazione e la Regione e rivendica la sua contrarietà alla chiusura totale delle aziende: “Eravamo contrari a fare una chiusura tout court così senza senso. Per fortuna che non abbiamo fermato le attività essenziali, perché sennò i morti sarebbero aumentati. Faccio un esempio: il problema dell’ossigeno, il problema delle aziende farmaceutiche, che stanno lavorando a pieno ritmo. Lo sbaglio è stato di non considerare nel codice Ateco anche le filiere dei servizi essenziali. Io ho sempre sostenuto che bisognava salvaguardare le vite umane e dall’altra parte salvaguardare la produzione essenziale, che permetteva di dare il sostentamento di salute e sicurezza ai cittadini. Il vero errore è stato quello di lasciare che la gente andasse in giro, andasse nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche”.

Così la Dalmine in Lombardia ha tenuto aperte anche le attività produttive non essenziali

In Lombardia, in fondo, le fabbriche non si sono mai fermate del tutto: ci si è aggrappati a qualunque cavillo che lasciasse spazio a una riapertura ante tempus. Il caso Dalmine è rappresentativo di come un’azienda come quella della Bergamasca – considerata strategica ai fini della produzione di bombole d’ossigeno – abbia tenuto aperto diversi reparti per la produzione di beni non essenziali. Perché la legge glielo ha consentito. Il bilancio finora: due operai deceduti e altri finiti in terapia intensiva, e giovani precari costretti a lavorare da volontari nella filiera più rischiosa. Massimo Seghezzi lavora alla Dalmine da quasi vent’anni come operaio: “In acciaieria – ci racconta – che è il reparto più sindacalizzato, la paura si sente, anche per questo ci hanno lasciato una settimana in più rispetto agli altri reparti prima di riprendere, perché la gente è più arrabbiata. Molti si fanno la domanda: vado a lavorare e se poi porto a casa il virus?”.

Dopo l’inchiesta di TPI, la procura di Bergamo indaga per epidemia colposa ad Alzano

Dopo tutto quello che è successo a partire dal 23 febbraio all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo e che TPI ha raccontato, l’8 aprile è arrivata la notizia secondo cui la Procura di Bergamo ha aperto un’inchiesta per epidemia colposa sulla gestione dell’emergenza Coronavirus all’interno del nosocomio. “Adesso ci sarà un’indagine preliminare, purtroppo lunga – spiega l’avvocato Roberto Trussardi – e poi verranno iscritti i nominativi nel registro degli indagati. E a quel punto si potranno costituire le parti offese: tutte le famiglie delle vittime di Alzano. È un momento molto importante perché finalmente chi ha materiali probatori specifici, almeno sa a chi inviarli. Adesso questo scandalo ha un nome”.

Nel corso delle indagini, sono stati sentiti come testimoni pure il governatore Fontana e l’assessore Gallera. Quest’ultimo, davanti ai pm, ha dichiarato: “Non sapevo che potevamo essere noi a chiudere”. Più nel dettaglio, l’assessore avrebbe ribadito quanto già affermato in alcune interviste, sostenendo che la Regione Lombardia non ha proceduto all’istituzione della zona rossa nella Bergamasca perché quando il 5 marzo sono arrivate le camionette dell’esercito, era convinta procedesse il governo. Alcune settimane dopo, poi, Gallera rivelò che ci si era resi conto che esisteva una legge che permetteva anche alla Regione di procedere con la creazione della zona rossa. Il procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, che coordina le indagini per epidemia colposa della Procura di Bergamo, dopo aver parlato con Gallera e Fontana ha dichiarato che “l’istituzione della zona rossa nella Bergamasca avrebbe dovuto essere una decisione governativa”. L’approfondimento di Filippo Bertolami, però, dimostra che su Alzano e Nembro hanno torto sia Conte che Fontana.

Anche Marco Bonometti, presidente di Confindustria Lombardia, è stato ascoltato come persona informata sui fatti dai magistrati di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata chiusura del Pronto soccorso di Alzano. Stando a quanto ricostruito, i pm avrebbero interrogato Bonometti per circa due ore e lo avrebbero interrogato sulle pressioni dal mondo dell’industria sulla mancata istituzione della zona rossa in Valle Seriana. Bonometti avrebbe negato le pressioni, pur confermando la contrarietà degli industriali. I pm avrebbero anche chiesto conto dell’intervista pubblicata il 7 aprile su TPI.it in cui il presidente di Confindustria aveva detto: “Per fortuna non abbiamo fermato le attività essenziali, altrimenti i morti sarebbero aumentati. Perché così tanti decessi qui? Ci sono molti allevamenti, la movimentazione degli animali ha favorito il contagio”.

Nella mattina del 16 giugno, invece, il Corriere della Sera ha riportato che per la gestione del pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo ci sono due indagati: al momento non si conosce la loro identità. L’ipotesi di reato è quella di epidemia e omicidio colposo.

I familiari delle vittime chiedono giustizia: partono le denunce

Lo hanno chiamato “Denuncia Day” e il nome è già esplicativo. Il 10 giugno è la giornata in cui un pool di sette avvocati che rappresentano il Comitato dei familiari delle vittime Covid-19 “Noi denunceremo” (oltre 55mila membri) ha depositato, presso la Procura della Repubblica di Bergamo, i primi 50 esposti. TPI ha intervistato Giovanni Beverini, uno degli avvocati che seguono l’iniziativa legale, protagonista di battaglie processuali come quella che portò alla prima condanna di un Comune (quello di Chiavari, in provincia di Genova) per i lutti legati ad una alluvione. Lo scopo degli esposti è quello di fare luce sulla strage di questi mesi: oltre 34mila morti nel Paese, oltre 16mila nella sola Lombardia. Nei giorni successivi, sono state presentate circa altre 100 denunce.

Dipendente ospedale di Alzano a TPI: “Ordini dall’alto per restare aperti”

Tramite una video-testimonianza raccolta da TPI, per la prima volta un dipendente dell’Azienda socio sanitaria territoriale (ASST) Bergamo Est, che gestisce l’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo, racconta in esclusiva cosa è successo davvero tra il 23 e il 25 febbraio in quel Pronto Soccorso, chiuso e poi inspiegabilmente riaperto poche ore dopo che venissero accertati i primi due casi Covid-19. Il dipendente denuncia che, con ordini dall’alto, è stato imposto di lasciare aperta la struttura sanitaria, che la sanificazione non è mai avvenuta e che i pazienti Covid-19 venivano respinti e non accolti in altre strutture e lasciati nell’oblio più totale, ricoverati insieme agli altri pazienti dell’ospedale.

“La riapertura del pronto soccorso è avvenuta per ordini superiori – dichiara il dipendente a TPI – perché il direttore sanitario di Alzano (Giuseppe Marzulli, ndr) era chiaramente contrario e si è espresso più volte in questo senso. Dal suo ufficio lo si sentiva urlare con la direzione generale, sanitaria, con la direzione strategica di Seriate (la ASST, l’Azienda socio sanitaria territoriale Bergamo est, ndr), che poteva essere la figura del direttore sanitario (Roberto Cosentina, ndr) piuttosto che del direttore generale (Francesco Locati, ndr) che gli hanno imposto la riapertura”. (Qui un focus su Marzulli, Locati e Cosentina, i 3 uomini chiave coinvolti nell’inchiesta di TPI sull’ospedale di Alzano Lombardo).

 

L’infermiera del Pronto soccorso di Alzano a TPI: “Pazienti Covid insieme agli altri ricoverati”

Che sulla discussa riapertura del pronto soccorso e sulla gestione di questa emergenza Covid al “Pesenti-Fenaroli” ci sia stata una evidente situazione di conflitto tra le due direzioni sanitarie, quella di Seriate e quella di Alzano, lo si capisce anche da un’altra testimonianza fondamentale, quella di un’infermiera del pronto soccorso che accetta di parlare in esclusiva con TPI: “All’ospedale di Alzano Lombardo – dice – dopo quella maledetta domenica non doveva più entrare e uscire nessuno, fino a che non si fossero stabiliti dei percorsi precisi”. La donna aggiunge anche che “la sanificazione dell’ospedale è stata fatta quattro giorni dopo, per tutto quel tempo le attività hanno proseguito come se nulla fosse. La gente ha circolato in zone infette, senza saperlo. Di fatto tutto il personale medico è stato mandato a casa e il giorno dopo si è ripresentato al lavoro”. Per quanto riguarda i pazienti, l’infermiera spiega: “Siamo arrivati a una saturazione totale abbastanza in fretta, abbiamo dovuto mettere i pazienti nei corridoi, nella shock room, non sapevamo più dove sistemarli. Ad Alzano è solo uno che può decidere ed è il direttore sanitario (Marzulli). Se il direttore sanitario riceve degli ordini da gente che non è lì sul posto, ma che è dietro a una scrivania, può sempre decidere di non ubbidire. Marzulli doveva rifiutarsi di eseguire gli ordini di Seriate, doveva prendere tempo e stabilire dei percorsi, isolare tutti, fare i tamponi e dire: quando avremo un percorso sicuro riapriremo”.

Qui di seguito l’audio-testimonianza dell’infermiera di Alzano:

La lettera del direttore medico di Alzano scritta quel 25 febbraio: “Vi prego fateci chiudere”

L’infermiera racconta quindi della direttiva della ASST di Seriate di far stazionare i pazienti con sospetto Covid nel pronto soccorso di Alzano Lombardo, fino all’arrivo dell’esito del tampone. Senza trasferirli in altri ospedali prima della diagnosi di Coronavirus che sappiamo può tardare anche 48 ore prima di arrivare. Questa indicazione “assurda” e “contraria a qualunque protocollo” è sottolineata anche dallo stesso direttore sanitario dell’ospedale di Alzano Lombardo, Giuseppe Marzulli, in una disperata lettera datata 25 febbraio in carta intestata alla direzione di Seriate, che noi di TPI abbiamo potuto visionare in esclusiva. “Presso il Pronto Soccorso – si legge – stazionano tre pazienti senza che vengano accolti né dall’ospedale di Seriate né da altre strutture aziendali. È evidente che in queste condizioni il Pronto Soccorso di Alzano Lombardo non può rimanere aperto”.

Rezza (Iss) a TPI: “Chiudere solo Codogno non è stato sufficiente, eravamo tutti concentrati su quello”

In un’intervista concessa a TPI, il professor Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità ha dichiarato: “La famosa nota dell’Iss che chiedeva la Zona Rossa ad Alzano e Nembro? L’ho firmata io. Io ho sempre pensato che fosse un bene fare Zone Rosse. Un po’ ovunque. Come epidemiologo dico che finché non ho un vaccino, tengo tutto chiuso. Poi è stata presa la decisione di non fare zone rosse parcellari, ma di alzare il livello di allerta a tutta la regione, seguita da una zona arancione in tutta Italia. Tra Stato e Regioni non c’è mai un perfetto accordo. Però a chi spettasse decidere, chi volesse o no farla e i motivi io proprio non lo so. Chiudere solo Codogno non è stato sufficiente, eravamo tutti concentrati su quello”.

Calderoli (Lega) a TPI: “Mancata Zona Rossa ha provocato disastro”

Il senatore della Lega, Roberto Calderoli, in un’intervista a TPI ha dichiarato: “La mia sensazione è che qualcuno non volesse fare la Zona Rossa ad Alzano e Nembro. E che costituzionalmente non ci troviamo di fronte alla tutela della salute (lasciando intendere che abbiano prevalso gli interessi economici, ndr). Io so che erano state anche preparate le transenne per rendere quei comuni Zona Rossa. Poi dietrofront clamoroso: per me la mancata chiusura di quei comuni ha determinato quello che oggi si è realizzato: il disastro”.

Alzano e Nembro, la denuncia di Codacons: “Borrelli ha mentito alla stampa”

In una nota firmata il 13 aprile, l’associazione dei consumatori Codacons attacca il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, reo a suo dire di non aver detto la verità sulla vicenda di Alzano e Nembro nel corso della conferenza stampa dell’11 aprile. Alla domanda circa la segretezza dei documenti visionati e validati dal Comitato tecnico scientifico per decidere sulla zona rossa nei comuni della bergamasca di Alzano Lombardo e Nembro, Borrelli ha risposto che le misure sono state adottate in assoluta trasparenza. Nulla di secretato, sono gli atti normali del Comitato tecnico-scientifico”. Ma il Codacons lo smentisce: “C’è una totale mancanza di trasparenza, i documenti sono secretati, quando invece dovrebbero essere di interesse pubblico”.

Ma i documenti del Comitato tecnico scientifico sono davvero secretati? Il ministero della Salute scrive che questi atti sono “secretati”. Ma qui arriva la poca chiarezza all’interno dello stesso ministero: abbiamo  contattato telefonicamente la vice capo Gabinetto Tiziana Coccoluto, che ha firmato la risposta al Codacons, e il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri e dicono due cose molto diverse. “Secretati è un sinonimo di riservati – dice Coccoluto a TPI – è stato frainteso il mio italiano. Chiaramente hanno un trattamento particolare per la loro importanza e sensibilità, ma che questo voglia dire “segreto di Stato” non l’ho mai affermato”. Altro punto di vista quello di Pierpaolo Sileri, che nonostante sia la seconda carica per la Sanità dopo il ministro Speranza, quegli atti non li ha mai potuti leggere: “Confermiamo che quei documenti siano sotto cassaforte e inaccessibili. La Protezione Civile a sua volta smentisce il Ministero: “I documenti sono riservati – spiega Pier Francesco Demilito, capo ufficio stampa della Protezione Civile – Coccoluto ha dato una definizione sbagliata. Quegli atti non sono certo sul sito consultabili da tutti, ma per la stampa basta fare una richiesta di accesso agli atti per poterli visionare”.

Galli a TPI: “La Lombardia ha fallito. Riaprire aziende è rischioso”

Il professore Massimo Galli, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, dichiaraTPI: “La Lombardia rispetto ad altre regioni, come ad esempio il Veneto, ha avuto un pessimo punto di partenza: ci siamo trovati ad avere un’epidemia molto vasta. Questo però non giustifica il fatto di non essersi più occupati ad esempio delle case di riposo e mi sembra evidente che delle case di riposo non ci si è occupati a sufficienza, viste le conseguenze”. Sulla controversa delibera della Regione che ha mandato nelle Rsa i pazienti positivi al Covid per cui non c’era posto negli ospedali: “Al momento era uno degli elementi di disperazione, non avevamo letti in ospedale e si è cercato di prenderli ovunque, però quello che mi lascia sconcertato è che in quello stesso momento iniziavano ad infettarsi e a morire a battaglioni persone proprio nelle Rsa, anche se nelle case di riposo ho motivo di ritenere, sebbene non abbia nessuna prova provata, che l’infezione non sia stata portata in questo modo, ma banalmente dal personale sanitario non diagnosticato e che nel tempo ha portato nelle case di riposo l’infezione”. E sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano: “Credo che voleranno gli stracci, ci saranno magari avvisi di garanzia anche per dei medici, ma che a pagare il prezzo di tutto questo alla fine siano dei colleghi mi sembra una cosa fuori dal mondo”.

Le morti sospette al Pio Albergo Trivulzio

La Regione Lombardia ha poi un’altra grossa gatta da pelare, quella del Pio Albergo Trivulzio di Milano. Nella Rsa, da inizio marzo, “sono circa 200 gli anziani deceduti su 1.000 degenti, circa 200 sono quelli positivi al Covid-19, il personale è fortemente sotto organico, su 1.100 operatori sanitari quasi 300 sono a casa in malattia”. A dichiararlo è Alessandro Azzoni, portavoce del Comitato Giustizia e Verità per le vittime del Trivulzio, che in un’intervistaTPI chiede la verità sulle vittime e sui contagi all’interno della struttura. “Abbiamo diritto – dichiara – a sapere i numeri ufficialmente, dall’Assessore Gallera. Ci deve dire se ad oggi la situazione è sotto controllo, se va tutto bene. Noi non aspettiamo altro che ci dia i dati: quanti sono i tamponi eseguiti? Quanti sono gli ospiti deceduti? Gli ospiti sani sono separati da quelli contagiati?

Il sindaco di Gussago (Brescia): “Sospetto che la Lombardia che ci stia facendo raggiungere l’immunità di gregge”

Dura anche l’accusa, ai microfoni di TPI, del sindaco di Gussago (in provincia di Brescia), Giovanni Coccoli, ai danni della Regione Lombardia: “Boris Johnson lo ha dichiarato ed è finito in terapia intensiva, qui anche se non viene dichiarato la linea sospetto sia la stessa: non controlliamo nessuno e vediamo chi sopravvive. La Lombardia non lo dice ma mi viene il sospetto che ci stia facendo raggiungere l’immunità di gregge. Stiamo assistendo al dramma per cui le persone non si recano più in ospedale, né vi portano i propri cari anziani perché hanno paura che se questo viene a mancare non lo rivedono più. Dall’altro lato ci sono persone sintomatiche presso il proprio domicilio che non vengono più ricoverate. Le terapie per i malati qui i medici di base le fanno al telefono, perché alcuni dei medici sono positivi quindi ovviamente non escono di casa”. Coccoli accusa la giunta regionale di una “totale mancanza” durante la gestione della crisi e si dice contrario alla possibilità di riaprire dopo il 4 maggio.

Il turbolento Consiglio regionale della Lombardia che non ha sfiduciato Gallera

“Il voto sulla mozione di sfiducia all’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, è stato falsato”. Dopo la denuncia a TPI della consigliera Carmela Rozza (Pd), il nostro giornale è in grado di mostrare il verbale della turbolenta seduta consigliare di quel 4 maggio, segnata dalle proteste dei consiglieri di minoranza per la presunta violazione del principio di segretezza del voto. Il sospetto, avanzato in particolare dagli esponenti del Pd, è che la maggioranza – temendo che al suo interno ci fossero franchi tiratori pronti a sfiduciare Gallera per la cattiva gestione dell’emergenza Coronavirus -abbia impartito l’ordine di votare a ciascuno attraverso un “segno diverso”.

Nel verbale della seduta si legge durante le operazioni di scrutinio al tavolo dei segretari si avvicinano alcuni consiglieri. Tra questi il consigliere dem Pietro Bussolati, che “dichiara ad alta voce che la diversa modalità di segnatura del voto contrario rende le schede riconoscibili vanificando la segretezza del voto”. “La maggioranza si è controllata”, accusa la consigliera Rozza. “Ognuno doveva votare con una croce verticale, con una croce orizzontale, con una grande, con una piccola, segno che anche nella maggioranza del consiglio regionale non sono assolutamente convinti di quanto è stato fatto dalla Regione Lombardia in questi due mesi, perché altrimenti non dovevano aver paura. Invece era palese la paura. E hanno controllato i loro consiglieri”.

Covid, i soldi per la ripartenza? Il comune di Bergamo li assegna a chi produce armi, ma non alle piccole imprese

Nella città simbolo della pandemia da Covid-19 in Italia, con migliaia di morti nelle bare stipate sui carri armati, il Comune di Bergamo che fa? Lancia un bando pubblico-privato in partnership con Intesa SanPaolo per la ripartenza economica del territorio: 30 milioni di euro, di cui 10 a fondo perduto. Ma tra le società a cui questi fondi sono destinati risultano i codici ATECO di aziende che fabbricano armi ed esplosivi. Il tutto con il patrocinio di CESVI, onlus che si batte da anni per i diritti umani. Non solo: Francesca Nava ha anche scoperto che a una piccola impresa dell’artigianato locale, oggi sull’orlo del fallimento, è stato risposto che non aveva i requisiti per attingere a quei soldi. La ripartenza della Bergamasca val bene la produzione di armi ma non il sostegno a una piccola azienda come la loro.

Coronavirus Alzano e Nembro | Le conseguenze anche fuori dall’Italia

Le conseguenze della mancata chiusura di Alzano e Nembro non si fanno però sentire esclusivamente sui due piccoli comuni della Bergamasca e sul capoluogo. Ma persino all’estero. Sempre Francesca Nava, per TPI, ha raccontato l’assurda vicenda che ha per protagonisti Sara e Luca (lei di Alzano Lombardo, lui di Nembro), partiti per Cuba con un volo Air Europe lo scorso 29 febbraio. Sono i giorni indimenticabili del “Bergamo non si ferma”, degli aperitivi milanesi tra il sindaco Sala e il governatore del Lazio Zingaretti, i giorni degli spot di Confindustria.

Da Milano Malpensa fanno scalo a Madrid, poi proseguono per L’Avana. E qui il sogno si trasforma in incubo. Luca ha la febbre. La tosse non gli dà tregua, non sente i sapori, non sente gli odori, i sintomi sono quelli tipici del Coronavirus. Anche lei accusa i primi sintomi. In tre settimane prendono quattro voli, attraversano tre aeroporti internazionali, visitano due paesi, Spagna e Cuba, soggiornano in sei alberghi, frequentano bar e locali pubblici, incontrano centinaia di persone. Tornati in Spagna, mentre tutta l’Italia è in lockdown, hanno la conferma che il loro volo per Milano è annullato. Luca viene ricoverato in gravissime condizioni e muore il 18 marzo. Il giorno dopo Sara rientra in Italia con un volo organizzato dalla Farnesina. Non rivedrà mai più il suo Luca.

Nel decreto Cura Italia spunta la proposta di uno scudo penale

Nel frattempo, in Italia, il Parlamento continua la sua attività senza sosta. E in Commissione Bilancio al Senato, dove è in esame il decreto Cura Italia varato dal governo, spunta un emendamento proposto dal Pd con l’intenzione di introdurre uno scudo penale per sanare le responsabilità dei medici e degli amministratori delle strutture sanitarie. La proposta di modifica a prima firma Marcucci provoca un fiume di polemiche: si sta cercando, in pratica, di eliminare il reato di epidemia colposa per mantenere solo quello di epidemia dolosa a meno di “macroscopiche colpe gravi”. Proprio sulla vicenda dell’Ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo, nei cui confronti l’ipotesi di reato potrebbe essere quella di epidemia colposa, l’avvocato Roberto Trussardi spiega a TPI che se passasse questo emendamento “ci sarà da discutere se si tratta di un caso macroscopico, eclatante oppure solo di colpa grave e in questo caso il reato non sarebbe perseguibile”.

Qualche giorno dopo, un emendamento simile viene presentato anche dalla Lega, a prima firma Matteo Salvini. Un provvedimento diverso nella forma rispetto a quello del Pd, ma non nella sostanza: l’intenzione è di introdurre uno scudo fiscale per dirigenti sanitari e amministrativi chiamati a rispondere per le loro azioni e decisioni nella gestione dell’emergenza Coronavirus. Salvini ha poi ritirato l’emendamento, dichiarando che il testo “si presta a fraintendimenti”. Ma alla Lega basterà votare quello del Pd per raggiungere comunque il medesimo obiettivo.

Conte alla giornalista di TPI: “Se avrà responsabilità di governo, scriverà lei decreti”

Nel frattempo il premier Conte, durante una visita a Bergamo il 28 aprile scorso, si rende protagonista di uno scambio poco dignitoso con la giornalista di TPI Francesca Nava, che lo incalza sulla mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo: “Se un domani avrà responsabilità di governo – le dice a un certo punto – scriverà lei i decreti e assumerà lei le decisioni”. La risposta di Francesca Nava, sempre su TPI, è stata chiara: “I giornalisti fanno domande, criticano e controllano, non devono scrivere decreti”.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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