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Home » Cronaca

Quel decreto del 23 febbraio ignorato da tutti: Alzano e Nembro dovevano essere chiusi anche con un solo positivo

 

Alzano e Nembro, il decreto 23 febbraio permetteva la chiusura anche con un solo caso di Coronavirus

Il 23 febbraio 2020 è una data curiosamente ricorrente nella vicenda della mancata chiusura di Alzano Lombardo Nembro, i due comuni in provincia di Bergamo da cui si è in parte originato il focolaio di Coronavirus nell’intera Lombardia e su cui TPI ha condotto un’inchiesta (qui la ricostruzione completa della vicenda): oltre a essere il giorno in cui nei due paesini della Bergamasca vennero registrati i primi casi di Covid-19, infatti, il 23 febbraio è anche la data di un importante decreto-legge varato dal governo in risposta all’emergenza.

Mentre quel giorno, ad Alzano Lombardo, venivano scoperti i primi due contagi da Coronavirus all’ospedale “Pesenti Fenaroli” (che venne chiuso per qualche ora e poi misteriosamente riaperto, senza che prima ne fossero stati sanificati i locali e quindi alimentando a dismisura il rischio di diffusione del Covid-19), il governo emanava il decreto legge numero 6, contenente “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Solo il giorno prima, del resto, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva dichiarato che il Coronavirus era una epidemia (l’11 marzo, poi, è stata definita pandemia).

Ma cosa prevedeva il decreto legge del 23 febbraio? Qualcosa che, ad Alzano Lombardo e Nembro, sarebbe dovuto accadere immediatamente e invece così non è stato. Contribuendo in maniera decisiva a rendere Bergamo e provincia il lazzaretto d’Italia. L’articolo 1 del decreto, pubblicato in Gazzetta ufficiale, recita infatti: “Allo scopo di evitare il diffondersi del Coronavirus, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus, le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”.

Il comma 1 del suddetto articolo continua elencando alcuni esempi di provvedimenti che l’autorità competente poteva mettere in atto per arginare il contagio. Tra questi, il divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata da parte di tutti gli individui comunque presenti nel comune o nell’area e il divieto di accesso. In altre parole, l’istituzione di una zona rossa. Quello che non è stato fatto ad Alzano e Nembro, con conseguenze (parte delle quali inimmaginabili il 23 febbraio, ovviamente) che oggi sono sotto gli occhi di tutta Italia.

L’articolo 3 del decreto legge del 23 febbraio indica anche chi aveva la competenza a proporre una delle misure elencate all’articolo 1. “Le misure sono adottate – si legge – con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell’interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale”.

Dunque, ancora una volta, entra in ballo anche la Regione Lombardia. Sebbene la competenza a varare una zona rossa, nel decreto del 23 febbraio, sia destinata al Governo, il presidente della Regione avrebbe potuto comunque farne richiesta. La stessa Regione, in un rimbalzo di responsabilità, ha dichiarato proprio di aver fatto richiesta al Governo – dopo una nota dell’Iss del 2 marzo, svelata da TPI, in cui si raccomandava l’istituzione di una zona rossa ad Alzano e Nembro – per chiudere i due comuni in data 3 marzo. Ciò tuttavia non è mai avvenuto. Il premier Giuseppe Conte, in una nota formale a TPI, ha sottolineato invece come la Regione avesse la facoltà di istituire autonomamente tutte le zone rosse che riteneva necessarie. Ciò che è certo, ancora una volta, è che già il 23 febbraio (il giorno prima erano stati effettuati i primi tamponi, come ammesso da Gallera) c’era la possibilità di chiudere Alzano Lombardo e Nembro per evitare il diffondersi del contagio. Ma la chiusura è avvenuta solo l’8 marzo, con il Dpcm che isolava l’intera Lombardia e altre 14 province italiane. Decisamente troppo tardi.

L’inchiesta di TPI sulla mancata chiusura della Val Seriana per punti:

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